18 ottobre 2014, San Luca Evangelista
Disputationes Theologicae
ha, nei giorni scorsi, riproposto la lettura di alcuni articoli - pubblicati già
negli scorsi anni - con una rubrica ad hoc: “Alle radici ideologiche del veleno sinodale” (cfr. colonna di destra).
Per approfondire le premesse che
hanno condotto all’attuale baratro dottrinale ed ecclesiale, di cui gli eventi
sinodali di questi giorni sono solo il fenomeno più evidente, ha chiesto a
Mons. Antonio Livi, decano emerito di Filosofia della Lateranense, un
contributo per risalire alle radici filosofico-teologiche della “Nuova
Ecclesiologia”.
L’attenzione si è concentrata su
uno dei più significativi ed influenti esponenti della “falsa teologia”, per
riprendere un’immagine cara all’autore (cfr. A. Livi, Vera e falsa teologia. Come
distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia
religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012).
S. C.
Antonio
Livi
L’ecclesiologia di Hans Küng
Hans Küng |
L’ecclesiologia di Hans
Küng merita di essere attentamene esaminata perché oggi essa non ha un peso teologico
marginale ma costituisce proprio l’ideologia filosofico-religiosa dominante in
ambito cattolico. Le categorie concettuali e le fonti letterarie principali
sono quelle della Riforma luterana e della filosofia religiosa di matrice luterana,
rappresentata nell’Ottocento dal sistema idealistico di Georg Friedrich Hegel e
nel Novecento dalla «dogmatica ecclesiale» (die Kirchliche Dogmatik ) di Karl Barth.
I capisaldi di questa ideologia filosofico-religiosa sono rappresentati dallo
storicismo e dalla dialettica immanentistica. La Chiesa cattolica viene così
interpretata come un momento storico della dialettica dello Spirito (inteso,
questo, non tanto come lo Agion Pneuma
del dogma cattolico quanto piuttosto come «der
Geist» di Hegel), la quale mira a uno svolgimento nel prossimo futuro che vedrà,
come prima tappa, l’abbattimento delle barriere dottrinali tra cattolici e
protestanti (con la piena accettazione della concezione luterana della
«giustificazione per sola grazia») e la costituzione di una sola “Chiesa di
Cristo” (ecumenismo); infine, come seconda e definitiva tappa, la costituzione
di una “Chiesa universale” su base esclusivamente etico-politica (la «Weltethik»). Tale ideologia pervade
oggi, come sottofondo ben identificabile a un’attenta analisi concettuale, la
maggior parte delle proposte (dottrinali o pastorali) dei teologi cattolici più
in vista, a cominciare da Karl Rahner, che lo stesso Hans Küng considera un
maestro e un modello nell’adottare in teologia la dialettica di Hegel (1).
Questi teologi cattolici, molti dei quali divennero vescovi, esercitarono una
ben documentata influenza sui lavori del Vaticano II, per poi assumere il ruolo
(arbitrario) degli unici interpreti autorevoli del Concilio nel successivo
cinquantennio, fino ad arrivare, oggi, alla preparazione e allo svolgimento dei
lavori del duplice Sinodo sulle possibili modifiche della prassi pastorale in
relazione ai problemi delle famiglie. Figura di spicco di questa corrente
teologica è il cardinale Walter Kasper, sostenuto da gran parte dell’episcopato
tedesco e in Italia da altri teologi divenuti cardinali come Dionigi Tettamanzi
e Gianfranco Ravasi. La sua tesi più caratteristica, in linea con le proposte
teologico-morali di Hans Küng, è la necessità di accelerare il processo di
riforma della Chiesa con
un più deciso adattamento alla coscienza morale degli «uomini del nostro tempo» e l’allineamento con la prassi delle comunità ecclesiali protestanti e ortodosse. Nel suoi discorsi il Leitmotiv è la necessità di de-dogmatizzare la Chiesa cattolica, cominciando da una nuova pastorale della famiglia separata e indipendente dalla dottrina sui sacramenti, provvisoriamente non abolita ma tenuta in disparte (2). In Italia, l’ideologia ecclesiologica di Hans Küng, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto “ecumenico”, è divulgata e incessantemente riproposta da Enzo Bianchi, “priore” della comunità di Bose, molto ascoltato dalla maggioranza dei vescovi e anche presso la Santa Sede (3).
