23 luglio 2011

I rapporti fra Chiesa e Stato: un punto di vista teologico e documentario

Il dibattito teologico recente, quando deve misurarsi alla complessa questione dei rapporti fra il Papato e il Regno, si nasconde dietro un assai poco credibile evoluzionismo dottrinale ed evita spesso la trattazione metodica. Il potere esercitato dai Romani Pontefici sarebbe il mero prodotto di un’epoca, la “medievale”, che di fatto e a torto avrebbe tollerato tali “ingerenze ecclesiastiche”.  Al Papa, seguendo tale logica, spetterebbe solo un ruolo di “guida spirituale” dei governanti, un “potere direttivo”, un ruolo sì di “speciale consigliere”, ma che non interferisca su quella sovranità indipendente, “regia” un tempo, “popolare” oggi. Le pretese di Filippo il Bello e il già condannato Gallicanesimo politico di fine ‘600 sono ormai dottrina comune della teologia rinnovata, la quale si trova riconfortata da un universo politico e sociale che si abbevera alle fonti della filosofia kantiana e che ha da tempo evacuato la finalità soprannaturale (ed ultima) dell’uomo. Non è questo il pensiero della Chiesa i cui figli, San Tommaso in primis, quando hanno trattato la questione in termini teologici, convengono nel riconoscere al Papa una vera potestas sui governi temporali di questo mondo, sia essa - seguendo una distinzione di scuola ormai classica - directa o indirecta. La materia su quest’ultimo punto è libera e, se non è lecito tenere la gallicana teoria del citato “potere direttivo” e pur essendo la teoria della potestas indirecta ampiamente diffusa e maggioritaria fino ad epoca recente, è lecito - e doveroso per lo studioso - prendere in considerazione anche le ragioni degli assertori della potestas directa. E’ tuttavia nostro avviso e ci ripromettiamo di tornare sull’argomento, che quando si traducono le due teorie in termini pratici, le conclusioni non differiscano in maniera sostanziale. Il collaboratore della nostra rivista il Dott. Samuele Cecotti ci propone una trattazione teologico-documentaria di grande interesse, preziosa la recentissima bibliografia in nota.





La potestas in temporalibus del Papa:
un contributo alla riflessione


Samuele Cecotti




Raffaello Sanzio e aiuti, La translatio Imperii operata da Papa Leone III in favore di Carlo Magno, Stanze del Raffaello



Nel dibattito teologico contemporaneo non è molto frequente il tema della Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo o della potestas in temporalibus del Papa, generalmente in conseguenza di un prevalente mutamento di clima culturale negli studi degli ultimi cinquanta anni, particolarmente nel torno di tempo successivo al Concilio Ecumenico Vaticano II.



In verità, è da notarsi che l’ultimo Concilio non cancellò[1], né avrebbe potuto farlo, la dottrina di Cristo Re[2] definita da Pio XI[3], né la dottrina della potestas indirecta in temporalibus[4], unanimemente riconosciuta, da secoli, come dottrina teologicamente certa e, se non verità de fide catholica, certamente doctrina proxima fidei[5]. Il Concilio avrebbe, invece, avuto autorità per risolvere magisterialmente la quaestio disputata della potestas directa in temporalibus[6]. Ma in nessun documento del Vaticano II v’è traccia dell’oggetto, né di una simile volontà definitoria.

Alla luce della ermeneutica della continuità insegnata da Benedetto XVI come l’unica conforme alla natura della Chiesa, confortati dal secolare dibattito teologico sulla potestas in temporalibus e dal positivo silenzio del recente Magistero su tale quaestio disputata, si deve riconoscere all’oggetto della presente riflessione una virtuale attualità, benché da molti decenni pressoché assente dalla pubblicistica teologica[7].

Sicché, con quella libertà che la Chiesa concede ai suoi figli riguardo le dottrine disputabili, veniamo di seguito a proporre alcuni argomenti a favore della dottrina della potestas directa in temporalibus, affinché il dibattito scientifico possa ricevere un contributo attorno ad un argomento, che se di fatto recentemente negletto non risulta a ben vedere per sé trascurabile.

A dissipare previamente eventuali equivoci, ci corre l’obbligo di anteporre alle successive argomentazioni una precisazione: affermare che la dottrina della potestà diretta in temporalibus non sia stata sino ad ora fatta oggetto di definizione dogmatica corrisponde al vero solo se si intende trattare della potestà del Papa e non già della potestà di Colui del quale il Papa è Vicario. Se, infatti, si volesse negare a Nostro Signore Gesù Cristo la piena e diretta potestà anche in temporalibus, si cadrebbe in un patente errore essendo, tale potestà, oggetto della definizione magisteriale della Regalità sociale di Cristo. Che Cristo sia Re per diritto di natura e di conquista, “dominum et gubernatorem spiritualium et temporalium[8], che a Cristo “Dio gli conferì il regno del mondo intero”[9], insomma, che Nostro Signore sia titolare della suprema e universale potestà, spirituale e temporale, sui singoli e sulle società, è verità di fede.

Ciò su cui il Magistero non ha, sinora, inteso pronunziarsi in forma definitiva, non è la titolarità della potestà diretta in capo a Cristo, “Rex regum et Dominus dominantium” (Ap 19, 16), ma l’eventuale diretta delegazione di tale potestà a Pietro. Se la potestas indirecta appartiene alla Chiesa[10] per Sua natura costitutiva, essendo declinazione in temporalibus di quell’auctoritas sacrata pontificum[11] propria del Sacerdozio –ratione peccati[12]– e in virtù della ordinazio ne dei fini (temporale e spirituale), la potestas directa non è riducibile all’autorità spirituale, essendo potestà temporale “seu secundum seipsa temporalia[13], regalis potestas suprema e universale.

