5 agosto 2011

Novus Ordo Missae: la legittimità di esprimere con franchezza il proprio pensiero teologico

Il nostro sito ha ricevuto il seguente quesito, che esterna perplessità non prive di interesse teologico :

“Secondo l’articolo 19 dell’Istruzione “Universae Ecclesiae” tutti coloro che dicono o vanno alla Messa tradizionale non devono essere contrari alla validità e legittimità della Nuova Messa, quindi non possono mettere in discussione il rito di Paolo VI. Vuol dire che secondo il documento non c’è più nessuna possibilità di critica in materia? Dove va a finire la libertà del dibattito teologico? E poi i problemi del nuovo Offertorio mi sembra che siano piuttosto seri. Non se ne può più parlare? Se ho obiezioni sulla Nuova Messa dovrei quindi, secondo l’Istruzione e per essere coerente, andare dai gruppi in rottura con Roma? Mi sono chiesto quale sia la posizione dell’Istituto del Buon Pastore… Che ne dice Disputationes?”

Giacomo Santini



La risposta di Disputationes Theologicae (su alcuni argomenti sollevati torneremo in seguito in maniera approfondita):


L’istruzione “Universae Ecclesiae” nel suo contesto


Il Card. Ottaviani, Prefetto emerito del Sant'Uffizio
e co-autore del Breve Esame Critico sul Novus Ordo Missae

Anzitutto secondo le più elementari norme del realismo tomista un documento disciplinare si situa in un contesto storico ed in una particolare situazione della Chiesa. Con un significativo ritardo - forse anche per le innegabili opposizioni che incontra il Santo Padre, persino all’interno della Curia Romana, e che tendono a ritardarne i progetti - la Commissione Ecclesia Dei ha prodotto un testo che, nell’attuale momento, è stato molto coraggioso. E’ chiaro che il Papa, il quale ha approvato il testo, e con Lui la Commissione, vuole che si esca da quella mentalità che riduceva l’uso della Messa gregoriana ad un indulto per esteti nostalgici. Mentalità che non ha certo servito la Chiesa. Non deve più essere così e anche Roma ora lo afferma. La Messa gregoriana, come la chiama il Card. Castrillòn Hoyos, è presentata dal documento come un rito venerabile, cui si deve il più grande rispetto; essa, come ha titolato Avvenire, è un tesoro prezioso: è un riferimento essenziale in liturgia, ma anche la “medicina” che deve essere offerta il più possibile per curare un malato, le celebrazioni “desacralizzate”, sebbene questo non venga esplicitato nel testo per motivi evidenti. Tuttavia è ciò che l’attuale Santo Padre sostiene fin dagli anni ’70, da quando con dolore vide lo sfascio liturgico e dottrinale del post-Concilio. Il testo va in questo senso, specialmente per chi sa leggere fra le righe, ma, vista la delicatissima situazione in Vaticano - bisogna tenerne conto, anche questo è realismo tomista  -, il Papa  è costretto ad agire con molta prudenza, cercando di non urtare coloro, anche prelati, che sono molto ostili alla sua opera. E’ di questi giorni la notizia delle rivolte contro la Sede Apostolica, anche gravissime, di certi episcopati, del clero austriaco, di numerosi teologi tedeschi. Questi segni storici sono fra loro connessi e, realisticamente, sono già un fatto condizionante.
L’Istruzione, va detto, ha un altro grande merito : dà finalmente alla Commissione dei poteri effettivi contro i recalcitranti. Difficile sapere all’atto pratico quale sarà il modo d’esercizio, ma, in attesa di strutture canoniche più solide, il principio è affermato. Dopo questo schizzo veloce della ratio dell’Istruzione (che è forse solo il primo di una serie di documenti esplicativi) veniamo al tanto discusso art. 19, il quale va letto nel testo latino, essendo alcune traduzioni sintatticamente e grammaticalmente erronee. Vediamo dunque testualmente e con attenzione, senza lasciarci sviare da presentazioni tendenziose, cosa esso precisamente afferma, tentando poi qualche riflessione a riguardo.




