(I)
2
febbraio 2019, Presentazione di Gesù al
Tempio
Introduzione
La questione dell’esistenza e della natura
delle passioni in Gesù Cristo riveste un’importanza non solamente dogmatica –
in rapporto alla realtà dell’Incarnazione – ma anche ascetica e morale. Se Gesù
Cristo può essere vero modello di tutta la vita morale, è perché è Perfectus Homo, perché è uomo in tutto,
fin nelle passioni. Non ha scelto di prendere una parte dell’umanità
lasciandone un’altra o di prendere solamente la nobiltà dell’intelligenza,
senza avere i limiti di un essere materiale. Ha voluto condividere tutto ciò
che è proprio all’uomo, ivi compresa la materialità corporale e dunque la
passibilità. Tuttavia, non bisogna dimenticare che qualsiasi considerazione
dell’umanità corporale deve sempre considerare al tempo stesso che la Persona
di Gesù Cristo è il Verbo, che è Dio. Gesù Cristo è vero uomo, ma anche vero
Dio. In merito alle caratteristiche della Sua umanità, è dunque necessario
ricordarsi che esse richiedono una trattazione con distinzioni specifiche, che
tuttavia non mettono affatto in discussione l’ “integralità” della Sua
Incarnazione.
C’è stata in ogni epoca, e ancor più nella
nostra, una tendenza a tralasciare e talvolta a evacuare il necessario ruolo
delle passioni nella vita morale di un uomo. Inoltre, certe passioni
dell’irascibile, come la collera per esempio, sono talvolta viste come “sempre
nocive”, quindi da reprimere sistematicamente. Una tendenza a vedere la vita
cristiana in maniera edulcorata e quasi apatica, si coniuga ad una visione di
Gesù Cristo che s’ispira più all’atarassia idealista degli Stoici che alla
familiare umanità del Vangelo. In un quadro del genere si giunge talvolta ad
attribuire a Gesù Cristo, e quindi a raccomandare al cristiano, una vita morale
che si riduce a una battaglia senza distinzioni contro ogni sorta di passione.
La speculazione tomista al contrario
analizza l’uomo con le sue passioni, partendo da tutti i dati della realtà
naturale. L’innegabile presenza in ogni uomo del concupiscibile e dell’irascibile
conduce Aristotele prima, S. Tommaso poi, a dare una descrizione e una
divisione delle passioni umane partendo dall’esame del reale: ciascuna di esse
deve avere un ruolo nella regolazione della vita morale, perché ciò che è
naturale non può essere vano. Natura
nihil facit inane, dice l’adagio classico. L’Uomo-Dio stesso, assumendo la
natura umana, ha voluto servirsi di ciascuna passione, per mostrare in che
modo, nel disegno della Creazione, esse sono tutte necessarie e utili, in
maniera tale che un’ingiusta repressione può anche diventare immorale.
In questo prospetto è importante precisare
la nozione di “passione” e più precisamente di “passione dell’irascibile”, per
abbordare in seguito le diverse passioni secondo San Tommaso, avendo sempre lo
sguardo fisso al Vangelo, nello scopo di vedere il possibile parallelo tra vita
morale dell’uomo ed esempio concreto dato da Cristo.
Le
passioni dell’irascibile
San Tommaso, durante tutta la questione 22
della Prima Secundae, affronta la
nozione di passione secondo un doppio uso, in senso largo e in senso proprio.
Nel nostro ambito concentriamo l’analisi sul loro senso proprio, ovvero nel
caso in cui la passione è predicata per un essere materiale. Nello specifico
focalizzeremo la nostra attenzione, nel caso dell’uomo, non sulle passioni
dette “del corpo”, come la fame, la sete o la malattia, ma sulle passioni dette
più propriamente “dell’anima”.
Le passioni dell’anima sono, secondo la
definizione del Damasceno[1], i movimenti dell’appetito sensitivo,
provocati dall'immaginazione o dalla rappresentazione di un bene o di un male e
accompagnati da una perturbazione del corpo. I movimenti dell’appetito
sensitivo - a differenza di quelli dell’appetito intellettivo - sono
necessariamente legati con un movimento corporale, materiale. È questo
l’aspetto che darà alla passione il suo carattere proprio. Per parlare più
propriamente di passione è necessaria dunque una certa materialità[2]. L’elemento intellettivo, visto nella sua
anteriorità apprensiva, resta tuttavia in rapporto con la sua “conseguenza”
appetitiva. Una conoscenza intellettiva susciterà, in ragione dell’unione
dell’anima al corpo, il movimento corporale, che sarà in connessione con il
movimento appetitivo in vista di un’azione[3].
