21 marzo 2019

Le passioni dell’irascible

Le aveva anche Gesù?

(II)

21 marzo 2019, San Benedetto

Sebastiano Conca, Agonia nell'Orto degli Ulivi, Torino - Palazzo Reale


 

Qui la Prima Parte

Passioni dell’irascibile e realismo del Vangelo

Il testo ispirato rende testimonianza della veridicità dell’Incarnazione, tanto sotto l’aspetto più propriamente fisico della carne di Cristo, traforata dai chiodi sulla Croce, che nella descrizione delle passioni dell’anima di Cristo, menzionate nei loro effetti di ridondanza sul corpo. E’ a quest’ultimo proposito che i Vangeli svelano l’umanità di Gesù, nel suo aspetto più propriamente “morale”, e forniscono un modello di vita ordinata. In merito alle passioni dell’irascibile molti sarebbero i passaggi da citare, ci limiteremo in questo studio a qualche esempio significativo per ciascuna delle cinque passioni, cercando di seguire in parallelo l’analisi speculativa che San Tommaso ci dà nella Summa Theologiae.


Speranza e disperazione

La speranza, in confronto al desiderio, suo analogo nel concupiscibile, prevede un aspetto di sforzo aggiunto e una tensione dell’anima verso il bene difficile da ottenere10. Quando Cristo annuncia la sua Resurrezione, la glorificazione del suo corpo e la salvezza degli uomini (Mt 16, 21; 20,19 ; 22, 31) - non solo prima dei tormenti della Passione, ma anche dopo la sua Resurrezione - annuncia un’opera buona, ma difficile e addirittura unica. E’ richiesto un arduo lavoro per ottenere un tal bene. La grandezza del bene stimola allora una passione che lo dirigerà verso l’azione e gli permetterà di tendervi malgrado le difficoltà: è la speranza che ha provato Cristo stesso. Questa passione, secondo il testo sacro, doveva manifestarsi anche nel suo corpo e nella sua attitudine, al punto che talvolta diventa contagiosa per coloro che lo attorniano. E’ l’effetto che si constata nelle folle e tra i discepoli. Senza escludere l’opera soprannaturale e invisibile della grazia, c’è qui un modo umano nell’esteriorizzazione della speranza di Cristo. Così testimoniano i discepoli di Emmaus. Quest’ultimi confessano l’ardore che Gesù aveva loro trasmesso parlando della gloria futura e del cielo: «non ardeva forse il nostro cuore quando egli, lungo la via, ci spiegava e svelava il senso delle Scritture?» (Lc 24, 33). Questo passaggio mostra anche che la speranza di Cristo e di coloro che lo ascoltano è ordinata e razionale e non si tratta di una chimera poiché si dirige verso un vero bene. L’Evangelista fornisce anche il fondamento razionale di tale passione: in effetti, la certezza della possibilità di ottenere il bene di cui si parla riposa sulla fedeltà di Dio alle Sue promesse. L’annuncio dei profeti è veridico, perché Dio non inganna, e questo bene arduo della resurrezione, vero bene per l’uomo, può essere ottenuto (Lc 24, 25-27).

La grandezza del bene sperato tuttavia domanda spesso uno sforzo arduo “proporzionato”; quest’ultimo aspetto può ragionevolmente scoraggiare e generare una moto di ripulsa, perché comporta l’esigenza di rinunciare ad altri beni. Nel Giardino degli Ulivi, per esempio, l’umanità di Cristo non può che essere atterrita dal pensiero che si presenta agli occhi della sua intelligenza. L’apprensione intellettiva di tutti i tormenti che sopporterà, così come il male fisico che ne deriverà per il suo corpo, lasciano Gesù nell’angoscia più profonda: «cominciò a provare tristezza e angoscia » (Mt 26, 37). La sua anima è « triste fino alla morte» (Mt 26, 37). 

Ciò che determina la disperazione è appunto questa apprensione intellettiva del male futuro come imminente e inevitabile e un movimento di ripulsa è naturale. L’oggetto della sofferenza è compreso dall’intelletto e non può che generare un movimento dell’appetito11. Il bene è considerato «in rapporto all’impossibilità d’ottenerlo […] Ed è così che la disperazione riguarda tale oggetto»12

Gesù dispera per esempio del bene della sua integrità fisica. Lui stesso attribuisce tali effetti alla natura umana, alla materialità della sua carne: «lo spirito è forte, ma la carne è debole» (Mt 26, 41). 

Anche in Gesù ha luogo il movimento di repulsione connesso alla disperazione, quello che San Tommaso chiama «un movimento di un certo allontanamento»13. In Gesù Cristo tuttavia la passione resta sempre sotto il controllo della ragione, che ordina tutto ad una causa superiore. Il movimento normale della natura che non vuole la sua distruzione, non impedisce alla volontà di restare ferma nella sua tendenza al bene superiore che è stato scelto (i tomisti distinguono voluntas ut natura e voluntas ut ratio)14: Gesù accetta e vuole il bene legato a questo dolore, così come i mezzi necessari per ottenerlo, perché tale è la volontà del Padre (voluntas ut ratio) : «Padre mio, se non è possibile che questo calice si allontani da me senza che io lo beva, che si compia la tua volontà» (Mt 26, 42). Tuttavia la sua natura (voluntas ut natura) non può amare la propria distruzione : ecco da dove nascono in Cristo le espressioni di ripulsa. Nostro Signore farà anche uso del metodo soprannaturale di sostegno nella disperazione, la preghiera. Essa aiuta nell’accettazione paziente di una volontà superiore che è impossibile cambiare, « vegliate e pregate » (Mt 26, 41). 