L’articolo n. 19

Il testo dell’articolo si rivolge ai fedeli che chiedono la celebrazione della Messa gregoriana (« Christifideles (…) postulantes auxilium ne ferant neque nomen dent »), invitandoli a non sostenere società che combattono in maniera ostile e accanita i testi ufficiali usciti dalla riforma liturgica (“inpugnent formam ordinariam” - “sint infensae”) e/o siano ostili al Romano Pontefice. Quel che detto articolo afferma espressamente non potersi fare è quindi una cosa molto ben definita: attaccare la validità o legittimità di tali testi.  E’ ovvio che il riferimento è precisamente alla Fraternità San Pio X. La Commissione, oltre a recepire in maniera diplomaticamente mite le perplessità espresse da certi settori del mondo cattolico, ha voluto ammonire severamente coloro che, negli ambienti detti “tradizionalisti”, attaccano il Papa e il Messale del 1970 in maniera estrema, misconoscendo in materia liturgica il ruolo, passato e presente, di Pietro. Capita infatti di ascoltare, anche sulla bocca d’autorevoli ecclesiastici “tradizionalisti”, accuse di categoricità inaudita contro qualsiasi legittimità, e talora persino la validità, della Messa promulgata da Paolo VI. Vi sono addirittura semplici fedeli, senz’alcuna cognizione teologica, che hanno la pretesa di pronunciarsi con sentenza definitiva e perentoria su ogni S. Messa celebrata secondo un Messale promulgato da un Papa. Vi sono poi dei sacerdoti, alcuni dei quali non del tutto digiuni di teologia, che sono giunti a sostenere, sempre immancabilmente come cosa certa, che il Novus Ordo non sia mai stato promulgato, né mai possa esserlo, in ragione dell’oggetto “cattivo in sé”. E’ noto in teologia che non vi è “legge” qualora l’atto prescritto sia contrario alla legge naturale o divina. Avendo essi paragonato il Novus Ordo ad un atto morale sempre cattivo - quale l’adulterio per esempio - è chiaro che il Novus Ordo non è affatto una legge, come non potrebbe esserlo un decreto che prescrivesse l’adulterio. Questa tesi, talvolta espressa in rigorosi sillogismi da sacerdoti per altri versi degni di stima, non è un appannaggio dei soli sedevacantisti…ma anche di chi nega il proprio sedevacantismo senza rendersi conto che tale è la sua teologia e la sua mentalità.
Anche su alcune autorevoli riviste di area tradizionale, accanto alle giuste osservazioni critiche che vi si leggono, si è  giunti, se non direttamente a negare la validità del rito, almeno a semplicemente equiparare l’assistenza alle Messe del Novus Ordo a quella a un rito protestante, al quale non si può mai assistere attivamente senza peccare. Si è arrivati perfino a parlare - dimostrando qualche lacuna in metafisica - di “presenza reale cattiva” alla Messa celebrata secondo il Novus Ordo; a evitare di mescolare le sacre specie consacrate nei due riti; a sconsigliare le Messe di tutti coloro che sono canonicamente riconosciuti dal Papa. In breve, si è rasentato - e talvolta oltrepassato - il delirio teologico, con traballanti, quando non ereticali, teologie eucaristiche. Contro queste posizioni “urlate”, irriguardose e comunque temerarie di certo mondo tradizionalista la Santa Sede è intervenuta e, in particolare con l’articolo 19, ha fatto presente ai fedeli “tradizionalisti” che vogliono stare con chi ha una teologia sedevacantista e al tempo stesso con chi ha un legame con il Papa, che davanti al Motu proprio non è più possibile stare coi piedi in due staffe. Il caso dei sedevacantisti dovrebbe essere, ovviamente, ancora più semplice.


