Intervista alla segretaria che per decenni ne fu la più stretta collaboratrice
Domenica delle Palme 2014
Disputationes
Theologicae ringrazia Suor Rosa Goglia - autrice di Cornelio
Fabro, profilo biografico (Edivi, Segni 2010), libro particolarmente rivelatore della personalità del grande
filosofo e teologo stimmatino - per la disponibilità con cui ha accettato di
rispondere alle nostre domande. Ci scusiamo con Suor Rosa per il ritardo con
cui esce questo suo contributo, ritardo dovuto alle incombenze legate alla nuova
fondazione ecclesiastica; siamo particolarmente contenti di pubblicarlo visto appunto il suo notevole valore disvelatore del grande uomo di Dio che sta dietro l’alta
produzione metafisica.
1) Cornelio Fabro passa alla storia come
il grande metafisico, forse il più grande del secolo appena trascorso. Come
viveva il suo essere teologo?
Fabro è un pensatore radicale, non è un
uomo di corrente o di scuola, egli si pone di fronte ai temi decisivi per
l’esistenza e prende posizione. Il peso stesso dell’erudizione non appiattisce
mai l’inquieta ricerca e la religiosa “cura dell’anima”. Non era un uomo immerso
nell’accademismo astratto, la Commissione per il concorso a cattedra dell’Università
di Bari lo definì «degno di molta considerazione per la sue doti teoretiche»,
ma non mancò di scorgere i suoi accenti «polemici» e «tendenziosi»,
evidentemente sul centrale “problema di Dio”. Il Cornelio Fabro filosofo è un
tutt’uno col teologo e con l’uomo di Dio, per il quale il problema essenziale
di Dio è il problema essenziale dell’uomo.
In
ogni suo scritto si legge l’indispensabile esigenza di restituire alla ragione
la sua dimensione metafisica in grado di attingere il trascendente.
2) Un aspetto poco conosciuto di questo
grandissimo intellettuale è, in effetti, la sua passione per il creato…
Nelle
sue memorie ci parla della sua infanzia con gli animali domestici, le piccole
sorgive nella zona di Flumignano (UD) suo paese natale, e si intuisce il ruolo
che l’osservazione del creato ebbe fin dalla sua infanzia molto provata da
serie malattie e conseguente immobilità. Frequenta per tre anni i corsi di Scienze
naturali all’Università di Padova, si occupa di biologia, di embriologia, di genetica,
di fisiologia comparata, di natura della vita e specialmente degli stretti rapporti
tra biologia e filosofia. Per osservare la biologia marina caldeggiò la
realizzazione di un laboratorio a Roma con acqua di mare, ricordiamo anche l’argomento
della sua tesi di laurea in zoologia: “Modificazioni istologiche nell’utero del
pescecane” e le sue innumerevoli visite alla stazione di zoologia di Napoli, ma
anche allo zoo di Roma.
3) Forse anche questi elementi hanno
aiutato, sotto il profilo umano, il suo approccio realista?
Rimane colpito da quel modus scientifico che riscontra
nell’ambiente della ricerca e dal modo di affrontare i problemi che «ti
costringe a fare i conti col reale», questa esperienza lo accompagnerà quando
lascia il campo scientifico per dedicarsi alla filosofia. Di qui il suo “realismo della res”, un tutt’uno col realismo
gnoseologico.
C. Fabro si confronta sempre con quella «realtà che ti prende e ti costringe a fare i conti con essa, senza fumosità
pseudo teoriche e divagazioni formali semantiche». Da qui la sua avversione
all’ideologismo e ai sistemi troppo razionalisti, che sono per lui «una forma d’immanentismo». Il suo impegno era ed è «ridare alle intelligenze il gusto
della verità e consolidare negli animi il fondamento della libertà», e Cornelio
Fabro usa la sua raffinatissima intelligenza di filosofo come un bisturi per
individuare ed esaminare le fibre più interne, profonde e sottili del conoscere
e dell’essere. Rispondendo all’esigenza teoretica di scandaglio della
fondazione metafisica della cogitativa,
come forma inferiore di razionalità e forma superiore di sensibilità, C. Fabro
coglie tomisticamente quell’anello di congiunzione che si situa fra
l’intelletto e la sensibilità e che spiega e legittima il realismo
gnoseologico.
A
questi punti fermi si ancora il suo invito all’«immersione nella realtà», all’«elasticità concettuale», alla «conversio
ad praesentiam». Ovviamente sarà la lettura dei suoi scritti ad ancorarci a
queste solide basi.
4) Gli ultimi decenni della sua produzione
filosofico-teologica sono stati segnati anche nella cultura cattolica
dall’ideologia dell’ “apertura al mondo”, apertura che, come riconobbe con
accenni autocritici il Santo Padre Paolo VI, è divenuta un’invasione della
Chiesa da parte del pensiero mondano…
L’attitudine
al compromesso del mondo cattolico lo feriva e gli causava dolore, più tardi si
rese addirittura conto che il suo infarto nel marzo del ‘74 era legato
all’atteggiamento del mondo cattolico, troppo disponibile a compromessi sulle
tematiche del divorzio e dell’aborto. Vedeva l’Italia che si allontanava dai
principi cristiani e vedeva che ciò avveniva con leggi firmate dai governi
democristiani.