Se è il ministero petrino stesso a dare ragione della potestas indirecta in temporalibus del Papa – ciò che è della Chiesa lo è eminentemente del Papa[14], così che il Successore di Pietro disporrà del pieno diritto, proprio del Sacerdozio, ad intervenire autoritariva mente nelle cose temporali – la potestas directa, non avendo il proprio fondamento nei munera sacerdotali, presuppone che Cristo abbia positivamente delegato a Pietro la propria Regalità sociale. Pietro e i suoi successori verrebbero, così, ad essere titolari della regalis potestas universale, unendo nella propria persona, analogamente a Cristo, sia la suprema autorità spirituale sia la suprema potestà temporale.

Come dimostrare la presenza nel Depositum Fidei di simile verità rivelata? Anche qualora non fosse possibile fondarne il riconoscimento su sicure basi bibliche, nulla vieterebbe di ricercare in altra fonte della Rivelazione ciò che il dato scritturistico, in verba, tace. Si avrebbe il caso, tutt’altro che isolato ed insolito, d’una verità rivelata trasmessa nel Depositum Fidei unicamente dalla Tradizione (come nella funzione completiva della Tradizione).

Premesso ciò, va rilevato in esordio che non sarebbe corretto passare sotto silenzio l’autorevolissima esegesi che i papi Innocenzo IV, nel decreto Aeger cui levia, e Bonifacio VIII, nella bolla Unam Sanctam, danno, alla scuola di grandi teologi come san Bernardo di Chiaravalle e Giovanni di Salisbury[15], della pericope di Luca 22, 38, facendo delle parole rivolte dal Signore agli Apostoli la base scritturistica per la dottrina della potestas directa in temporalibus[16].

E’ disputato, invece, se in san Tommaso la dottrina delle due spade sia intesa nel senso della potestas directa o della giurisdizione papale in temporalibus in ragione della potestas indirecta[17]. L’Angelico è una di quelle autorità il cui insegnamento potrebbe essere invocato a sostegno della dottrina della potestà diretta[18], anche se non si può affermarne l’adesione con altrettanta certezza di quanta sia lecito porre nel riconoscere il Dottore Comune come uno dei più puntuali assertori della potestà indiretta in tutta la sua estensione[19]. All’Aquinate si deve, però, la formulazione di una sorta di potestà diretta in temporalibus spettante alla Chiesa, per la quale “in isto tempore reges sunt vassalli Ecclesiae[20].

E’ vero che autorevoli teologi cattolici negano veridicità alla dottrina della potestà diretta, a partire dal XVI secolo, tra i quali vanno segnalati i gesuiti san Roberto Bellarmino e Francisco Suarez[21], i domenicani Domenico de Soto[22] e Tommaso de Vio, Francisco de Vittoria[23] e, ai nostri giorni, noti esperti di diritto pubblico ecclesiastico come il cardinal Ottaviani[24], i domenicani Zigliara[25] e Garrigou-Lagrange[26] e i gesuiti Liberatore[27] e Cappello[28].

Ma tanta vastità di fonti contra può rivelarsi, in fondo, paradossalmente, anche argomento pro. Infatti, quanto meno ciò dimostra la secolare durata di una disputa non ancora risolta, la quale, se impegnò, dal XVI secolo, così tanti ingegni nel sostenere la tesi della sola potestas indirecta senza che l’impegno delle prime generazioni (quello della Seconda Scolastica) liberasse le successive da simile onere intellettuale, con ciò, prova la resistenza della tesi favorevole alla potestas directa e, in fondo, la persistenza dei suoi argomenti.

Non si deve pensare, inoltre, che il mancato pronunciamento definitorio del Magistero abbia evitato la condanna della dottrina della potestà diretta. E’ vero, semmai, il contrario. Infatti, ogni qualvolta intervenne sull’argomento l’autorità della Chiesa preferì conservare ai propri sudditi la libertà in materia, e ciò fece evitando di condannare quanti negavano la potestas directa. Celebre, al riguardo, il caso del Bellarmino che fu sul punto d’esser condannato come autore di cosa eretica, da papa Sisto V[29], per aver negato la potestas directa in temporalibus del Vicario di Cristo. La morte del grande papa francescano impedì la condanna del teologo gesuita, dato che i Successori, ritenendo la questione ancora aperta, preferirono non impegnare il Magistero in tal senso.

Nonostante, dunque, il prevalere, negli ultimi secoli, della tesi di Bellarmino e della Seconda Scolastica, allo stato attuale non si dà alcun atto nel quale il Magistero si pronunzi apertamente contro la dottrina della potestà diretta mentre non mancano gli atti suscettibili di essere invocati a sostegno di tale dottrina. Pensiamo, innanzitutto, al Magistero dei papi Innocenzo III[30], Innocenzo IV[31], Bonifacio VIII[32] e Giovanni XXII[33]. Inoltre, non mancano elementi di conferma alla potestas directa nella Liturgia[34] e nel cerimoniale papale[35]. A riguardo, merita di essere menzionato l’insegnamento favorevole alla potestà diretta in temporalibus del Papa, di santi come Giovanni da Capestrano e di illustri teologi e canonisti[36] come Egidio Romano[37], Giacomo da Viterbo[38], Alvaro Pelayo[39], Alano Anglico, Guglielmo Amidani da Cremona[40], Favarone de’Favaroni[41], Guido Vernani da Rimini[42] e molti altri.

Quale argomento a favore della potestà diretta in temporalibus del Papa sarebbe più forte del suo uso storicamente attestato? Se si provasse che i Romani Pontefici si reputarono in diritto d’usare della potestà diretta, non si proverebbe forse che quegli stessi Papi credettero il Vicario di Cristo quale titolare, in grado sufficiente, di quella Regalità sociale universale che è propria, in grado eminente, di Cristo Re? E se così fosse non si porrebbe più d’un problema alla risoluzione della vexata quaestio a favore della tesi contraria alla potestas directa?