un più deciso adattamento alla coscienza morale degli «uomini del nostro tempo» e l’allineamento con la prassi delle comunità ecclesiali protestanti e ortodosse. Nel suoi discorsi il Leitmotiv è la necessità di de-dogmatizzare la Chiesa cattolica, cominciando da una nuova pastorale della famiglia separata e indipendente dalla dottrina sui sacramenti, provvisoriamente non abolita ma tenuta in disparte (2). In Italia, l’ideologia ecclesiologica di Hans Küng, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto “ecumenico”, è divulgata e incessantemente riproposta da Enzo Bianchi, “priore” della comunità di Bose, molto ascoltato dalla maggioranza dei vescovi e anche presso la Santa Sede (3).
Alle origini del progetto di riforma della Chiesa Cattolica
Per comprendere bene,
nei suoi contenuti teorici e nella sua portata pratica, l’ecclesiologia di Hans
Küng, è indispensabile accennare ad alcuni dati biografici, sulla scorta delle opere nelle quali il teologo svizzero
ha narrato il processo della sua formazione intellettuale (4). Da questi dati risulterà
assai chiaramente l’indole luterano-idealistica delle sue intenzioni
riformatrici e del suo ideale di vita ecclesiale cattolica, sulla base della
sua particolare concezione del sacerdozio e della pastorale, presenti in ogni
sua opera, dalla giovanile Rechtfertigung
alle opere della maturità come Existiert Gott? e al “manifesto”
conclusivo della “Chiesa futura”, ossia il Projekt Weltethos. Hans Küng
(nato nel 1928) si forma in un ambiente dove si pratica di fatto un certo “dialogo
inter-religioso”, per via del contatto quotidiano, nella stessa classe, con
cattolici, protestanti ed ebrei (5). Anche se aveva pensato di diventare medico
o architetto, «tendeva a qualcosa che fosse insieme più spirituale e più
concreto, più utile ai giovani, perciò decise di diventare sacerdote e teologo
cattolico» (6). In seguito, tali tendenze diverranno molto più accentuate,
avranno cioè più evidenza e risonanza nella sua produzione. Lo dimostrano opere
come Wahrhaftigkeit e Christ
sein, e poi la sua attività romana come assistente spirituale di
impiegati e a Sursee come predicatore in ospedale (7). Giunto a Roma, nel 1948,
Küng entra come seminarista al Pontificio Collegio Germanico e studia filosofia
e teologia all’Università Gregoriana. Al Germanico, in quegli anni, vi si
trovavano studiosi quali Emerich Coreth, Wilhelm Klein, W. Kern, tutti impegnati
nello studio della filosofia hegeliana. Proprio in quel periodo, nel 1952, Coreth
aveva dato alle stampe un suo saggio, intitolato Das dialektische Sein in
Hegels Logik. Come afferma lo stesso Küng, da lui egli imparò a
interpretare la spiritualità sacerdotale e lo zelo pastorale in termini storicistici e dialettici, in
opposizione frontale con le direttive dottrinali del Magistero di Pio XII, che
includevano anche la raccomandazione di non abbandonare la metafisica e la
logica insite nella tradizione teologica cattolica:
«Probabilmente non
avrei resistito in quei sette anni senza il mio padre spirituale al Collegio
Germanico, P. Wilhelm Klein, il quale – preparato da una molteplice attività
come professore di filosofia, come provinciale della provincia gesuita della
Germania del Nord e come visitatore per la Compagnia di Gesù dalla Scandinavia
fino al Giappone – portava con sé un orizzonte di vedute raro e molto ampio
[...]. Egli era anche l’uomo che per primo mi rese attento riguardo a molti
problemi filosofici e teologici scottanti. Con lui parlavo soprattutto di Hegel
e poi di Karl Barth. E a lui per primo mostravo i miei brevi manoscritti
teologici, che redigevo da solo e che egli per lo più prima stroncava nel modo più
tagliente per poi costringermi ad un pensare veramente dialettico, che
includesse già nella sintesi anche il contrario» (8).
