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6 giugno 2021

Il nostro addio all’abbé Paul Aulagnier

Camerino, Corpus Domini 2021

                                  



Sul sagrato della chiesa di San Jean de la Chaine mentre usciva il feretro dell’abbé Paul Aulagnier un giovane sacerdote ci ha chiesto come mai fossimo presenti a quel funerale, alludendo ad un dissapore che fece sì che le nostre strade si separassero. Per rendere omaggio a un grande combattente, gli abbiamo risposto, perché davanti alla morte bisogna saper abbassare le spade, specie se per tanto tempo si è combattuto insieme contro il progressismo dilagante nella Chiesa. E, sapendo che era morente, siamo contenti d’aver potuto mandargli un confratello per dirgli che volevamo che la morte ci vedesse riconciliati. Tutte le morti fanno riflettere alla brevità della vita, ma questa ci ha confermato specialmente la necessità di non abbassare la guardia in questa guerra senza quartiere per la fede e, propter fidem, per la Santa Messa nel rito della Tradizione. Quel Giudice che, osiamo sperare, ci perdona se nell’ardore della battaglia non tutti i colpi furono calibrati a perfezione - e chi può dire d’esserne stato capace, “pecore senza Pastore” quali in parte siamo - è più severo se, pur avendone evidenza, non abbiamo difeso la Sua regalità davanti agli uomini. L’ora viene in fretta, almeno poter dire che quel “bonum certamen”, seppur coi tanti nostri limiti, abbiamo cercato di combatterlo. Questa l’aria che si respirava, queste le riflessioni, non solo nostre, nel giorno del suo funerale.

Alla notizia della sua morte già ci parve che l’abbé Aulagnier, che ora vede tutto sub specie aeternitatis, ci fosse ancor più vicino, come lo fu in tante battaglie, alcune delle quali per lungo tratto combattemmo insieme contro chi voleva agissimo contro la nostra coscienza cattolica. Apprezzava molto Disputationes l’abbé Aulagnier e conserviamo gelosamente le sue lettere d’elogio ai resistenti del Buon Pastore della prima ora. “Foncez” [andare avanti, non indietreggiare] diceva, anche perché non è mai stato uno che si tirasse indietro, benché fine politico. Un po’ troppo talvolta, forse per compensare qualche sua focosità dannosa: massimamente quella della famosa riunione del 31 maggio del 1988 in cui egli fu determinante nel far fallire l’accordo Roma-Ecône. Un giorno ci disse che mons. Lefebvre parlava della necessità di un genere di rivista come la nostra, che alternasse attualità ecclesiale a disamine approfondite e talvolta anche impegnative. Addirittura pensò che quella famosa lettera dei seminaristi dell’IBP fosse stata opera della nostra Redazione, tanto l’aveva apprezzata, riletta, diffusa in quel momento tragico, mentre noi ne fummo al massimo ispiratori di fatto, ma in nessun modo autori. Non ci credette mai e continuava a complimentarsi con noi, ma sbagliava, l’autore fu un allievo suo e nostro, ma non il Direttore. Val la pena rileggerla comunque perché rispondeva alla lotta che infuriava all’epoca e che lui sposò convintamente (Lettera dei seminaristi dell’IBP), anche se poi fece una scelta di tranquillità, che in lui almeno aveva la scusante dell’età e della stanchezza accumulata.