Nella bolla Inter cetera di papa Alessandro VI del 4 maggio 1493, secondo un giudizio che vuole essere un contributo alla risoluzione della questione, si ha un palese esercizio della potestà diretta in temporalibus da parte del Sommo Pontefice. Con essa il Papa assegna, facendone dono ai Monarchi di Spagna, tutte le terre poste di là di una immaginaria linea a cento leghe ad ovest delle isole Azzorre. Tali terre, non deserte, erano soggette alla regalis potestas di re che, benché pagani, conformemente alla dottrina cattolica ed alla filosofia classico-cristiana, erano realmente e legittimamente signori, iure naturali, dei propri regni. Si tenga presente che il caso in oggetto non si presta ad essere risolto con la categoria della conquista iure belli. Infatti, il Papa, con il suo atto, non legittimò la titolarità spagnola sulle terre “nuove” eventualmente già conquistate ma attribuì alla Spagna giurisdizione su terre, addirittura, non ancora esplorate.

E’ vero che la Santa Sede agì per comporre i dissidi tra Spagna e Portogallo[43] e che ebbe a cuore l’evangelizzazione di popoli pagani, ma tutto ciò non muta la natura oggettiva dell’atto: la sottrazione dei beni e dei regni di principi pagani ed il trasferimento degli stessi nel dominio della Corona spagnola, sottrazione e trasferimento compiuti dal Papa “auctoritate omnipotentis Dei, nobis in beato Petro concessa, ac Vicariatus Ihesu Christi, qua fungimur in terris[44]. Riesce veramente difficile ricondurre simile atto pontificio alla mera potestà indiretta[45].

Certamente la bolla di Alessandro VI rappresenta l’esempio più evidente di potestà diretta esercitata da un Romano Pontefice, anche se, a nostro avviso, si danno altri e più antichi esempi. Nel secolare conflitto tra Papato e Impero più volte la Sede Apostolica ebbe modo di precisare la natura dell’Imperatore come executor et minister Papae in temporalibus[46], provando la consapevolezza della Chiesa circa gli oneri squisitamente temporali di ordine universale in capo al Papa, per delegazione di Cristo Re.

In sostanza, è lo specialissimo legame tra la Sede di Pietro ed il Sacro Romano Impero[47] il terreno ottimale per la ricerca di quegli indizi che possano provare come la dottrina della potestà diretta sia stata vissuta, per secoli e nel corso di innumerevoli Pontificati, come parte della dottrina della Chiesa.

Non costituiscono, forse, un primo importante indizio di ciò le proposizioni VIII[48] e XII[49] del Dictatus Papae, dove la XXVII[50] lo è della potestas indirecta? Tanto più che san Gregorio VII scrive a re Sancho d’Aragona: “Pietro è stato costituito da Cristo principe su tutti i regni della terra”[51]. La traslatio Imperii dai Greci ai Franchi compiuta la notte di Natale dell’800 da san Leone III e rinnovata, a favore dei Tedeschi, nel 962 da papa Giovanni XII non è forse un chiarissimo esempio di esercizio papale della potestà diretta? Occorre rispondere affermativamente con papa Bonifacio VIII: “sicut enim Pater dedit Filio potestatem non in tempore, sed in eternitate, sic Christus homini et Christi Vicario dedit potestatem in tempore, ut ipse habeat ius constituendi imperatorem et imperium transferendi[52].  Se l’imperatore possiede, de iure, l’usus e l’executio della potestà temporale universale[53], è il Papa che confirmat, iniungit et coronat, approbat, reprobat et deponit l’imperatore. Con quale autorità se non con quella delegata a Pietro da Cristo Re? Se l’imperatore è princeps mundi e – insegna Bonifacio VIII – è il Papa a constituere imperatorem[54], la logica non impone forse di riconoscere nel Vicario di Cristo il “regum terrae sacer princeps[55], ovvero il Rector orbis cui compete suprema e universale potestà diretta in temporalibus?

Quale è la relazione tra la Regalità sociale di Cristo e la potestà imperiale?[56] Il Dottore Comune insegna che Cristo è Rex Sempiternus e tale è il Suo Regno, che il principato di Cristo è iniziato immediatamente al momento della sua nascita storica[57] e che l’imperatore (romano) ricevette da Cristo l’onere di tale ufficio[58]. A trarre da ciò le logiche conseguenze fu la stessa scienza giuridica che, ad esempio con Bartolo da Sassoferrato, riconobbe in Cristo il titolare dell’Impero, titolarità delegata da Nostro Signore a Pietro e, in Pietro, ai Suoi Successori[59].

Già papa Adriano I, nell’VIII secolo, indicava in Cristo il vero titolare dell’Impero così che Giovanni VIII, nell’875, poteva usare la formula “regnante imperatore domino Jesu Christo”. In relazione al nostro oggetto è particolarmente significativa la risposta data dalla Sede Apostolica al problema della vacanza imperiale. Ben prima che papa Innocenzo IV affermasse “succedit Papa Imperio vacante[60], dopo la deposizione di Enrico IV, invalse nelle cancellerie ecclesiastiche la formula “Domino nostro papa Gregorio romanum Imperium tenente[61].

Se l’Impero è il principatus Christi, come si può ricavare da tali affermazioni, così che l’Imperatore regna come esercente d’una potestà che è di Nostro Signore Gesù Cristo, e, vacante Imperio, la Monarchia universale non resta priva d’un Capo visibile, bensì la suprema potestà temporale ricade in mano al Papa, è difficile non riconoscere in ciò l’affermazione d’una ben precisa idea del Vicariato di Cristo, il quale “permette al Papa di ereditare i poteri del Cristo Re”[62]. Sicché “il Cristo regnante e visibile è il Suo Vicario: il Papa”[63]. Già nel 1081 Menegoldo di Lautenbach[64], autorevole e fervente gregoriano, indicava addirittura nell’imperatore un salariato del Papa, più tardi l’agostiniano Guglielmo Amidani da Cremona[65] interpretò come stipendium pro custodienda pace quella simbolica dazione di danaro che i partigiani ghibellini, con opposto significato, consideravano tributo versato dal Papa all’Imperatore.