E fu proprio Klein che indusse «in maniera decisiva» il giovane Küng a scegliere come argomento di tesi dottorale la teologia barthiana. In un altro suo libro, Küng, nel ringraziare per l’aiuto ricevuto nella stesura del testo, ricorda con gratitudine Coreth, Klein, Kern come suoi «venerabili maestri al Collegio Germanico-Ungarico in Roma», che, insieme ad altri, «mi hanno dato suggerimenti decisivi per la mia teologia in generale e per la comprensione di Hegel in particolare» (9).
E fu proprio Klein che indusse «in maniera decisiva» il giovane Küng a scegliere come argomento di tesi dottorale la teologia barthiana. In un altro suo libro, Küng, nel ringraziare per l’aiuto ricevuto nella stesura del testo, ricorda con gratitudine Coreth, Klein, Kern come suoi «venerabili maestri al Collegio Germanico-Ungarico in Roma», che, insieme ad altri, «mi hanno dato suggerimenti decisivi per la mia teologia in generale e per la comprensione di Hegel in particolare» (9).
Negli anni che vanno dal
1951 in poi Küng si dedica principalmente allo studio della teologia dialettica
di Barth, e sul teologo di Basilea redige nel 1955 la tesi di Licenza sotto la guida
di uno dei suoi professori di dogmatica alla Gregoriana, cioè Maurizio Flick,
che poi sarebbe divenuto famoso per la sua teoria sulla riduzione del dogma del
peccato originale a mero mito delle origini. E a Barth Küng riconosce poi di
essere riconoscente per avergli consentito di comprendere la valenza
propriamente teologica della filosofia di Hegel, cancellando quindi non solo la
distinzione tra teologia cattolica e teologia luterana ma anche tra teologia e
filosofia. Rechtfertigung. Die Lehre Karl Barths und eine katholische
Besinnung è la prima opera di Küng e dimostra la passione con cui il teologo di
Tübingen si dedicò ad assimilare il pensiero barthiano nei sette anni di
permanenza al Collegio Germanico; lo stesso Karl Barth volle poi sottolinearlo
pubblicamente:
«La mia gioia proviene
anzitutto dall’apertura e dalla fermezza con la quale lei, al Collegio
Germanico di Roma [...] quale coraggioso compatriota ha studiato pure i miei
libri ed ha chiarito dialetticamente a se stesso il fenomeno teologico che vi
riscontrava» (10).
Altro autore studiato
con passione era de Lubac, allora al centro di inevitabili polemiche per il suo
libro Surnaturel. Études historiques (Paris 1946) 14 che metteva in
discussione la dottrina tradizionale circa la gratuità dell’ordine soprannaturale.
Tali dispute, insieme a quelle su altri problemi relativi al poligenismo, all’evoluzionismo,
al comunismo, condussero alla decisa presa di posizione di Pio XII con
l’enciclica Humani generis (1950). Lo studioso cattolico Antonio Russo,
dell’Università di Trieste, ammiratore di Henri de Lubac e di conseguenza molto
comprensivo nei riguardi di Küng, dipinge a tinte fosche la situazione
dottrinale, pastorale e disciplinare della Chiesa pre-conciliare, immedesimandosi
nella visione della Chiesa che era tipica dei progressisti, e con loro del
giovane seminarista svizzero Hans Küng:
«In quegli stessi anni,
poi, il clima spirituale dominante a Roma è tutt’altro che aperto alle novità.
Riviste come La Civiltà Cattolica ospitano non di rado articoli come Perenne
vitalità del Papato; Azione pacificatrice del Papato nelle età antiche;
Azione pacificatrice e caritatevole del Papato nell’età contemporanea; Il
Vaticano faro di progresso culturale. Si scomunicano i comunisti e chi
offre loro appoggio; si indicono solenni pellegrinaggi, atti di devozione mariana
e di “entusiasmi addirittura plebiscitari”; si proclama il dogma dell’Assunzione
della Beata Vergine Maria, l’Anno Santo del 1950, l’Anno Mariano del 1954. Il
giovane teologo, comunque, vive continuamente a contatto sia con la “teologia
romana” sia con l’ambiente spirituale e culturale del Germanico, trovandosi a
disagio e in pericolo di far naufragare la sua conversio romana. Tanto
che le sue letture si orientano verso l’approfondimento di posizioni e autori
come Hegel, de Lubac, ma soprattutto di Karl Barth, il cui studio lo plasmerà
in maniera duratura, perché gli aprirà “den
Zugang zur evangelischen Theologie”, spingendolo ad appassionarsi per la
teologia» (11).