Ed è ancora la disperazione ciò che Gesù prova, del tutto umanamente, nello slancio d’attaccamento per la sua città e il suo Tempio. Nel Vangelo di Luca, lo si vede guardare la città santa di Gerusalemme ed immaginarne la rovina. L’oggetto di tale rappresentazione è la fine di un bene, la fine di questa bella città che ha tanto segnato la sua esistenza terrestre e che conserva tutte le memorie del suo popolo : «ti distruggeranno, te e i tuoi abitanti e non lasceranno in te pietra su pietra» (Lc 19, 44). La distruzione della propria patria è divenuta inevitabile a causa del rifiuto del Salvatore, che non è nessun altro se non la sua propria persona, il che raddoppia il dolore. Il movimento dell’anima è tale che la commozione lo tocca e, non appena l’oggetto appare alla sua vista (Gesù conosce anche per scienza acquisita)15, l’effetto corporale segue e lui versa lacrime : «vedendo la città pianse su di essa» (Lc 19, 41). 


Timore e audacia

«Il timore si riferisce ad un male futuro» dice San Tommaso e i movimenti che lo accompagnano giungono anche a dare una certa « contrazione ». E’ per questo che il nome di « passione » gli conviene sommamente16. Il fatto che il male sia futuro e non presente non è una ragione per cui le conseguenze sul corpo dovrebbero essere ridotte. Al contrario, la trasmutazione corporale può anche essere maggiore quando l’oggetto è solo rappresentato17, che quando è presente. Ciò può prodursi perché il rimedio a questo male non è ancora sopraggiunto : in effetti la passione d’audacia (il contrario del timore, al quale apporta una certa soluzione)18, sopraggiunge generalmente in un secondo tempo, rispettando le successioni temporali della nostra intelligenza discorsiva. Si apprende il male, lo si teme, ci vuole allora un rimedio per superarlo.

Seguendo la descrizione della Passione di Gesù Cristo si sarebbe tentati di vedere questa successione descritta dagli Evangelisti: nel Getsemani, quando la Passione futura si rendeva presente allo spirito, « cominciò a tremare e ad essere in preda all’angoscia » (Mc 14, 33). Da un tale terrore non poteva che conseguire il desiderio di fuggire il male19 : « Padre, se è possibile allontana da me questo calice » (Mc 14, 36 ; Mt 26, 39). Le conseguenze fisiche non mancano e il corpo ne risente fino al sudore di sangue (Lc 22, 44). La sproporzione del male in rapporto alla capacità di sopportarlo è appunto l’aspetto più terrificante in colui che teme, che si vede solo davanti all’incapacità di resistere20. Il Vangelo, in una chiave piuttosto pedagogica, testimonia di questo stato, che sembra richiedere - anche per Gesù Cristo - un aiuto, il ricorso ad un altro che non sia nello stesso stato: è l’angelo consolatore di San Luca (Lc 22, 43). In Gesù Cristo non c’era errore; l’angelo dunque non ha un ruolo di consigliere contro un giudizio erroneo causato dalla passione. Tuttavia si potrebbe vedere qui una certa analogia con la disposizione al consiglio nel timore, di cui parla San Tommaso21. Cristo ha voluto farsi consolare da un altro, insegnando in tal modo che il ricorso agli altri, quando si è in difficoltà, può essere cosa buona e segno d’una sana umiltà. 

Il Vangelo insiste, mostrandoci quasi una passione dopo l’altra, svelando l’utilità di ognuna come rimedio ad una difficoltà precedente. Davanti ad un male così grande come quello che si annuncia per il Venerdì Santo, ci vuole un movimento proporzionato che possa permettere di affrontarlo e di pensare di trionfare su di esso. E’ l’audacia che «aggredisce il pericolo imminente per vincerlo»22. San Giovanni ci dice che Gesù non solo non cerca di fuggire, ma si fa avanti solo verso i soldati del Sinedrio e Giuda. Risponde loro con fermezza, pur sapendo quel che sta per succedergli: «Gesù sapendo quel che stava per accadergli andò avanti e disse loro : “chi cercate?”» (Jn 18,4-8 ). Non esita a dir loro che è pronto a seguirli, e ciò anche su un tono imperioso. Sa che bisogna affrontare questo male per un bene maggiore (i benefici che seguiranno il Suo sacrificio), infatti « per accidente si può perseguire un male, ma in ragione del bene che gli è congiunto »23. Gesù, preso dalla passione d’audacia, sentirà - e il tono delle sue parole lo svela - questo movimento corporale, che gli permetterà di salire al Calvario per ottenere un bene smisurato.

Fine II Parte








10 S. Th., Ia IIae, q. 40, a. 1.

11 S. Th., Ia IIae, q. 40, a.2 corpus.

12 S. Th., Ia IIae, q.40. a 4, corpus.

13 Ibidem.

14 S. Th., IIIa, q. 18, a. 3, corpus.

15 Sull’intelletto agente in Cristo: S. Th., IIIa, q. 9, a. 4, corpus.

16 S.Th., Ia IIae, q. 41, a.1, corpus.

17 S. Th., Ia IIae, q.41, a1, ad primum, ad secundum.

18 S. Th., Ia IIae, q. 45, a 1, corpus.

19 S. Th., Ia IIae, q. 41, a.3, corpus; IIIa q. 15, a. 7, corpus.

20 S. Th. Ia IIae, q. 41, a.4, corpus.

21 S. Th., Ia IIae, q. 44, a. 2.

22 S. Th., Ia IIae, q. 45, a 1, corpus.


23 S Th. Ia IIae, q. 45, a. 2, corpus.