Più
in generale la sua sincerità lo portò sempre ad essere «contro i movimenti
tiepidi di compromesso tra trascendenza cristiana e immanenza moderna», come
pure sempre aborriva i gruppi di potere che per utilità nascondono la verità
nella volontà e “unificano” ciò che non è nemmeno lontanamente assimilabile.
5) Diversi uomini di Chiesa, anche
autorevolissimi e anche di formazione moderna, hanno denunciato una gravissima deriva
dottrinale nel mondo cattolico odierno. Cosa pensava Fabro di tale fenomeno?
C. Fabro scrive a proposito degli
errori filosofici moderni e della necessità che il clero li conosca per
difendersene: «gli sbandamenti nella dottrina e nella morale cattolica
seguiti al Concilio, forse tra i più aberranti e gravi nella storia delle
eresie, che hanno coinvolto anche larghi strati della gerarchia, che non ha
seguito spesso le direttive del Vicario di Cristo, dipendevano e dipendono da
questo». Dipendono ossia dall’ignoranza della vera natura del «pensiero
moderno», è l’«antropologia radicale» infatti ciò che mina alle basi la trascendenza e la metafisica, portando con sé gli «sbandamenti dottrinali» sopra citati.
Citiamo
Miccoli: «Il realismo metafisico di Fabro si è imposto all’invadenza
dell’idealismo, del marxismo, dell’intuizionismo bergsoniano,
dell’esistenzialismo, del pragmatismo e del nichilismo, come barriera e
palizzata teoretica che si erge a confine di decisive questioni concernenti Dio,
Uomo, Mondo in un linguaggio intransigente, intollerante, seccamente esegetico
più che ecumenicamente ermeneutico…». Egli continua parlando di Fabro come «attento e sollecito a proteggere lo spazio sacro del divino nella linea della
tradizione cattolica contro i profanatori del tempio e contro gli araldi di
nuove proposte teoretiche e pratiche, che gli apparivano insidiose per la vita
della Chiesa in quanto equivoche, eretiche, sovvertitrici della Fides Ecclesiae».
6) Come fu presa la sua sincerità?
C. Fabro è contro ogni pragmatismo
dottrinale, perché esso non è altro che «odio per l’intelligenza», la sua «implacabile e immediata sincerità» non può che portarlo a «quell’amore aspro e
appassionato per la verità che non guarda in faccia a nessuno» scriverà l’illustre
giuria di Bassano nel 1989.
Per
la sua sincerità dovette soffrire, si pensi al libro su K. Rahner; gli fu
richiesto da alcuni colleghi che lo incoraggiarono, ma poi non fu sostenuto
come si doveva quando comparvero le difficoltà, l’ostracismo, le lettere
indignate. Ma lui sfidò i contestatori a pubblico dibattito in Gregoriana,
evidentemente tutto restò lettera morta perché nessuno voleva confrontarsi,
scrive Mario Composta, tutti conoscevano la fondatezza delle sue posizioni e la
forza delle argomentazioni. Ancor più triste fu constatare che gli
attacchi vennero solo dal mondo
cattolico, il mondo filosofico laico non s’immischiò nemmeno e gli strali più
avvelenati vennero dai vicini, ma lui continuò a condannare fermamente la
“svolta antropologica” del teologo tedesco.
7) E come vedeva il proprio combattimento
filosofico-teologico, in ultima analisi la sua battaglia per la verità?
Attribuiva a Dio la sua forza. Cito dal
suo testamento spirituale: «Se non ho mai indietreggiato davanti alla verità è
stato frutto della Sua (di Dio) assistenza misericordiosa, della protezione
della Madonna, degli Angeli e dei miei santi patroni, delle anime che ho potuto
dirigere e di quelle che ho assistito in punto di morte nel passaggio alla
patria celeste». C’è l’aiuto di Dio e c’è la fiducia nel Signore e c’è accanto
l’utilizzo responsabile della libertà ordinata dalla verità, vera «partecipazione
all’opera creatrice di Dio». Nelle pieghe più intime dello spirito siamo chiamati
dal Creatore a partecipare all’opera redentiva, che si fonda sull’onnipotenza
divina, che ci dona una libertà scaturiente e sempre rinnovantesi. Ogni libertà
è una nuova creazione nel divenire del nostro essere e quindi, nel tessuto
sociale in cui siamo, partecipiamo all’opera creativa di Dio. Di qui la nostra
responsabilità. Nel mondo dello spirito e nel mondo sociale ci sono questi
virgulti di vera libertà - che sono come i germogli che vediamo in questa
primavera - essi possono rimanere sconosciuti, non visti, non apprezzati agli
occhi degli uomini, ma sono una forza e sono preziosi agli occhi di Dio e al
bene dell’umanità.
Don Stefano Carusi