Come si vede, l’influsso
ricevuto da Küng nei primi anni della sua formazione è di stampo decisamente luterano,
e luterana è la concezione di Chiesa e di teologia ecclesiale che fin dagli
inizi orienta i suoi studi. Il risultato è un metodo teologico che procede a
partire dalla sostanziale eliminazione
del magistero ecclesiastico (soprattutto quello pontificio) come criterio di
base per l’interpretazione scientifica della fede. Anche la vita concreta della
Chiesa (la liturgia, la pietà popolare) è vista come “da fuori”, come qualcosa
da superare o eliminare del tutto perché appartenente alla “Chiesa del
passato”, che deve lasciare spazio alla “Chiesa del futuro”. Küng avverte un
aspro fastidio verso il culto mariano che la Chiesa professa e pratica, e conseguentemente è portato a
svalutare, non solo della devozione popolare ma anche un solenne pronunciamento
dogmatico come quello del 1954 relativo all’Assunzione in Cielo, in corpo e
anima, della Beata Vergine Maria. Avendo disconosciuto la potestas docendi della Chiesa gerarchica, Küng al posto del Magistero adotta come criterio-guida
per la teologia, ossia per l’interpretazione di quella che Küng chiama sempre «der christlischer
Glaube» (mai « der katholischer
Glaube»), il pensiero del luterano Karl Barth, il quale a sua volta
introduce Küng a una pratica della teologia ispirata esclusivamente alla
dialettica hegeliana.
Le conseguenze teologiche
dell’adozione di una filosofia incompatibile con la fede cristiana (e prima ancora con la retta
ragione naturale)
Occorre rilevare a
questo punto che queste premesse metodologiche fanno sì che il discorso sulla Chiesa svolto da Küng non sia
propriamente teologico: nessuna delle
sue tesi può essere considerata - da un punto di vista rigorosamente
critico-epistemologico - come ipotesi scientificamente ammissibili, come una quaestio teologica disputata, perché il
metodo da lui seguito non è affatto quello proprio della teologia ecclesiale ma
è piuttosto quello di una “filosofia religiosa”, nel senso preciso che io do a
questo termine nel mio trattato su Vera e
falsa teologia (12). e che il
pensiero di Küng sia da considerare mera “filosofia religiosa” dipende non solo
dal fatto che si ispira alla dialettica di Hegel – il quale esplicitamente
riduce la teologia cristiana alla filosofia, e questa a una «Phanomenologie des Geistes» (13) - , ma
anche dal fatto che nemmeno il pensiero di Barth trascende gli angusti limiti
metodologici della “filosofia religiosa”; infatti, come ebbi a ribadire anche
in un dialogo epistemologico con Brunero Gherardini (14), il presupposto
luterano della «sola Scriptura», con l’esclusione
a priori del magistero ecclesiastico
dalla determinazione scientifica dell’oggetto della teologia (che altro non può
essere se non la fede della Chiesa), fa sì che ciò che lo studioso denomina «der christlischer
Glaube» o «das Wort Gottes» resti
indeterminato, o comunque determinato soltanto da scelte soggettive, e quindi
ridotto a dati ricavabili solo dall’incerta fenomenologia della coscienza
individuale o storico-comunitaria, quella che è deputata a interpretare la
Scrittura senza bisogno di un magistero ecclesiastico. Ora, non si può
elaborare una scienza senza la chiara determinazione del suo specifico oggetto, dal quale dipende poi l’adozione del metodo più adeguato a interpretarlo. Una
teologia che non abbia per oggetto la
fede della Chiesa (e non il «sentimento di fede» soggettivo di qualcuno,
all’interno o al di fuori della Chiesa) non può essere considerata “teologia”
nel senso cattolico del termine, ossia come teologia ecclesiale. E, all’interno
di tale teologia, l’ecclesiologia di chi non collega direttamente ed essenzialmente
la fede della Chiesa al magistero della Chiesa si riduce a un ambiguo discorso
religioso che poi finisce per adottare i temi e i modi retorici di una ideologia socio-politica, come è avvenuto con le ultime opere di Hans Küng, come
Projeckt Weltethos, che ben poco si
differenziano, nella sostanza, da analoghe opere di propaganda dell’ideologia
universalistica di ispirazione teosofica o massonica. Infatti, per esplicita
ammissione di Küng, solo a seguito dell’incontro con le opere di Barth:
«wurde mir klar, was Theologie als Wissenschaft sein
kann. Barths kritischkonstruktive Auseinandersetzung mit der gesamten
christlichen Tradition [...] setzte für mich bleibende Masstäbe theologischen
Denkens und Handelns» (15).
