Pagine

13 maggio 2020

In morte di Mons. Antonio Livi

Il teologo “non accademico” ricordato nei suoi articoli


13 maggio, San Roberto Bellarmino
anniversario delle apparizioni di Fatima




Mons. Livi ci ha lasciato da ormai circa un mese, chi lo ha conosciuto da vicino sa - come un suo amico ha ricordato di recente - che non avrebbe amato panegirici in suo onore, anche temendo che le parole fossero dettate più dalla circostanza che dal cuore. Era così il Decano di Filosofia dell’Università del Laterano, cui Mons. Gherardini il 14 gennaio 2016 lasciò per iscritto la direzione di Divinitas, eravamo presenti, perché continuasse nello spirito di Mons. Piolanti. Un uomo dal carattere non sempre facile e a tratti schivo, non si fidava mai troppo di chi lo incensava; alcune dure prove della sua vita sacerdotale gli avevano insegnato una pronunciata ritrosia verso gli adulatori, specie se ammantati di parole apparentemente “caritatevoli”. Gli obbediremo quindi, e lo ricorderemo solo con i suoi scritti, come avrebbe voluto: “andate a vedere quel che ho scritto e firmato”. Ed è vero, se lo si vuol conoscere ed apprezzare, ma soprattutto se si vuol capire come vada letta questa crisi straordinaria del pensiero e del pensiero cattolico, si leggano anche i suoi scritti. Riporteremo quindi in calce tutti gli articoli che hanno segnato la sua collaborazione con Disputationes Theologicae dal 2012, fino al dilagare del pensiero di Walter Kasper nella Chiesa che gli faceva orrore. Dio sa quanto giustamente.

Un solo strappo ci concediamo a quanto prefissatoci, anche perché, senza nascondere che non sempre ci siamo trovati d’accordo, nella fattispecie ci riteniamo abbastanza immuni dai citati rischi: un elogio della sua ripugnanza verso la “mediocrità accademica”, specie in questi ultimi anni di vita in cui volle dare un orientamento più determinato a certe scelte. Si badi bene, non stiamo parlando delle scarse capacità intellettuali del tale teologo o filosofo, anzi, non ricordiamo su tale punto una particolare asprezza da parte sua nemmeno davanti a certe nullità salite in cattedra. Ma parliamo di quella che è vera mediocrità, specie nell’uomo di Chiesa che dovrebbe insegnare, perché è vera tiepidezza. “Si doctus es doce nos” avrebbe detto San Bernardo. Chi più sa, chi più ha capito - specialmente in merito a questa peste che infetta e fiacca oggi la Chiesa - più deve parlare. Anzi deve gridare dai tetti, certo secondo l’opportunità dei casi e le capacità del singolo, ma c’è un dovere di testimonianza di cui ci sarà chiesto conto. Per quel che ricordiamo questo Mons. Livi l’ha fatto, pagandone lo scotto, specie negli ultimi anni in cui il suo grido s’era fatto più deciso e ruggente che in passato, anche vedendo quel che la tiepidezza dei “cani muti” di Isaia aveva prodotto. Andava a tenere conferenze laddove c’erano “quattro gatti”, come diceva lui, nel tal paese sperduto, organizzate magari da quell’associazione che non era per forza di cose nelle grazie di certi potentati curiali, e - davanti a quel pubblico spesso poco avvezzo ai distinguo tomisti - adattava i suoi interventi. E ciò perché quel popolo, forse ignaro di distinzioni filosofiche, ma desideroso di restare fedele alla Chiesa, potesse essere messo in guardia dai pericoli di certe suadenti dottrine, intrise di quell’eresia che è strada maestra verso il fuoco eterno. A questo pensava, specie ultimamente, all’essenziale. Lui, l’accademico vero. Mentre sarebbe stato gioco facile nascondersi dietro la più dotta e forbita distinzione teologica o di scuola - di cui sarebbe stato capace e che magari molti dei suoi avversari non avrebbero nemmeno capito… - e così immergersi in certo equilibrismo d’accademia, che in fondo vuole evitare di scegliere tra Cristo e Beliar, lì lui attaccava i nemici della Dottrina con una foga anche verbalmente impetuosa. E li chiamava per nome, cognome e titolo accademico o gerarchico, per metter in guardia i più deboli. 


Questa è “grandezza accademica” e questo ci premeva ricordare, prima di lasciar la parola ai suoi scritti. Da quaggiù noi preghiamo per l’anima di Mons. Livi e che lui interceda anche per tutti quegli studiosi cattolici di buona dottrina, e ce ne sono anche se talvolta nascosti, perché sappiano portare onus et honor dell’essere vero accademico cattolico in questi tempi d’imperante apostasia.


Don Stefano Carusi




Gli scritti che Mons. Antonio Livi ha pubblicato nella nostra rivista:


Sulla Comunione ai Protestanti:


“Amoris Laetitia”. Mons. Livi parla ai penitenti e ai confessori:



Sull’eresia delle teorie eucaristiche di Kasper:



Sulle eresie ecclesiologiche di Küng:


Per il rilancio della filosofia perenne:


Sull’incompatibilità tra teologia cattolica e filosofia hegeliana: