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29 settembre 2017

Dio è causa del peccato?

29 settembre, San Michele Arcangelo
 
(II)

La responsabilità dell'uomo nel peccato è negata

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Origine metafisica del peccato
 
Da Dio in quanto Causa prima viene radicalmente tutta la perfezione della creatura razionale necessaria per poter agire. Tutto ciò che è essere nell’operazione, anche cattiva, dell’agente libero deve essere ricondotto alla causalità universale dell’esse. Tuttavia la mozione divina non può allargarsi all’aspetto malizioso del peccato perché essa non può essere all’origine della distruzione dell’ordo ad finem, che il male commesso introduce.

La stessa possibilità dell’ “esistenza” del peccato è dovuta alla condizione della creatura razionale in quanto creatura. In effetti, in una sostanza creata l’atto di essere non è sussistente (ciò che sarebbe proprio al Creatore) ma partecipato, cioè ricevuto in un soggetto (l’essenza) realmente distinto dall’esse, soggetto che è allora come una potenza in rapporto all’atto di essere. La composizione dell’atto e della potenza è dunque propria alla creatura in quanto tale ed è proprio questa potenzialità in rapporto alla perfezione dell’atto che comporta la possibilità stessa di avere o meno una perfezione, che ciò sia una semplice assenza oppure un male propriamente detto:  Privatio autem non sit nisi in ente in potentia, quia hoc privari dicimus quod natum est habere aliquid et non habet [1]. Il male del peccato, cioè un’assenza di attualità dovuta per agire bene nell’ordine morale, non può essere che la conseguenza del fatto  che la creatura razionale, “tratta dal nulla” con la Creazione e in potenza in rapporto all’essere e al bene, non possiede la perfezione dell’essere e del bene se non per partecipazione. E’ il caso della volontà creata che, essendo un bene particolare (per partecipazione), non possiede per natura la ratio di Bene universale che è il suo oggetto adeguato e il suo fine ultimo[2].
La volontà creata, per la sua natura di creatura, non essendo il proprio fine ultimo, è in potenza ad inscriversi nell’ordo ad finem con le operazioni volontarie che la rendono perfetta nella tensione intenzionale verso il fine ultimo; tuttavia la volontà essendo radicalmente in potenza in rapporto al proprio oggetto e al proprio fine, può andare incontro ad una privazione di questo ordo ad finem in ragione di un atto volontario difettoso che è disordinato e disordinante[3].

Il difetto dell’atto deve dunque essere associato unicamente alla defettibilità della volontà dell’agente creato che diventa (in maniera volontaria) una causa deficiente, e che di conseguenza non produce un’operazione che parteciperebbe in maniera sufficiente all’attualità dell’essere per essere buona e perfetta nell’ordo ad finem[4].

Quanto a Dio, che è la sola fonte di attualità dell’esse (il suo effetto proprio), non fa altro che proporzionare il grado di attualità necessario all’operazione, e ciò tenendo conto della natura e dello stato della causa seconda, quindi anche della possibilità di perfezione o imperfezione dell’atto volontario dovuta allo stato di creatura[5].


Conclusioni

Sotto l’aspetto fisico nessuna operazione volontaria sfugge alla causalità divina perché ogni operazione prima di tutto deve essere, cioè deve avere una certa partecipazione all’attualità dell’esse. Se si tratta di un atto morale buono, la causalità divina è presente anche sotto l’aspetto morale, poiché Dio attira l’agente libero in quanto bene supremo[6]. Se si tratta dell’atto morale cattivo, sarebbe invece necessario distinguere bene il ruolo di Dio e dell’uomo nella costituzione metafisica di un tale agire.
Quanto all’aspetto fisico, la creatura non può essere una fonte radicale dell’attualità (ciò che è proprio all’Ipsum Esse Subsistens) dell’atto peccaminoso che, in quanto operazione, deve iscriversi nella causalità universale dell’esse per avere (attraverso la sostanza) una certa attualità, senza la quale “cadrebbe nel nulla” [7].

Quanto alla malizia dell’atto, che consiste formalmente in un disordine morale, il difetto dell’operazione volontaria non può avere per causa (deficiente) se non la creatura razionale che, avendo ricevuto tutta la sua perfezione dell’essere e dell’agire da Dio, è per se molto più “vicina” al nulla che all’essere e al bene [8]. E in ragione di questa defettibilità, propria all’essere in potenza, in rapporto all’attualità dell’esse e al bene, che la creatura razionale può introdurre una privazione di una perfezione dovuta nell’ordine dell’operazione, ovvero il peccato.

L’azione di Dio si ferma allora al livello della causalità puramente materiale, ciò significa che Dio, inglobando con la sua causalità universale l’operazione di un agente creato, sostiene anche nell’atto l’operazione che di fatto è il soggetto di un male a causa di una libera mancanza da parte di una creatura razionale. Tuttavia, la responsabilità formale del difetto dell’atto volontario, che diventa allora immorale, cade sulla creatura razionale che, in ragione della sua defettibilità radicale, fallisce nella sua scelta libera e commette il peccato. Perciò Dio non è in alcun modo la causa del peccato sotto il suo aspetto formale di reatus culpae. San Tommaso lo riassume bene nel corpus del De Malo, q. 3, a. 2:

Deus sit primum principium motionis omnium, quaedam sic moventur ab ipso quod etiam ipsa seipsa movent, sicut quae habent liberum arbitrium:; si autem deficiant a debito ordine, sequetur actio inordinata, quae est actio peccati; et sic id quod est ibi de actione, reducetur in Deum sicut in causam; quod autem est ibi de inordinatione vel deformitate, non habet Deum causam, sed solum liberum arbitrium. Et propter hoc dicitur, quod actio peccati est a Deo, sed peccatum non est a Deo. 

«Poiché Dio è il primo principio del movimento di tutti gli esseri, alcuni di essi sono mossi da Lui pur muovendosi anche da essi stessi, come quelli che hanno il libero arbitrio. […] Se al contrario mancano del debito ordine, ne consegue un atto disordinato, che è l’atto del peccato ; e così, ciò che vi è d’atto, si riconduce a Dio come alla sua causa; ma ciò che c’è di disordine o di deformità, non ha Dio come causa, ma solo il libero arbitrio. E in ragione di ciò si dice che l’atto del peccato viene da Dio, ma il peccato non viene da Dio».    

                                                                                                            Łukasz Zaruski  
                   




[1] San Tommaso d’Aquino, Ibid, a. 2, co.

Anche : « Ad primum ergo dicendum quod in Angelis non est potentia ad esse naturale. Est tamen in eis potentia secundum intellectivam partem, ad hoc quod convertantur in hoc vel in illud. Et quantum ad hoc, potest in eis esse malum ». San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 63, a. 1, co.

« S. Tommaso indica la ragione profonda di tale defettibilità : tratti dal nulla, gli esseri creati sono composti di potenza eF di atto : ora la potenza, com’è soggetto dell’atto, così può ben esserlo della privazione dell’atto, e dunque anche del male, ch’è la privazione di bene. » A. Piolanti, Ibid., p. 216.


[2] « Unde et natura rationalis, quae ordinata est ad bonum absolute per actiones multifarias, non potest habere naturaliter actiones indeficientes a bono, nisi ei naturaliter et immutabiliter insit ratio universalis et perfecti boni; quod quidem esse non potest nisi natura divina. Nam Deus solus est actus purus nullius potentiae permixtionem recipiens, et per hoc est bonitas pura et absoluta. Creatura vero quaelibet, cum in natura sua habeat permixtionem potentiae, est bonum particulare. Quae quidem permixtio potentiae ei accidit propter hoc quod est ex nihilo. Et inde est quod inter naturas rationales solus Deus habet liberum arbitrium naturaliter impeccabile et confirmatum in bono: creaturae vero hoc inesse impossibile est, propter hoc quod est ex nihilo » Ibid., ad 1.


[3] « Nella misura in cui una volontà sarà in potenza al proprio oggetto, se lo dovrà conquistare, o non lo possiederà in modo perfetto, si darà per lei la possibilità s’esserne privata, cioè possibilità di male e di peccato. » A. Piolanti, Ibid.


[4] « Malum quod in defectu actionis consistit, semper causatur ex defectu agentis. In Deo autem nullus defectus est, sed summa perfectio, ut supra ostensum est. Unde malum quod in defectu actionis consistit, vel quod ex defectu agentis causatur, non reducitur in Deum sicut in causam. » San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 49, a. 2
 « Mais la volonté finie, comme telle, peut se détacher, se mettre en « discorde » avec la volonté de Dieu. Ceci n’est pas une perfection, car ce n’est pas une participation mais un manque de participation. C’est une déviation, une chute véritable, qui donc se rapporte à la seule créature. » C. Fabro , Ibid., p. 498, n. 159.
« Le caractère de déformité morale du péché exprime une “chute” hors de l’être et doit s’attribuer à un défaut du libre arbitre, imputable seulement à la créature ». Ibid., p. 500, n. 162.


[5] « Licet causa prima maxime influat in effectum, tamen eius influentia per causam proximam determinatur et specificatur. » San Tommaso d’Aquino, De Potentia, q. 1, a. 4, ad 3.
« Causa prima magis influit in effectum quam secunda, ideo quidquid perfectionis est in effectu, principaliter reducitur ad primam causam; quod autem est de defectu, reducendum est in causam secundam, quae non ita efficaciter operatur sicut causa prima. » Ibid., q. 3, a. 7, ad 15.


[6] « Deus sit primum principium motionis omnium, quaedam sic moventur ab ipso quod etiam ipsa seipsa movent, sicut quae habent liberum arbitrium: Quae si fuerint in debita dispositione et ordine debito ad recipiendum motionem qua moventur a Deo, sequentur bonae actiones, quae totaliter reducuntur in Deum sicut in causam » San Tommaso d’Aquino, De Malo, q. 3, a. 2, co.


[7] « Ciò non significa che nessuna creatura possa muovere un’altra all’azione, ma solo che questa mozione positiva di una creatura nei riguardi di un’altra, sia essa fisica sia morale, suppone la mozione metafisica immediata di Dio, che resta sempre l’unico principio di ogni actualità sia accidentale sia sostanziale. » A. Piolanti, Ibid., p.135.



[8] « Il male è la discesa dell’essere verso il nulla, il bene è l’ascesa verso Dio : non è nè nulla nè Dio, ma s’inserisce quasi per una legge naturale nel bene creato, che essendo finito è soggetto alla molteplicità e alla limitazione e quindi alla defettibilità nell’essere et nell’operare. » P. Parente, Ibid., p. 533.