In radice, la potestà diretta in temporalibus del Papa non può essere provata (a priori) come necessaria, se ne può tuttavia provare la convenienza. Se vi fu delegazione della potestà temporale da Cristo a Pietro ciò dipese unicamente dalla libera volontà di Nostro Signore, la quale non si deve, però, presumere come indifferente alle ragioni di convenienza.

Che Cristo, Capo della Chiesa, delegò a Pietro la suprema autorità spirituale (con la relativa potestà indiretta in temporalibus) affinché la Chiesa militante o pellegrinante avesse un Capo visibile è verità di fede divina. Che Cristo abbia delegato a Pietro anche la suprema potestà temporale, affinché l’ordine temporale dell’orbe non sia privo d’una Autorità visibile, non è azzardato vederne la convenienza. Con la nascita del Verbo Incarnato l’orbe intero fu uno sotto la sua regale potestà, sicché con Cristo nacque l’Impero (universale) come affermato nel De regimine principum di san Tommaso d’Aquino. Cristo è “verus mundi Dominus et Monarcha[66], nel senso che solo a Cristo, in modo eminente, spetta la suprema potestà temporale.

Ma se il Regno temporale di Cristo, sorto nell’istante stesso della sua nascita, è chiamato a durare sine fine e Cristo non avesse delegato la suprema regalis potestas, si avrebbe il caso d’una comunità politica storicamente data priva d’un capo visibile. Anche per analogia con la Chiesa, di cui Cristo è capo e di cui il Papa è capo visibile, si può, con ragione, sostenere come conveniente che Nostro Signore abbia provveduto affinché il suo Regno sociale non fosse mai privo d’un capo visibile. Si deve, pertanto, ritenere conveniente la delegazione, da parte di Cristo Re, della suprema potestà temporale. E che, qualora Cristo l’abbia realmente delegata, non l’abbia delegata ad altri che a Pietro e, in Pietro, ai suoi vicari è facile da provarsi con argomenti e di convenienza e di analogia fidei[67].

Quanto fin qui rilevato ci fa ritenere non priva di argomenti la tesi dell’appartenenza al Depositum Fidei della dottrina della potestas directa in temporalibus del Papa, per la quale nel Vicario di Cristo, senza confusione alcuna tra i due ordini (spirituale e temporale), si avrebbe l’unione personale della suprema autorità spirituale e della suprema potestà temporale. Il Vicario di Cristo, analogamente al Cristo stesso, deterrebbe l’apice di entrambi gli ordini, pur non esercitando abitualmente che l’autorità spirituale con l’annessa potestas indirecta in temporalibus: “Papa, qui utriusque potestatis apicem tenet, scilicet spiritualis et temporalis[68].

L’autorevolezza e l’ampiezza delle fonti, anche magisteriali, a favore della potestà diretta impongono, pur nella libertà concessa al riguardo dalla Chiesa, la più seria considerazione della dottrina disputata alla quale opporre, semmai, altrettanto serie argomentazioni.

Tanto più necessaria una trattazione teologica della questione, quanto più si volesse considerare, oltre alla esistenza o meno di simile dottrina nel Depositum Fidei, anche la precisa titolarità della potestà diretta, la quale non sempre appare chiara nelle fonti tradizionali (trovandosi ivi sia l’idea d’una unione meramente personale, nel Vicario di Cristo, dell’apice di entrambi gli ordini – spirituale e temporale – sia l’idea d’una completa assunzione della regalis potestas da parte della Chiesa). La potestas directa in temporalibus è potestas Ecclesiae perché potestas Papae, oppure è potestas Papae perché potestas Ecclesiae? Non è, cioè, sempre chiara la distinzione dei due ordini e l’autonomia del temporale, così come argomentate dall’Angelico e affermate dal Magistero.

Un serio dibattito teologico, per svolgere una ricerca pertinente al proprio campo di indagine, dovrebbe evitare facili semplificazioni, come ad esempio quella che pretende di risolvere la questione in termini (almeno implicitamente) storicistici, identificando la dottrina della potestà diretta con un certo agostinismo politico teocratico[69] e, per conseguenza, ritenendo la stessa dottrina contraddetta dall’aristotelismo politico, identificato con la tesi della potestà indiretta.                                 