Per dirla in
termini ancora più espliciti, e anche più rigorosi dal punto di vista
epistemologico, l’ecclesiologia di Hans Küng non va considerata come “una
teologia con qualche errore”: essa è piuttosto la negazione stessa della
“teologia come scienza” (die Theologie
als Wissenschaft), in quanto il modo di riferirsi alla Chiesa di Cristo –
quel mistero della fede cristiana che la scienza teologica dovrebbe assumere
come proprio oggetto specifico e prendere in esame – mostra chiaramente che
Küng si riferisce ad altro. Quando parla di “ecumenismo”, sembra che si
riferisca semplicemente a qualcosa di
sociologicamente rilevabile (che egli individua nel “minimo comun
denominatore” delle varie “confessioni di fede” elaborate dalle comunità
cristiane); ma questo qualcosa di sociologicamente rilevabile gli serve poi
– proprio come fa Hegel nel disegnare le
sue sintesi storiche della coscienza religiosa – per elaborare il progetto della “religione
universale”, che segnerebbe il superamento della Chiesa cattolica e di tutte le
altre confessioni cristiane, nell’unità dialettica con l’Islam, con il
buddismo, con l’induismo e anche con l’ateismo. Le richieste che oggi Küng avanza per accelerare la
“riforma della Chiesa” (l’annullamento di fatto del magistero ecclesiastico e
soprattutto del primato del Papa, la sinodalità nel governo della Chiesa, abolizione
del celibato ecclesiastico, l’ammissione delle donne al sacerdozio ordinato, il
riconoscimento del matrimonio omosessuale, l’accettazione dell’eutanasia
eccetera) non sono altro che la preparazione di ciò che ineluttabilmente
avverrà domani, quando si realizzerà
pienamente il destino insito nell’essenza stessa della Chiesa come fenomeno (=
manifestazione momentanea) dello Spirito. Nulla di diverso, sia nei termini che
nei concetti, da quello che Hegel diceva nell’opera giovanile Lo spirito del cristianesimo e il suo
destino; ma nulla di simile a quello che è un discorso propriamente
teologico, che inizia con l’accettazione senza riserve della verità rivelata
(il dogma) e continua con l’elaborazione di ipotesi di interpretazione
razionale che hanno come strumento
privilegiato la metafisica. Come giustamente aveva osservato all’inizio del
Novecento Réginald Garrigou-Lagrange, in polemica con i modernisti e con i
teologi cattolici convinti di poter conciliare
il dogma con l’evoluzionismo di Bergson, la verità della fede, contenuta nelle
“formule dogmatiche”, non può essere compresa dai credenti se non sulla base
delle evidenze del “senso comune”, che sono sostanzialmente di natura
metafisica e che a loro volta costituiscono la premessa razionale per l’interpretazione
scientifica del dogma, ossia per la teologia (16). In effetti, senza la
metafisica e senza la logica che ad essa è intrinsecamente collegata, soprattutto
senza il principio di non-contraddizione, il dogma non è più la verità divina
custodita dalla Chiesa ma può e deve essere contraddetto dialetticamente, in
conformità con i mutamenti culturali e sociali (17). Questo è quanto arriva a
sostenere Küng in
die Kirche (1967) e in Unfehlbar?Eine Anfrage (1970):
«Ogni formula di fede, non solo nell’individuo ma anche
nella chiesa intera, resta imperfetta, incompleta, enigmatica [...] questa
frammentarietà non si fonda soltanto sul carattere spesso polemico e angusto
delle formule dottrinali della chiesa, ma sul carattere necessariamente
dialettico di ogni umana affermazione della verità [...]. Ogni proposizione può
essere vera e falsa» (18).
