Papa Francesco bacia la mano al sacerdote “pro omosessuali”. "Accordo dottrinale?" "Conversione di Roma?" |
31 maggio, Maria Regina
Disponibilità all’accordo, ribattezzandolo
E’ pervenuta a questa Redazione, da fonte plurima, la
notizia di un possibile accordo FSSPX-Roma a Pentecoste, quantomeno di un
tentativo in tal senso. In un colloquio della Commissione Ecclesia Dei con Sua Santità Francesco su questo oggetto, gli
esponenti della Commissione avrebbero fatto presente a Papa Bergoglio che non
c’è pieno accordo sulla dottrina, e questi avrebbe risposto che la cosa non è
importante, anche i neocatecumenali hanno le loro idee dottrinali, i
lefebvriani hanno altre idee dottrinali...Si noti bene: non che la “nota teologica”
delle questioni controverse sia di poco conto, ma è la dottrina stessa che non è
cosa importante.
È vera questa informazione? Naturalmente, anche l’eventuale
presenza di un tentativo in tal senso non implicherebbe automaticamente la
riuscita del tentativo stesso. Ma qualcosa c’è. Ne citiamo alcuni elementi.
Già nei mesi scorsi, Mons. Fellay ha ridimensionato un
suo giudizio molto pesante sul Pastore latinoamericano (sempre in nome del
“contesto” particolare in cui si era precedentemente espresso, s’intende!) e il
fatto lasciava presagire che qualcosa nell’aria ci fosse. In tempi più recenti,
Mons. Williamson ha informato che Mons. Fellay avrebbe prospettato la
possibilità di una regolarizzazione (ma, giocando sulle parole, la
regolarizzazione sarebbe stata chiamata non “accordo”, bensì “riconoscimento
unilaterale” o “riconoscimento di garanzia”); il Superiore della FSSPX ai suoi
seminaristi ha detto che questa sarebbe una cosa buona, ma senza spiegare
perché egli in passato ha detto tutt’altro (cfr. ad esempio qui); si invoca soltanto l’abusato ritornello passe-partout
del “contesto” delle sue passate affermazioni.
In questi giorni è poi uscita la notizia che i vertici della Fraternità San Pio X hanno pranzato con Papa Francesco: e ovviamente mons. Fellay è corso a minimizzare. Dopo tanti discorsi che hanno assolutizzato ed enfatizzato che la Fraternità (e solo la Fraternità) parlerebbe sempre pubblicamente, non aveva tuttavia ritenuto di dare lui stesso notizia di questo incontro conviviale, pur breve e più o meno casuale (ovviamente!).
In questi giorni è poi uscita la notizia che i vertici della Fraternità San Pio X hanno pranzato con Papa Francesco: e ovviamente mons. Fellay è corso a minimizzare. Dopo tanti discorsi che hanno assolutizzato ed enfatizzato che la Fraternità (e solo la Fraternità) parlerebbe sempre pubblicamente, non aveva tuttavia ritenuto di dare lui stesso notizia di questo incontro conviviale, pur breve e più o meno casuale (ovviamente!).
Anzi, nella sua intervista del 20 gennaio c.a. al
bollettino del distretto svizzero della San Pio X (aprile-maggio 2014),
intervista pubblicata sul noto sito francese di tale Fraternità La Porte Latine, alla domanda “c’è stato un approccio ufficiale di Roma per
riprendere contatto con voi dopo l’elezione di Papa Francesco?”, Mons. Fellay
di fatto ha risposto dissimulando: “C’è
stato un approccio ‘non ufficiale’ di Roma per riprendere contatto con noi, ma
niente di più e non ho sollecitato alcuna udienza come avevo potuto fare dopo
l’elezione di Benedetto XVI”. Mons. Fellay non dice però che proprio il
mese prima aveva incontrato Francesco, la sua negazione di averne sollecitato
una udienza va dunque intesa, alla luce di quanto recentemente è emerso, come
espressa con restrizione mentale. Va letta così: “l’incontro c’è stato, ma non è stato ufficiale, non l’ho chiesto io o
comunque non l’ho sollecitato”. Se fosse stata un’altra società
ecclesiastica ad esprimersi così, non l’avrebbero accusata di usare un
linguaggio ambiguo, un “linguaggio conciliare”?