[1] All’ermeneutica della frattura si devono alcuni tentativi postconciliari di riscrivere il diritto pubblico ecclesiastico (esterno) espellendo dal corpus cattolico la dottrina della potestas  indirecta (essendo la directa neppure considerata) in temporalibus del Papa: cfr. ad es. L. SPINELLI, Il diritto pubblico ecclesiastico dopo il Concilio Vaticano II, Giuffré, Milano 1985; G. DALLA TORRE, Ruolo della Chiesa nella società civile: pastori e laici nella prospettiva ecclesiologico-canonica, in I cattolici e la società pluralista. Il caso delle leggi imperfette. Atti del I Colloquio sui cattolici nella società pluralista: Roma, 9-12 novembre 1994, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1996, particolarmente pp. 205-215; S. MAZZOTTI, La libertà dei fedeli laici nelle realtà temporali (C. 227 C. I. C.), Pontificia Università Gregoriana, Roma 2007.
[2] “E’ una verità di fede, contenuta nel Magistero ordinario della Chiesa, che Cristo è Re universale degli uomini e delle cose” (voce “Regalità di Cristo” in Dizionario Ecclesiastico, vol. III, UTET, Torino 1958, p. 462).
[3] Cfr. PIO XI, Enc. Quas primas, (11 dicembre 1925) in AAS  17 (1925), pp. 593-610.
[4] Per potestas indirecta in temporalibus  si intende quella speciale giurisdizione sulle materie temporali spettante al sacerdozio in virtù della superiorità del fine spirituale rispetto al fine temporale, superiorità analoga a quella dell’anima sul corpo (cfr. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., II II, q. 60, a. 6, ad 3), e in ragione della natura ferita (dal peccato) dell’uomo postedenico. In virtù di detta potestà la Chiesa, e quindi il Sommo Pontefice, ha il pieno diritto di ordinare, giudicare, costringere e punire anche nell’ambito temporale: “può abrogare, correggere e mutare, per il suo potere indiretto nelle cose temporali, le leggi civili; può fare egli stesso delle leggi civili, se il principe non ne fa di buone e si rifiuta di farle, ammonito dalla Chiesa; se lo Stato non pronunzia giudizi civili retti, la Chiesa può sollecitarlo a emetterli, se lo Stato non ottempera alla richiesta della Chiesa, Essa può riformare le sentenze, annullare i giudizi e pronunciarli; il Papa può sciogliere i sudditi dall’obbedienza al principe; può deporre i principi a causa dei loro scandali o perché sono perniciosi alla salvezza delle anime” (F. M. CAPPELLO, Summa Juris Publici Ecclesiastici, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1954, p. 193). La potestas indirecta è vera giurisdizione e non mero potere direttivo (cfr. DzS. 2281-2285 e DzS. 2699), sicché l’autorità temporale deve agire ad nutum della potestas del sacerdozio. Cfr., esemplarmente, G. A. BIANCHI DI LUCCA, Della potestà e della politia della Chiesa. Trattati due contro le nuove opinioni di Pietro Giannone, Stamperia di Pallade, Roma 1745, in particolare tom. 1, lib. VI “Della indiretta dipendenza della potestà temporale del Regno dalla potestà spirituale del Sacerdozio”.
[5] Non mancano, comunque, i pronunciamenti del Magistero: ad es. cfr. PIO XI, Enc. Ubi arcano, (23 dicembre 1922) in AAS 14 (1922), pp. 673-700.
[6] Per potestas directa in temporalibus si intende la titolarità papale del supremo universale potere temporale. Per la dottrina della potestà diretta, il Papa, in quanto Vicario di Cristo anche nell’ordine della Regalità sociale, sarebbe il signore temporale dell’umanità tutta, così che nel Papa si avrebbe l’unione personale della suprema autorità spirituale, in quanto Capo visibile della Chiesa e della suprema potestà temporale, in quanto Rector orbis.
[7] Nei primi decenni del ‘900 italiano, si ebbe una rinnovata attenzione per la potestas directa in una prospettiva lontana, però, dalla scientificità teologica: cfr. ad es. D. GIULIOTTI, L’ora di Barabba, Vallecchi, Firenze 1925 dove l’A. richiama i cattolici a riscoprire la Unam Sanctam di Bonifacio VIII. Più recentemente il professor  Oscar Nuccio ha trattato della potestà diretta trovando abbondanti  fonti di detta dottrina negli atti del Magistero (cfr. O. NUCCIO, Storia del pensiero economico italiano, 3 voll., Gallizzi, Sassari 1984-1992) e negli scritti di autorevoli teologi (cfr. O. NUCCIO, Celso Mancini interprete del riformismo cattolico: aspetti del pensiero politico sociale, in Atti del Convegno “La seconda chiesa matrice di Tricase nel Sei-Settecento”, Mario Congedo editore, Tricase 1999) come il vescovo di Alessano mons. Celso Mancini (cfr. L. RAVA, Celso Mancini filosofo e politico del secolo XVI. Saggio sulle dottrine politiche italiane, Zanichelli, Milano 1880),  autore del De juribus principatum (1596), il quale presenta la potestas directa in temporalibus come dottrina della Chiesa. 
[8] DANTE, Mn III, VII, 1.
[9] Catechismo Romano (Tridentino), 36.
[10] Ad es. sant’Ambrogio di Milano, come vescovo, esercitò legittimamente la potestà indiretta in temporalibus della Chiesa nei confronti dello stesso imperatore; similmente l’imperatore Ludovico il Pio si umiliò nell’822 ad Attigny riconoscendosi soggetto alla potestas indirecta in temporalibus dei vescovi.
[11] La potestas indirecta in temporalibus, come insegna san Gelasio I papa nella epistola all’imperatore Anastasio del 494, è prerogativa dell’auctoritas sacrata pontificum, ovvero è propria del Sacerdotium, eminentemente, non esclusivamente, del Papa.
[12] Cfr. INNOCENZO III, in Corpus Iuris Canonici, Liber Extra 2. 1. 13, lettera ai Vescovi di Francia Novit ille del 1204, in H. ANSGAR KELLY, Bishop, Prioress and Bawd in the stews of Southwark, in “Speculum”, LXXV (2000), pp. 342-88; e, per Bonifacio VIII, J. RIVIERE, Le problème de l’Eglise et de l’Etat au temps de Philippe le Bel, Spicilegium Sacrum Lovaniense, Louvain - Paris 1926, p. 77 e sgg.