San Tommaso dividerà quindi le passioni
secondo due specie di tendenze appetitive. Nel caso dell’appetito
concupiscibile (che si riferisce al bene in quanto è gradevole al senso e in
quanto conviene alla natura del soggetto)[4], si avranno sei passioni. Il bene di cui
si parla può essere considerato in tre modi, 1) in sé: si avrà quindi la
passione d’ amore, 2) come assente:
si avrà il desiderio, 3) come
presente: si avrà la gioia. Nel caso
del male (bene che manca) abbiamo lo stesso parallelo, 1) male considerato in
sé: si avrà la passione di odio, 2)
considerato come assente: si avrà la fuga,
3) considerato come presente: si avrà la tristezza[5].
L’appetito irascibile, invece, si riferisce
al bene considerato in rapporto alla difficoltà del suo ottenimento, visto
sotto la sua ratio di “arduo” (arduum)[6]. In questo caso San Tommaso distingue cinque
passioni, a seconda che si consideri il suo aspetto di bonum o il suo aspetto di arduum.
Ci saranno due coppie di contrari e una
passione che non ha contrari. Se il bene arduo è futuro si ha la speranza, ci si dirige verso il bene che
può essere ottenuto a costo di difficoltà, ma visto sotto la ratio della sua possibilità di
ottenerlo; il suo contrario è la disperazione,
poiché il bene arduo si presenta come qualcosa che non può essere ottenuto, si
ha allora una repulsione, non del bene, ma del suo lato arduo. In rapporto al
male che non è ancora presente e che “separa” dal bene, si può avere il timore, che è la fuga dal male, o il suo
contrario, l’audacia che fa
affrontare il male, in vista dell’ottenimento di questo bene difficile[7]. La quinta è la collera che appare quando il male è presente[8]. Quest’ultima non ha contrario perché nel
caso del bene presente avremmo la gioia, che è una passione del concupiscibile.
Come si vede nella divisione dell’Aquinate, le passioni sono da vedersi come
delle forze vive, che possono facilitare l’azione e portarla a termine. Particolarmente nel caso delle passioni
dell’irascibile esse sono un sostegno per affrontare il male o le difficoltà e
condurre all’ottenimento del bene difficile.
Le passioni non sono dunque in sé in
contrasto con la vita morale, ma sono al suo servizio. Certo, nello stato
attuale un certo disordine tocca la natura umana in ragione del peccato
originale e la cosa diventa ancora più evidente quando intervengono le
passioni. Ciò non rende le passioni immorali, ma fa sì che la loro moralità sia
da valutare in rapporto alla loro conformità alla retta ragione e all’uso
libero della volontà. Esse non devono oscurare l’intelligenza, né impedire
l’azione voluta, perché in questi due casi si rilevano allora nocive alla vita
morale. Considerate in sé, esse possono essere viste come indifferenti dice San
Tommaso, ma esse sono buone e utili quando sono ben ordinate[9].
Come si nota guardando la storia,
l’appetito dei grandi uomini necessitava di grandi passioni perché fossero
mossi e perché portassero a termine le loro azioni difficili; parimenti,
considerando la grandezza della Sua opera, è anche di somma convenienza che
Nostro Signore abbia avuto delle forti passioni anche nell’appetito irascibile.
~ Fine
I parte ~
Don Stefano Carusi
[1] S. Th. , Ia IIae, q 22, a . 3, sed contra.
[2] S. Th. , Ia IIae, q. 22, a . 2, ad tertium.
[3] S. Th. , Ia IIae, q. 22, a . 2, ad primum.
[4] S. Th. , Ia Pars, q. 82, a . 5, corpus.
[5] S. Th. , Ia IIae, q. 23, a . 4, corpus.
[6] Il bene nell’ambito
dell’irascibile è visto sotto una diversa prospettiva: « secundum quod est repulsivum et impugnativum
eius quod fert nocumentum » . S Th., Ia Pars, qu. 82, a . 5, corpus.
[7] S. Th. , Ia IIae, q. 23, a . 2, corpus.
[8] S. Th., I-II, q. 23, a .
1-4.
[9] S. Th. I-II, q. 56, a .
4.