Un intervento rivelatore
È poi uscito, su Le
Seignadou di aprile, un interessante articolo dell’abbé Michel Simoulin,
peraltro già stimato superiore del Distretto italiano della FSSPX. L’articolo,
che si inserisce nella tendenza di cui sopra, merita attenzione, appunto a
titolo esemplificativo, vista l’autorevolezza dell’estensore e vista la
circostanza per cui egli, notoriamente, non prenderebbe mai una posizione
contraria all’animus dei capi della
San Pio X.
In tale articolo sono dette alcune cose che questa
rivista sottoscrive in pieno: “Chi dice
linea di cresta dice pericolo di questi due lati. Uno è quello del
riconoscimento male assicurato, l’altro è il pericolo interno appena descritto
(si riferisce alla tendenza Petite eglise,
ndr)”. È quello che noi chiamiamo “terza via”, “terza posizione”. Nel testo
sono dette anche cose che - storicamente e di per sé - notoriamente
condividiamo: pensiamo alla grave descrizione delle forti tendenze da Petite Eglise. E’ descritta una situazione
che, quando negli anni scorsi era oggetto di preoccupazioni (anche dall’interno
o da persone amiche), ha attirato su chi la manifestava come minimo il giudizio
di essere un “fissato”.
D’altro lato nell’articolo ci sono cose che nel
complesso non possiamo sottoscrivere, come l’assolutezza dell’appello a “far fronte sotto la saggia e prudente
direzione dei capi che Dio ci ha dati”. È vero che nelle presenti
circostanze c’è il problema molto concreto della situazione da gestire, della
“baracca da mandare avanti”; è vero che il diavolo, tentando sub specie boni, lavora incessantemente per dividere; ma se un
tale asserto, che nell’articolo non è bilanciato da nessun’altra considerazione,
fosse appunto un assoluto: come giustificare allora la resistenza ai Parroci, ai
Vescovi e ai Papi “che Dio ci ha dati”?
Dare sistematicamente a Mons. Fellay quella fiducia cieca, quell’ubbidienza
cieca che, a ragione, si nega anche al Papa (specie nel nuovo corso ecclesiale),
non manifesta proprio quello spirito crescente da Petite Eglise che l’abbé Simoulin giustamente denuncia e
stigmatizza? Questi saggi e prudenti capi, che (pur in circostanze difficili)
hanno lungamente seminato vento e oggi raccolgono tempesta, sono esentati dal
dare spiegazioni sulle loro contraddizioni? Questo richiamo all’unità,
contraddetto dalle ostinate sanzioni di mons. Fellay verso chi dissente dalla
sua linea del momento, può esentare tali capi dal rispondere alle obiezioni
sollevate, bene o male, dagli accordisti
chiari e dichiarati e dagli antiaccordisti
chiari e dichiarati? Vi è solo la sistematica scorciatoia autoritaria del
punire chi pone obiezioni o si potrebbe anche rispondere onestamente - e ad rem - alle obiezioni stesse? Tale
comportamento non è forse settario? E settario non resterebbe anche nel caso
di un accordo (di potere)?
Ma la principale affermazione dell’abbé Simoulin dalla
quale dissentiamo è la seguente, particolarmente interessante appunto perché
chiaramente esemplificativa di un concetto che non è soltanto dell’estensore
dell’articolo in oggetto, ma che sta andando di moda.
“Smettere di
imporci d’accettare il Vaticano II senza possibile discussione, e accordarci
questa libertà sarebbe già una tappa importante, perché significherebbe
riconoscere implicitamente che i nostri argomenti hanno un valore. Una autorità
che consentisse questo sarebbe già un’autorità non ostile alla Tradizione, cioè
desiderosa di ristabilirla nella Chiesa, e sarebbe già una vera conversione di
Roma”.
Discorso che fa rima con il ritornello del
“riconoscimento unilaterale”, “senza firmare alcun accordo”, “senza condizioni, come fu per la revoca del decreto di
scomunica”… e che è - oggettivamente - una menzogna. Che forse salva la propria
superbia, ma di certo sacrifica la realtà.