[13] TOMMASO DE VIO, Apologia tractatus de comparata auctoritate Papae et concilii, trattato II, part. 2, cap. XIII edito in Thomas de Vio Cardinalis Caietanus scripta theologica, vol. I, a cura di Vincent M. J. Pollet, Angelicum, Roma 1936.
[14] Papa, id est Ecclesia; “totum posse, quod est in Ecclesia, reservatur in Summo Pontifice” (EGIDIO ROMANO, Tractatus de potestate ecclesiastica, III, 9).
[15] Cfr. GIOVANNI DI  SALISBURY, Policraticus, IV, 3; del Policraticus segnaliamo l’edizione a cura di M. T. Beonio Brocchieri e L. Bianchi, Jaca Book, Milano 1985. 
[16] San Roberto Bellarmino, consapevole di ciò e volendo negare la potestas directa, propose di intendere l’esegesi tradizionale di Lc. 22, 38 in senso non letterale ma metaforico disconoscendo, così, a Pietro la titolarità della spada temporale.
[17] Cfr. TOMMASO D’AQUINO, In IV Sent., dist. 37.
[18] Cfr. IDEM, In II Sent., dist. 44, q. 2, a. 3 ad 4; IDEM, In II Sent., dist. 44, q. 2, a.3; IDEM, De reg. princ., I, 14.
[19] Cfr. IDEM, S. Th., II - II, q. 40, a. 6, ad 3;  Ivi, q. 60, a. 6, ad 3; IDEM, De reg. princ., I, 1, c. 10; IDEM, In II Sent., dist. 44, q. 4.
[20] Cfr. IDEM, Quodlib., XII, a. 19.
[21] Cfr. F. SUAREZ, Defensio fidei catholicae et apostolicae ad versus anglicanae sectae errors (1613), Instituto de Etudios Politicos, Madrid 1971.
[22] Cfr. D. DE SOTO, In IVum Sent., dist. XXV, q. 2, Venetiis 1584, pp. 66-74.
[23] Cfr. F. DE VITORIA, De indis recenter inventis, sect. 1, 7, Salamanca 1565, p. 226; per l’edizione critica cfr. F. DE VITORIA, De indis recenter inventi set de jure belli Hispaniorum in barbaros relectiones, a c. di W. Schatzel e P. Hadrossek, Mohr,  Tübingen 1952.
[24] Cfr. A. OTTAVIANI, Institutiones Juris Publici Ecclesiastici, vol. II, Typis Polyglottis Vaticanis, Città del Vaticano 1940; IDEM, Compendium Juris Publici Ecclesiastici, Typis Polyglottis Vaticanis, Città del Vaticano 1954.
[25] Cfr. T. M. ZIGLIARA, Summa Philosophica, vol. III, Ethica, Propaganda Fide, Roma 1856.
[26] Cfr. R. GARRIGOU-LAGRANGE, De Revelatione, vol. II, Ferrari-Gabalda, Roma-Parigi 1918.
[27] Cfr. M. LIBERATORE, La Chiesa e lo Stato, Giannini, Napoli 1872; IDEM, Il Diritto Pubblico Ecclesiastico, Giacchetti, Prato 1887.
[28] Cfr. F. M. CAPPELLO, Chiesa e Stato, Ferrari, Roma 1910; IDEM, Summa Juris Publici Ecclesiastici, Pont. Univ. Gregoriana, Roma 1954.
[29] Se il Bellarmino non subì condanne per eresia, la sua opera De Romano Pontefice “vivente il Bellarmino fu messa all’Indice dei libri proibiti […] per ordine di Papa Sisto V. E perché? Perché vi sostiene, che il papa, in qualità di Vicario di Cristo, non ha alcuna potestà diretta sopra principi e re ed imperatori, ma solo indiretta” (A. ISAIA, Storia ed esame della Enciclica e del Sillabo dell’8 dicembre 1864, Stamperia dell’Unione tipografico-editrice, Torino 1865, p. 99). A conferma dell’orientamento della Sede Apostolica favorevole alla dottrina della potestas directa si può citare il caso del De Monarchia di Dante ove, nel terzo libro, si argomenta contro la potestà diretta del Papa: il titolo del trattato politico dantesco compare nell’Index librorum proibitorum sino al 1881 a significare la condanna papale delle tesi ivi sostenute dal Fiorentino.
[30] Innocenzo III  dichiara a Ottone IV: “Noi possediamo l’autorità papale e il potere regale, entrambi nella loro pienezza” (in J. P. MIGNE, Patrologia Latina, t. CCVI, col. 1162) e scrive al Patriarca di Costantinopoli: “Dominus Petro non solum universam Ecclesiam, sed totum reliquit saeculum gubernandum” (in A. POTTHAST, Regesta pontificum Romanorum inde ab a. post Christum natum MCXCVIII ad a. MCCCIV, de Decker, 1875, n. 862); cfr. la lettera di Innocenzo III al Re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra (in J. P. MIGNE, Patrologia Latina, t. CCXVI, 923-924).
[31] Cfr. INNOCENZO IV, Aeger cui levia, in J. B. LO GRASSO, Ecclesia et Status. Fontes selecti. Historiae Juris Publici Ecclesiastici, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1952, n. 446-455, pp. 194-198; se la potestas indirecta si esercita principalmente sui poteri temporali cristiani, papa Innocenzo IV lascia intendere la propria adesione alla dottrina della potestas directa quando insegna, riguardo alla potestà, che “Papa, qui est vicarius Christi, potestatem habet non tantum super Christianis, sed etiam super omnes infideles” (INNOCENZO IV, In Quinque Libros Decretalium, Venetiis 1578, ad cap. Quod super, De voto et voti redempione); per l’insegnamento di Innocenzo IV cfr. F. BAETHGEN, Der Anspruch des Papsttums auf das Reichsvikariat, in “Zeitschrift der Savigny-Stiftung fur Rechtsgeschichte”, X (1920), pp. 172-268.
[32] Oltre alla bolla Unam Sanctam, si veda l’allocuzione tenuta da Bonifacio VIII al Concistoro il 30 aprile 1303 (in MGH, Leges, Sectio IV, Const., IV, pars. I, n. 173, Hannover-Berlin 1826, pp. 138-145).
[33]Cui (Pontifici) in persona B. Petri, terreni simul et celesti imperii jura, Deus ipse commisit” (GIOVANNI XXII, Extravagantes Jo. XXII, tit. 5, in Corpus iuris canonici. Editio Lipsiensis secunda, vol. 2, a c. di E. Friedberg e A. L. Richter, Akademische Druck-u. Verlagsanstalt, Graz 1955)