Sicché non sorprende che Papa Paolo VI autorizzasse
la Congregazione per la dottrina della fede a emanare il seguente monitum:
«La Congregazione per
la dottrina della fede adempiendo il proprio compito di promuovere e tutelare
la dottrina della fede e dei costumi in tutta la chiesa ha sottoposto all’esame
le due opere del professore Hans Küng, La
chiesa e Infallibile? Una domanda,
che sono state pubblicate in diverse lingue. Con due diverse lettere, datate
rispettivamente 16 maggio 1971 e 12 luglio 1971, la congregazione notificò
all’autore le difficoltà che trovò nelle sue opinioni e lo pregò che spiegasse
per iscritto come tali opinioni non contraddicano la dottrina cattolica. Con
una lettera del 4 luglio 1973 la congregazione offerse al professore Küng una
ulteriore possibilità di spiegare le proprie idee mediante un colloquio. Con
una sua lettera del 4 settembre 1974 il prof. Küng tralasciò anche questa
possibilità. D’altra parte con le sue risposte non provò che alcune opinioni
circa la chiesa non contraddicano la dottrina cattolica ma continuò a sostenerle
anche dopo la pubblicazione della dichiarazione Mysterium ecclesiae. Perciò affinché non rimangano dubbi circa la
dottrina che la chiesa cattolica professa e perché la fede dei cristiani non
sia in alcun modo offuscata, questa sacra congregazione, richiamando la
dottrina del magistero esposta nella dichiarazione Mysterium ecclesiae dichiara: Nelle opere sopradette del prof. Hans
Küng sono contenute alcune opinioni che, in diverso grado, si oppongono alla
dottrina della chiesa cattolica che deve essere professata da tutti i fedeli.
Notiamo soltanto le seguenti di maggior rilievo prescindendo ora da un giudizio
circa alcune altre che il prof Küng difende. L’opinione che pone almeno in
dubbio lo stesso dogma di fede della infallibilità della chiesa e lo riduce ad
una certa fondamentale indefettibilità della chiesa nella verità, con la
possibilità di errare nelle sentenze che il magistero della chiesa in modo
definitivo insegna di credere, contraddice la dottrina definita dal concilio
vaticano I e confermata dal concilio vaticano II. Un altro errore che
pregiudica gravemente la dottrina del prof. Küng riguarda la sua opinione sul
magistero della chiesa. In realtà egli non si attiene al genuino concetto del
magistero autentico secondo il quale i vescovi sono nella chiesa “dottori
autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo e che predicano al popolo
loro affidato la fede da credere e da applicare nella vita pratica”; infatti
“l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa
è affidato al solo magistero vivo della chiesa”. Anche l’opinione già insinuata
dal prof. Küng nel libro La chiesa e
secondo la quale l’eucarestia, almeno in casi di necessità, può essere
consacrata validamente da battezzati privi dell’ordine sacerdotale, non può
accordarsi con la dottrina dei concili Lateranense IV e Vaticano II» (19).
Nel 1979 a Hans Küng venne revocata la missio canonica relativa l'insegnamento della teologia cattolica.
NOTE
(1) Cfr Hans Küng, Menschwerdung Gottes. Eine Einfürung in
Hegels theologisches Denken als Prolegomena zu einer künftigen Christologie, Verlag
Herder, Freiburg – Basel – Wien 1970, p. 643: «Nella teologia cattolica più
recente è stato Karl Rahner ad aprire nuovi orizzonti […]. Lo spirito insigne
che aleggia sullo sfondo di questo approfondimento […] altri non è se non
Hegel, anche se non mancano nemmeno influssi heideggeriani. I suoi sporadici
tentativi di distanziarsi da Hegel in argomenti secondari non fanno che
confermare questo fatto» (traduzione mia).