Il ritornello del “riconoscimento
unilaterale”, ovvero la via della superbia e della menzogna
La vistosa arrampicata sugli
specchi di questo autorevole ed ubbidientissimo esponente della FSSPX mostra
bene come siffatti discorsi del “riconoscimento unilaterale” sono,
oggettivamente parlando e fatte salve le intenzioni soggettive, una menzogna. Come
fu oggettivamente una menzogna quella della “revoca unilaterale del decreto di
scomunica”. Infatti, chi ricorda che in precedenza mons. Fellay aveva riferito
che per ottenere tale revoca avrebbe dovuto farne domanda scritta, che questa
era una “condizione” e una “condizione inaccettabile”, giacché se avesse
scritto una lettera per chiedere l’annullamento del decreto avrebbe con ciò
riconosciuto la validità della scomunica? Ci ricordiamo? E invece più avanti
la lettera l’ha scritta, senza dare realmente spiegazioni sul suo mutamento di
giudizio.
Non solo: la lettera in
oggetto, che prima era una “condizione inaccettabile” e poi non costituiva più
nemmeno una “condizione”, pur essendo stata scritta, pur essendo dunque un
documento importante e un atto pubblico per sua natura, non è stata mai
pubblicata integralmente. Peggio ancora, le due parti ne hanno diffuso due versioni virgolettate diverse dell’unico brano pubblicato. Chi lo ricorda?
Più recentemente, come ha
osservato anche Giacomo Devoto in un articolo da un’angolatura che non è la
nostra, di sicuro qualcosa di dottrinale
nella direzione voluta dal Vaticano Mons. Fellay lo ha già firmato: giacché in Vaticano hanno ancora il testo del
preambolo dottrinale firmato da lui due anni fa. Testo in cui il prelato
svizzero afferma di riconoscere la legittimità della promulgazione del Novus Ordo Missae e sottoscrive il
principio della reciprocità tra la Tradizione e il Concilio. Questo testo
successivamente fu giudicato da mons. Fellay - quando l’accordo non andò in
porto - meno opportuno di quello che gli era sembrato, ma non un testo sbagliato
nei suoi contenuti. Anzi, nella lettera da lui scritta al Santo Padre Benedetto
XVI dopo la richiesta vaticana di ulteriori concessioni (un altro documento
restato dietro le quinte e che è stato portato alla luce solo da terzi), egli
scrisse che tali ulteriori concessioni, chieste dal Vaticano alla FSSPX nel maggio-giugno
2012, non sarebbero passate a causa del
contesto del momento! E’ evidente che qui non si parla di contenuti
erronei, non c’è una ritrattazione chiara (e fatta in tutte le sedi) di quel
testo. Al punto tale che “i suoi” hanno potuto comprendere - un po’ velleitariamente
e fideisticamente - che esso è ritirato e al contempo gli interlocutori in
Vaticano hanno potuto parimenti comprendere che tale è la posizione del capo
della FSSPX, ma che - a motivo dei suoi problemi interni in quel momento, a
motivo del “contesto” - non poteva essere detta ad alta voce, occorreva saper
aspettare.
Ci sono poi tanti modi per
“fare compromessi”, dei quali sottoscrivere pubblicamente un testo è soltanto
il modo più chiaro e alla luce del sole. Ad esempio, quando Antonio Socci, una
penna non di formazione tradizionale, ma intellettualmente onesta e coraggiosa,
nei mesi scorsi scrisse una serie di articoli su alcuni strani aspetti dell’abdicazione
di S.S. Benedetto XVI - articoli che fecero tremare molti in Vaticano, più che
i discorsi un po’ accademici, i quali alla fin fine si potrebbero far rientrare
in un contesto di pluralismo - paradossalmente anche dall’area della Fraternità
bergogliana corsero a levarsi voci “normalizzanti” su un punto così esplosivo e
capitale.
Crediamo noi al primato della verità? Se ci crediamo, come possiamo sostenere (come l’abbé Simoulin dichiara esplicitamente e altri in fondo sostengono, ma con minor chiarezza) che la libertà di discutere il Concilio Vaticano II si identifica ipso facto con il “ritorno alla Tradizione”, con la “conversione di Roma”? Se le cose stessero così, sarebbero da considerare convertite, ad esempio, alcune persone di nostra conoscenza che dicono: “Tu sei libero di non accettare il Concilio e io sono libero di volere i matrimoni omosessuali”; “Tu hai il diritto di non accettare la nuova Messa e una donna che vuole abortire ha il diritto di farlo”. Ed è questa – postmoderna, relativista, libertaria e nichilista – una tendenza crescente, specialmente nelle nuove generazioni, cattolici compresi.