[34] Le parole rivolte dal Cardinale Protodiacono al Papa nell’atto dell’incoronazione sono difficilmente interpretabili se si nega la potestà diretta in temporalibus del Vicario di Cristo: “Accipe thiaram tribus coronis ornatam, et scias te esse patrem principum et regum, rectorem orbis et in terra Vicarium Salvatoris nostri” (Cerimoniale papale in M. DYKMANS, L’oeuvre de Patrizi Piccolomini ou le Cérémonial papal de la première Renaissance, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1980, lib. I, tit. II,  XIV).
[35]Figurat denique pontificalis hic gladius potestatem summam temporalem a Christo pontifici eius in terris Vicario collatam, iuxta illud: Data est mihi omnis potestas in coelo et in terra. Et alibi: Dominabitur a mari usque ad mare, et a flumine usque ad terminos orbis terrarum, quam et declarat cappa illa sericea, quam pontifices solent gestare in nocte natalis Domini.” (Sisto IV, in M. DYKMANS, op. cit., lib. I, tit. VII, VII). I papi francescani Sisto IV e Sisto V sono solidali nel ritenere la dottrina della potestas directa patrimonio di fede della Chiesa.
[36] Cfr. U. MARIANI, Scrittori politici agostiniani del secolo XIV, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1927.
[37] La plenituto potestatis del Papa (in temporalibus e in spiritualibus) è tema ben sviluppato da Egidio nel suo trattato De ecclesiastica potestate (Richard Scholz, Leipzig 1928); cfr. AEGIDII ROMANI, Tractatus de ecclesiastica potestate, in Analecta Augustiniana, voll. 20-21, Institutum Historicum Ord. Erem. S. Augustini Romae, Roma 1946-1947.
[38] Anche Giacomo, come il confratello agostiniano Egidio, argomenta della plenitudo potestatis del Papa nel suo De regimine christiano, in H. X. ARQUILLIERE, Le plus ancien traité de l’Eglise. Jacques de Viterbe. De regimine christiano (1301-1302). Etudes des sources et édition critique, Paris 1926. 
[39] Alvaro Pelayo afferma che “Papa in terris utramque habet potestatem” essendo “universalis Monarcha totius populi christiani et de jure totius mundi” (A. PELAYO, De planctu Ecclesiae, in F. J. T. DE ROCCABERTI, Bibliotheca maxima pontificia, vol. III, Roma 1968, p. 53).
[40] Espresse la propria adesione alla dottrina della potestà diretta dedicando, nella sua Reprobatio errorum, importanti riflessioni al tema.
[41] Il suo De principatu Papae può dirsi un valido esempio di quella elaborazione dottrinaria sul tema della plenitudo potestatis Papae caro alla scuola curialista.
[42] Del Vernani ricordiamo il De potestate Summi Pontificis e il commentario alla bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII. Nel De reprobatione Monarchiae compositae a Dante, ispirato dal cardinale Bertrand de Pouget, scrive: “solus Dominus Iesu Christus et nullus alius fuit verus monarcha […] Sed quotiamo ipse discessit a conspectu hominum et corporaliter ascendit in celum, ne Corpus eius quod est Ecclesia, sine capite remaneret, in terra suum generalem vicarium dereliquit, scilicet Petrum apostolum et quemlibet eius legittimum successorem, qui loco Christi est verus et legittimus monarcha cui omnes obedire tenetur sicut Domino Iesu Christo […] Monarcha ergo mundi est Summus Pontifex” (G. VERNANI, in N. MATTEINI, Il più antico oppositore politico di Dante: Guido Vernani da Rimini. Testo critico del “De reprobatione Monarchiae”,  CEDAM, Padova 1958, pp. 98-99).
[43] Dissidi affrontati in sede negoziale tra le due Corone con il trattato di Tordesillas del 1495 (e successivi).
[44] ALESSANDRO VI, bolla Inter cetera (3 maggio 1493) in Reg. Vat. 775 ff. 420r-25v.
[45] L’atto papale con il quale la Santa Sede, nel 1984, diede risoluzione alla disputa confinaria tra le Repubbliche di Cile e di Argentina (con la definizione dei rispettivi confini tra i due Stati) non si offre, in modo chiaro, ad una univoca interpretazione potendosi considerare l’intervento risolutivo del ven. Giovanni Paolo II tanto come arbitrato internazionale quanto come atto d’autorità. Nel primo caso la Santa Sede avrebbe agito come ente sovrano eletto, da altri due enti sovrani, ad arbitro della loro contesa. Nel secondo caso il Papa avrebbe agito come quel giudice supremo che tutti può giudicare e da nessuno può essere giudicato sedendo sulla Prima Sede: in virtù del papato come tribunale supremo dell’ecumene cfr. A. MAYER PFANNHOLZ, Gregor VII u. Heinrich IV im Lichte der Geistesgeschichte, in “Zeitschriften fur deutsche Geistesgesch.”, II (1936), pp. 153 sgg.; IDEM, Der Wandel des Kirchenbildes in der Geschichte, in “Theologie und Glaube”, XXXII (1940), pp. 22-34. Nel primo caso non si potrebbe che parlare d’una superiorità morale della Santa Sede riconosciutale con l’elezione ad arbitro, da Cile e Argentina. Nel secondo caso non sarebbe azzardato ravvisare, nell’appello delle due Repubbliche latinoamericane al Romano Pontefice, un implicito riconoscimento della potestas directa in temporalibus del Papa da parte di due Stati.  
[46] Il concetto dell’Imperatore come minister Papae, non estraneo alla precedente dottrina, si esplicita rispettivamente nelle costituzioni Romani Principis e Pastoralis cura, di Clemente V, e nella bolla Si fratrum, di Giovanni XXII.
[47] Cfr. J. B. SAGMULLER, Die Idee von der Kirche als Imperium Romanum im kanonischen Recht, in “Theologische Quartalsch.”, LXXX (1898), pp. 50-80.
[48]Quod solus possit uti imperialibus insignis
[49]Quod illi licet imperatorem deponere”. Questa XII proposizione appare come espressione della potestas directa, perché, applicandosi la XXVII proposizione anche all’imperatore come a qualunque altra autorità, la proposizione XII o è superflua o va letta non semplicemente come affermazione del diritto pontificio di deporre i principi (tra i quali l’imperatore) caduti nell’illegittimità. La proposizione XII, diversamente dalla XXVII, non prevede alcuna condizione per la deposizione dell’imperatore: il Papa ha il diritto incondizionato di deporre l’imperatore, diritto che si può spiegare unicamente considerando il Vicario di Cristo come il Rector orbis e l’imperatore come suo mero ministro, per ciò stesso licenziabile.