Rispetto di un testo liturgico approvato dall’Autorità Suprema e, al contempo, diritto a muovere osservazioni teologiche (cfr. C.I.C., can. 212 e 215)

La questione consta di due aspetti. Da una parte, il Novus Ordo Missae viene come una legge liturgica, promulgata per la Chiesa universale, sicché non si può misconoscere l’assistenza prudenziale, che Cristo ha promesso alla Sua Chiesa sino alla fine dei tempi. Alcuni obietteranno che non c’è concordanza dei teologi sulla definizione dell’infallibilità nei “fatti dogmatici” come la liturgia - transeat -, sono effettivamente questioni complesse e non facili, ma ciò non autorizza ad “attaccare con ostilità” (“inpugnent”/ “infensae”) tale Messale e l’Autorità che l’ha promulgato. Questo rispetto dovuto all’autorità ecclesiastica non significa però negare ostinatamente - come chi volontariamente si chiude gli occhi, allorquando invece in cuor proprio  vede bene il problema - la gravità dell’attuale situazione liturgica. Essa non si limita agli abusi, ma reclama almeno una “riforma della riforma”, invocata ormai da vari prelati. La liturgia riformata ha bisogno urgente d’interventi. Si potrebbe ad esempio ristabilire: 1) la celebrazione versus crucem; il Papa  in qualche modo lo fa già; 2) rivedere appunto l’Offertorio; la proposta è stata trattata dal Prof. Mons. Nicola Bux su questo sito (link); 3) dare la Comunione sempre sulla lingua e in ginocchio, è l’opinione avanzata anche da S. Em.za il Card. Canizares, Prefetto del Culto Divino (link); 4) riesaminare certe traduzioni e formulazioni; anche sulla scia della disposizione data dal Pontefice regnante per il ripristino del tradizionale “pro multis” nella formula consacratoria del nuovo rito.
Il Santo Padre a suo tempo ha attestato per iscritto la problematicità della riforma liturgica e l’articolo 19 non impone di negarla, ma viene ad affermare che solo l’Autorità Suprema può portare un giudizio definitivo in una materia e in una situazione tanto delicata come quella liturgica. Anche negli ambienti del tradizionalismo che si vorrebbe “più puro” vanno riviste le mentalità, e talvolta i toni, durissimi contro coloro che celebrano la nuova Messa o vi prendono parte, quasi essa non godesse di nessuna approvazione e fosse né più né meno che un rito a-cattolico. La questione è ben più complessa e ciò va riconosciuto. Non basta essere “tradizionalisti”, bisogna imparare a distinguere. Soprattutto bisogna imparare a rispettare l’autorità di Pietro e a muoversi in spirito di carità ecclesiale. La fedeltà a questi principi fondamentali d’appartenenza cattolica non ha impedito tuttavia ai Cardinali Ottaviani e Bacci di sottoscrivere il “Breve esame critico del Novus Ordo Missae”; né al Card. Castrillòn Hoyos di scrivere (peraltro da parte della Santa Sede) che, se si ha evidenza di incoerenze, la critica costruttiva può essere un prezioso servizio per la Chiesa. Quale sarebbe, se non si sottolinea quest’aspetto, la specificità dell’Istituto del Buon Pastore ? Quale sarebbe altrimenti la ragion d’essere di questa rivista ? Ciò vuol dire che l’accettazione dei menzionati principi di base è un semplice segno di coerenza teologica ed ecclesiale per chi non vuole cadere nel sedevacantismo pratico, benché talvolta incosciente. Non per questo tutte le riserve decadono, non per questo si deve parlare e agire contro coscienza, non per questo si è obbligati al servilismo e impediti nella franca espressione delle proprie opinioni critiche, anche in merito alla riforma liturgica. Così come fece S. Em.za Rev. ma il Card. Alfredo Ottaviani, coraggioso Prefetto emerito del Sant’Uffizio, le cui osservazioni sul Novus Ordo facciamo in gran parte nostre, e che mai nessuno potrà accusare di illecito o di disobbedienza al Vicario di Cristo.
 




Don Stefano Carusi