Crediamo noi al primato della verità? Se ci crediamo, come possiamo sostenere (come l’abbé Simoulin dichiara esplicitamente e altri in fondo sostengono, ma con minor chiarezza) che la libertà di discutere il Concilio Vaticano II si identifica ipso facto con il “ritorno alla Tradizione”, con la “conversione di Roma”? Se le cose stessero così, sarebbero da considerare convertite, ad esempio, alcune persone di nostra conoscenza che dicono: “Tu sei libero di non accettare il Concilio e io sono libero di volere i matrimoni omosessuali”; “Tu hai il diritto di non accettare la nuova Messa e una donna che vuole abortire ha il diritto di farlo”. Ed è questa – postmoderna, relativista, libertaria e nichilista – una tendenza crescente, specialmente nelle nuove generazioni, cattolici compresi.
Se crediamo al primato della verità, dovremmo
reagire ai problemi in ben altra maniera rispetto a certe arrampicate sugli
specchi per dissimulare il proprio cambiamento. Si dovrebbe riconoscere, in
tema di accordo, che si è preso atto che ci sono problemi e pericoli sia a
farlo (ed è vero) sia a non farlo. Si dovrebbe avere l’onestà intellettuale di
riconoscere che il criterio principale della fattibilità o meno dell’accordo –
e sottolineiamo questo punto capitale – non è la conversione dell’autorità, pur
ovviamente desiderata, ma se quest’ultima mi chiede o meno delle cose in
coscienza inaccettabili o almeno imprudenti. Così si direbbero le cose come
stanno, senza scorciatoie orgogliose e ipocrite. Non è questa, purtroppo, la
condotta che sino ad oggi è stata seguita: e la linea ondivaga, tatticista,
ambigua e autoritaria lungamente seguita da mons. Fellay (favorita - va detto - da certe condotte del
Vaticano, il quale ne è quindi corresponsabile, specie quando in passato “alzava il prezzo” quando Mons. Lefebvre
domandava umilmente l’accordo) ha esasperato gli animi. Tutto ciò ha creato un
terreno sfavorevole all’accordo, che passa ormai per “roba da imbroglioni” ed
ha seminato la divisione, ha moltiplicato le rotture… Al punto tale che persone
che dieci-dodici anni fa erano di sentimento notoriamente accordista, oggi
ripetutamente le troviamo su posizioni esasperatamente od ottusamente
antiaccordiste.
Se crediamo al primato della
verità, dobbiamo riconoscere che il denunciato pericolo di legittimazione della
situazione attuale, di favoreggiamento della prospettiva pluralista, pericolo che
anche mons. Fellay addusse dal 2000 in avanti (un po’ troppo schematicamente,
ma non del tutto a torto), presentandolo come un rischio inaccettabile
dell’accordo, oggi, anche se non gli facessero firmare (altri) testi,
sussisterebbe ancor più. O dunque il capo della San Pio X riconosce seriamente
di essersi sbagliato o, se il contesto era troppo sfavorevole ieri perché
l’Autorità non tornava alla Tradizione e si sarebbe stati complici del
pluralismo relativista, ne consegue che lo è ancora di più oggi. Seguendo allora
fedelmente quanto da egli stesso detto non può prestarsi a una tal cosa; e non
è serio coprirsi con la foglia di fico del discorso, oggettivamente ipocrita,
di una Roma che gli correrebbe dietro per offrirgli un riconoscimento, senza
alcun concorso da parte sua. Certo, quando va in pellegrinaggio a Roma deve pur
mangiare da qualche parte…perché non a Santa Marta? Si mangia bene, si spende
poco, i camerieri sono simpatici…E guarda un po’ il caso, c’era a pranzo pure il
complesso Pontefice sud americano. Ma sai che c’è, visto che ci sono gli faccio
un salutino, così, en passant…
Se crediamo nel primato della
verità dobbiamo dire, invitando ciascuno ad assumersi con onestà intellettuale
le proprie responsabilità: è vero, questo accordo in stile bergogliano, verso
cui - è un fatto - si manifesta disponibilità, non è un compromesso: è una resa. Non
si accetta il Concilio Vaticano II:
si accetta il Concilio Vaticano III. Non è un
accordo pratico, non dottrinale: è un pragmatico e spregiudicato accordo di
potere, radicalmente antidottrinale. E ciò al di là del fatto se esso andrà in
porto o meno, come già accaduto.
Purché sia salva la facciata,
purché sia salvo il proprio orgoglio, si può tradire la sostanza. Se da quelle
parti si riflette ancora, come fanno in tanti a non accorgersene?
La Redazione di
Disputationes Theologicae