[50]Quod a fidelitate iniquorum subiectos potest absolvere
[51] GREGORIO VII, lettera a Sancho d’Aragona, in P. L., t. CXLVIII, col. 790.
[52] BONIFACIO VIII, Allocuzione concistoriale per l’elezione di Alberto d’Asburgo a Re dei Romani del 30 aprile 1303, MGH, Leges, Sectio IV, Const., IV, pars. I, n. 173, Hannover-Berlin 1826, pp. 138-145.
[53] L’Imperatore esercita, de iure, le prerogative di Monarcha mundi; “Ego dico quod Imperator est dominus totius mundi vere” (BARTOLO DA SASSOFERRATO, In primam Digesti Veteris partem, Venetiis 1585, ad 1. Post actiones, v. Per hanc autem, ff. De rei vindicatione); “Est autem Imperator ille super omnes reges […] et omnes nationes sub eo sunt […] Ipse enim est princeps mundi et dominus” (GIOVANNI TEUTONICO, ad v. Venerabilem, ed. G. Post, Some unpublished Glosses - CA. 1210-1214 - on the transatio imperii and the two swords, in “Archiv fur katholisches Kirchenrecht”, CXVII, 1937, p. 408); l’imperatore Enrico VII, nell’editto Ad reprimenda, afferma, con il consenso di papa Clemente V, che “divina praecepta quibus iubetur quod omnis anima Romano Principi sit subiecta” e lo stesso Bonifacio VIII, nell’allocuzione concistoriale del 30 aprile 1303, insegna la potestà universale dell’imperatore. E’ la definizione giustinianea dell’Impero.
[54] Già lo insegnava Innocenzo III in Venerabilem del 1202.
[55] GIACOMO DA VITERBO, De regimine christiano, in G. B. MARCOALDI e A. RIZZACASA, Giacomo da Viterbo. Il governo della Chiesa, Nardini, Firenze 1993, p. 85.
[56] In termini contemporanei, l’attualità del quesito è richiamata dallo stesso Concilio Vaticano II dove, dopo secoli di silenzio del Magistero circa l’autorità temporale universale, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, si auspica una “autorità pubblica universale” (GS, 82) tale per cui tutti i singoli Stati siano ad essa sottomessi, se necessario, anche coercitivamente (cfr. GS, 79; 82). Questa autorità universale, da Romano Amerio definita “autorità etnarchica” (R. AMERIO, Iota unum, Fede & Cultura, Verona 2009, p. 389), non può assolutamente essere identificata con l’ONU, organizzazione internazionale priva di autentica autorità/potestà sovranazionale, essendo una associazione di Stati sovrani  e non già la societas populorum di cui parla il Magistero. Come si deve intendere l’auspicio di Gaudium et Spes? L’autorità temporale universale deve essere “creata” nel senso del moderno contrattualismo o, piuttosto, sviluppata dall’attuale condizione di virtualità? Se l’ONU, coerentemente con la propria natura, può darsi come somma di volontà (di Stati sovrani) associate, l’auspicata autorità etnarchica, proprio perché autorità, non può essere “nisi numeri et materialium virium summa” (PIO IX, Sillabo, LX), ovvero, non può fondarsi sul consenso degli Stati de iure soggetti alla sua potestà. Non nella volontà degli Stati, ma in altro si deve cercare il fondamento (cfr. Rm 13, 1) dell’autorità universale. Quale la relazione tra una simile autorità, la cui giurisdizione sarebbe in tutto coincidente con quella imperiale, e il Regno sociale di Cristo?    
[57] Cfr. TOMMASO D’AQUINO, De reg. princ., III, 14.
[58] Cfr. Ivi, III, 13.
[59]Ultimo adveniente Christo istud Romanorum imperium incepit esse Christi imperium, et ideo apud Christi Vicarium est uterque gladius, scilicet spiritualis et temporalis […] Post Christum vero imperium est apud Christum et eius Vicarium et transfertur per Papam in principem saecularem. Unde sic dicimus omnia sunt imperii Romani, quod nunc est Christi, verum est, si referamus ad personam Christi” (BARTOLO DA SASSOFERRATO, a Ad reprimenda, n. 8, v. totius orbis in Consilia, quaestiones et tractatus, Venetiis 1567, f. 115v); “imperium verum et naturale, quod a Christo pervenit in nos” (OPICINIO DE CANISTRIS, De preeminentia spiritualis imperii in R. SCHOLZ, Unbekannte Kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Ludwigs des Bayern, Preussischen Historischen Instituts in Rom, Roma 1911-1914, vol. II, p. 95).
[60] INNOCENZO IV, In quinque Libros Decretalium, Venetiis 1578, ad cap. Licet ex suscepto. De foro competenti.
[61] Ad es. in Cartulaire de l’abbaye de Saint Bernard de Romans, vol. I, U. Chevalier, Romans 1898, p. 203 e sgg.
[62] P. COSTA, Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Giuffré, Milano 2002, p. 278.
[63] A. VALLONE, Antidantismo politico nel XIV secolo. Primi contributi, Liguori, Napoli 1973, p. 65.
[64] MENEGOLDO DI LAUTENBACH, Ad Gebehardum Liber, a cura di K. Francke, in MGH, Libelli ad lite, I, 300-430, cap. 30, p. 365.
[65] Cfr. A. VALLONE, op. cit., p. 92.
[66] TOMMASO D’AQUINO, De reg. princ., III, 13
[67] Cfr. IDEM, Contra errores Graec., pars altera, c. 21, § 3-4.
[68] IDEM, In II Sent., d. 44, q. 2, a. 3, ad 4. “Nam sunt diversi ordines et diversae potestates ecclesiasticae et seculars et ultimo est Summus Pontifex in quo omnes potestates agregantur, et ad quem reducuntur et ad quem tanquam in simplicissimum terminantur” (Non ponant laici os in caelum).
[69] Cfr. H. X. ARQUILLIERE, L’augustinisme politique. Essai sur la formation des théories politiques du Moyen-Age, Vrin, Paris 1955; J. J. CHEVALIER, Storia del pensiero politico, vol. I, II ed., Il Mulino, Bologna 1989, pp. 256-280.