(2)
Vedi
Antonio Livi, in La Nuova Bussola
Quotidiana, 10 ottobre 2014.
(3)
Vedi
Antonio Livi, in La Nuova Bussola
Quotidiana, 10 febbraio 2012.
(4) Cfr Hans Küng, Erkämpfte
Freiheit. Erinnerungen, München 2002; Idem, Umstrittene Wahrheit. Erinnerungen, München 2007.
(5)
Cfr Hans Küng, La giustificazione,
trad. it. di T. Federici, Editrice Queriniana, Brescia 1969, p. 21.
(6) Hans Küng. Weg und Werk, a cura di H. Häring und K. J.
Kuschel, Piper Verlag, München 1978, p. 123.
(7) Cfr Hans Küng, intervista ad A. W.
Scheiwiller, “Unbequeme Eidgenossen:
Hans Küng der kirchentreue Reformator”, in Woche, 14
giugno 1972, p. 23.
(8)
Hans Küng. Weg
und Werk, cit., p. 128.
(9)
Hans
Küng, Incarnazione di Dio in Hegel.
Prolegomeni per una futura cristologia, trad. it., Queriniana, Brescia
1970, p. 10.
(10) Karl Barth, Geleitbrief,
in Hans Küng, Rechtfertigung.
Die Lehre Karl Barths und eine katholische Besinnung, Johannes Verlag,
Einsiedeln 1957 cit.; trad. it: Lettera all’autore, in Hans Küng, La
giustificazione, cit., p. 8.
(11) Antonio
Russo, «Hans Kung e la teologia come scienza», in Studium, 106 (2010), pp.185-206, qui p. 188.
(12) Cfr
Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come
distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia
religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.
(13) Vedi
Antonio Livi, Vera e falsa teologia,
cit., pp. 141-148.
(14) Cfr Antonio Livi, Qualche chiarimento, in dialogo con estimatori e critici, in Verità della teologia. Discussioni di logica aletica a partire da
“Vera e falsa teologia”, di Antonio
Livi, a cura di Marco Bracchi e di Giovanni Covino, Casa Editrice Leonardo da
Vinci, Roma 2014, pp. 167-185.
(15) Hans
Küng. Weg und Werk, cit., p. 137.
(16) Cfr Réginald Garrigou-Lagrange, Le Sens commun, la philosophie de l’être et
les formules dogmatiques, Beauchesne, Parigi 1912; trad. it.: Il senso commune, la filosofia dell’essere e
le formule dogmatiche, a cura di Antonio Livi e di Mario Padovano, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma
2013.
(17) Vedi in proposito
Antonio Livi, Razionalità della fede
nella Rivelazione. Un’analisi filosofica alla luce della logica aletica, Casa
Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2005.
(18) Hans Küng, Die
Kirche, Herder, Freiburg im Breisgau 1967, p. 397.
(19) Congregazione per la dottrina della fede, Monitum, 15 febbraio 1975.
BIBLIOGRAFIA
Louis
Bouyer, «Ecumenismo senza scavalcamenti», in Studi cattolici, 13 (1969),
pp. 30-35.
Pier
Carlo Landucci, «Ecco Hans Küng», in Studi cattolici, 22 (1979),
pp. 549-54.
Luigi Iammarrone, Hans Küng eretico. Eresie cristologiche
nell’opera “Christ sein”, Edizioni Civiltà, Brescia 1977.
Luigi Iammarrone, Teologia e cristologia. “Dio esiste”, di
Hans Küng, Edizioni Quadrivium Genova 1982.
Antonio
Livi, «Dogma e Magistero dopo il “caso Küng”», in Studi
cattolici, 24 (1980), pp. 171-177.
Antonio
Livi, Vera e falsa teologia. Come
distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia
religiosa”, seconda edizione aumentata, Casa Editrice Leonardo da Vinci,
Roma 2012, pp. 241-246.
Emanuele
Samek Lodovici, «Il dogma infallibile di Han Küng», in Studi
cattolici, 16 (1971), pp. 171-177.
Emanuele
Samek Lodovici, «La via a Hegel di Hans Küng», in Studi
cattolici, 16 (1971), pp. 243-251.