Non ci stancammo mai di ripetere - e qualcuno lo ha anche ripreso ultimamente - che il gesto in cui riluce l’aspetto a noi più caro dell’abbé Aulagnier e rivelatore del suo animus fu durante gli anni Duemila, quando, dopo l’accordo canonico prodottosi nel caso dell’Amministrazione Apostolica San Giovanni Maria Vianney di Campos (un buon accordo in sé, disgraziatamente rovinato dal notorio carrierismo di qualcuno), ebbe il coraggio di gridare forte in seno alla FSSPX che era giunto il momento d’un accordo canonico. Da realizzarsi in una duplice prospettiva: servire la Chiesa, il cui rapporto col mondo tradizionale ha ricadute a livello generale e preservare il mondo tradizionale dal pericolo di radicamento d’una mentalità tendente allo scisma. Per quei seminaristi di spirito romano di Flavigny ed Ecône significò molto: era l’amico di Mons. Lefebvre che parlava, e la sua voce era più difficile da liquidare. Subì condizionamenti con i soliti metodi - ciò che gli valse un significativo aggravamento di salute - gli fu ingiunto il silenzio, fu minacciato delle più severe sanzioni, ma scelse di non tacere (il che sarebbe stato schizofrenico stante l’importanza della “denuncia dell’errore” propugnata dalla FSSPX nei confronti perfino del Vicario di Cristo). Avrebbe potuto essere in favore dell’accordo canonico purché non dichiarasse nulla pubblicamente. Scelse, con grande coerenza, che rimanere in silenzio sarebbe stato iniquo. Il dovere di parlare, e talvolta pubblicamente, per il bene della Chiesa non può essere limitato a taluni pericoli, ma se gli errori gravi talvolta sono anche in casa “tradizionalista” e se la verità vale più del tornaconto, bisogna accettare questo ruolo ingrato. E l’abbé Aulagnier lo fece, denunciando quella che stava diventando una deriva scismaticheggiante. Fu deposto da Assistente Generale della FSSPX, in pratica “accompagnato alla porta”. E non “se ne allontanò con nostro grande dispiacere”, come recita il Comunicato ufficiale della FSSPX del 6 maggio 2021 (Fraternità in cui, a causa dell’ostinata ambiguità di Mons. Fellay, si è ingenerata una reazione di rigetto all’accordo e che ora è guidata da un Capo che preferì andare a Singapore per non sottostare a un Superiore “accordista”. L’abbé Aulagnier non doveva avere tutti i torti…). Davvero non si teme la menzogna più spudorata pronunciata contro chi non c’è più. No, fu cacciato - e in malo modo - si riconosca il torto, o almeno si taccia, ma si evitino contraffazioni della realtà ad usum delfini. Qui habet aures audiendi audiat. Se queste poche righe potranno contribuire a ristabilire la giustizia su chi non può più difendersi sulla terra, non saranno state scritte in vano.

Certo tutti sanno che nel 1988, come accennavamo sopra, fu “l’uomo delle Consacrazioni”, la cui assoluta necessità affermò sempre perentoriamente e senza voler sentire ragioni ponderate quantomeno di riflessione aperta; su questo punto era sempre passionale. Ma era anche l’uomo che, quando in coscienza riconobbe l’accordo possibile e doveroso, ebbe il coraggio di dirlo, pagando con la solitudine, l’oblio e la calunnia una posizione che non era stata di comodo. Onore al merito, “cher Abbé”, per riprendere quella sua usitata espressione. Ce ne siamo dette di tutti i colori, in certi frangenti, ma pur sempre con un reciproco riconoscimento da soldati di uno stesso esercito.

E coraggioso lo fu anche quando - e la Fraternità San Pietro gli dovrebbe eterna gratitudine - rivelò molto di quel piano assai poco onorevole per cui dei firmatari chiedevano alla Curia Romana di poter celebrare anche secondo il rito riformato, con ciò gettando lo scompiglio nella FSSP. Senza l’abbé Aulagnier, che contribuì a rendere pubblici quei documenti, forse oggi la FSSP non si sarebbe ripresa sotto nessun profilo (evidentemente non parliamo dell’aspetto relativo alla battaglia dottrinale che ancore langue, pur essendo questo l’aspetto più importante, ma dell’attuale condotta liturgica). Se non ci fosse stato quel coraggioso sacerdote che sapendo di esporsi a denunce e risarcimenti con la diffusione di quei documenti, la verità non sarebbe emersa con la necessaria chiarezza. Ci pensino, anche coloro che…con una condotta più servile che non genuinamente filiale verso l’Autorità, gli inviarono quei documenti…perché circolassero. E quando gli chiedevamo, sapendo che era dell’Alvernia, quindi notoriamente non certo uno spendaccione, se quelle multe per diffusione di documenti interni non gli fossero costate troppo care, intuendo la nostra provocazione ci rispondeva “mai soldi furono meglio spesi!”. E aveva ragione da vendere perché quella corrispondenza non era cosa privata, ma riguardava il bene pubblico della Chiesa e bene fece a pubblicarli.

E poi un’ultima parola sul suo amore alla Messa, la sua lotta di una vita in difesa della “Santa Messa di sempre” come la chiamava lui, difesa senza quartiere che talvolta gli lasciava sfuggire anche qualche frase inappropriata e una foga che ci permettemmo di rimproverargli, ma l’abbé Aulagnier su alcuni punti era un po’ rimasto al clima immediatamente successivo al 1988 (se non immediatamente successivo al 1976).

Noi lo ricordiamo così ed era giusto che la nostra Rivista gli rendesse omaggio, e non con quell’asettica impersonalità dei ricordini funebri. Siamo fiduciosi che dall’eternità, da dove vede tutto con maggior chiarezza, l’abbé Aulagnier ci sta già aiutando, l’abbiamo anche sperimentato.

  Don Stefano Carusi - Abbé Louis-Numa Julien