Testimonianze storiche ed
archeologiche
Un elemento mobile
Nel Vaticanus Reginensis 316, noto anche
come Sacramentario Gelasiano, databile al 750 circa, nelle pagine che
descrivono il rito del Venerdì Santo, si legge: “hora nona procedunt omnes ad ecclesiam; et ponitur crux super altare”;
non è chiaro se sia un resto di riti gerosolimitani o il ritorno della croce,
celata durante la quaresima, ma è certo che la croce è messa sull’altare subito
dopo l’ingresso; dopo alcune orazioni “ ingrediuntur
diaconi in sacrario. Procedunt cum corpore et sanguinis Domini quod ante die
remansit, et ponunt super altare. Et venit sacerdos ante altare adorans crucem
Domini et osculans”[47].
L’identificazione tra altare e Calvario è palese anche nei suoi aspetti di
mistica e didattica eucaristica, non senza analogie col sermone di S. Agostino:
“accostatevi a prendere da questo altare con timore e tremore; sappiate
riconoscere nel pane ciò che pendette dalla croce e nel calice ciò che sgorgò
dal costato”[48].
Il testo del Sacramentario parla inoltre chiaramente di croce sull’altare prima
del dispiegamento delle tovaglie per accogliere le specie eucaristiche; la croce doveva essere
sull’altare, ma in posizione distaccata dalla mensa, per non intralciare la
disposizione delle sacre specie.
In
Occidente fonti più tarde attestano che la croce veniva portata sull’altare
solo nel momento della celebrazione eucaristica; Innocenzo III riferisce nel De Sacro Altaris Mysterio: “inter duo candelabra in altari crux
collocatur media”[49];
nell’Ordo Bernhardi si specifica che
durante il canto della Messa “crux a
mansionariis super altare maius ponitur” [50].
Abbiamo inoltre l’attestazione che in alcune diocesi di Francia fino al secolo
XVI vigeva la norma che fosse il celebrante a portare la croce sull’altare[51].
Il grande numero di croci astili realizzate nel Medioevo in modo da poter
essere staccate dall’asta e che presentano la possibilità di essere infisse su
un piedistallo trova forse una ragione anche in questa logica[52];
in proposito il Cӕremonialis Episcoporum
fa fede di un utilizzo che prevede una croce mobile, indipendente dall’elemento
che la sorregge, allorquando per l’adorazione del Venerdì Santo parla di
“staccare la croce dal piedistallo”[53].
La prova di questi usi giustificherebbe il
perché di tante rappresentazioni dell’altare senza croce anche nell’inoltrato
XV secolo, quando ormai la croce sull’altare durante la Messa è attestata
ovunque; è probabile che in alcuni luoghi essa venisse portata all’altare solo
in alcuni momenti, giacchè il vero e proprio sacrificio non si compie durante
l’arco di tutta la celebrazione, ma solo a momento della consacrazione, né
possiamo escludere che in alcune zone per uso antico, o per abuso recente, essa
fosse assente o collocata altrove. L’esigenza di rendere visibile la croce
durante la “crocifissione incruenta” rappresentata dalla Messa è anche da
mettere in connessione coi limiti dell’umana comprensione, per la quale non vi
è l’evidenza sensibile del mistero celebrato. Già S. Ambrogio diceva “etsi nunc Christus non videtur offerre,
tamen ipse offertur in terris quando corpus Christi offertur”[54];
la rappresentazione visibile diviene quindi anche una naturale esigenza.
Prove di una croce sull’altare in
ambito orientale nel V-VI secolo
Un
collegamento s’impone con la raffigurazione, sulla pisside del Cleveland Museum
of Art, di una mensa d’altare tripode sotto un ciborio, sulla quale si trovano
una croce e un libro chiuso[55];
nonostante le difficoltà sulla datazione, che si aggira intorno al secolo V-VI,
abbiamo la prova di una croce in posizione centrale rispetto alla mensa, in
evidente funzione rituale. Essa si trova inoltre al centro della curva di un
altare tripode a sigma, nella posizione opposta al celebrante, che era sempre
sul lato retto; non è escluso che la croce avesse un piedistallo proprio ed
indipendente dalla mensa; sul ritrovamento della pisside sussistono alcuni
dubbi per la sua provenienza da collezione, ma l’ipotesi concordemente avanzata
è l’ambito siro-palestinese.
La pisside del "Cleveland Museum of art" (V-VI sec.); sulla sinistra l'altare tripode con croce |
Interrogativi
solleva anche la raffigurazione di un sarcofago restituito dalla necropoli di
Takadyn, in Asia Minore, che sembra riprodurre un altare sormontato da una
croce, sotto un baldacchino ad arco; si nota che la croce rappresentata è
dotata di un piedistallo, il che indurrebbe a pensare ad un elemento mobile[56].
La datazione della necropoli e del sarcofago è piuttosto incerta, potrebbe
collocarsi nei secoli V, VI.
Di
particolare rilievo è la notizia che, nel secolo VI, nelle chiese nestoriane di
Mesopotamia, fosse corrente e prescritta la presenza della croce su una mensola
soprastante l’altare addossato al muro, il cosiddetto “Katastroma”[57].
Ad esso era rivolto il sacerdote durante la consacrazione. Siamo in presenza di
alcuni dati che testimoniano di usi comuni o similari nell’Oriente cristiano
antico per un epoca che non oltrepassa il secolo V-VI.
Conclusioni
“Legimus in Veteri testamento quod semper
Dominus Moysi et Aron ad ostium tabernacoli sit locutus” scrive Girolamo[58].
Per rivolgersi a Dio e riceverne benedizioni è naturale che ci si indirizzi verso
di Lui o verso ciò che indica la Sua presenza e il Suo legame con gli uomini.
Nel vecchio rituale del tempio di Gerusalemme il sacrificio e la preghiera
erano rivolti verso l’Arca dell’Alleanza e, dopo che l’arca fu depredata, verso
la pietra che la sosteneva, la cosiddetta sethiya.
Nelle sinagoghe, dove non era possibile sacrificare, si andava per pregare e ci
si rivolgeva verso Gerusalemme[59],
nella cui direzione era una nicchia contenente i libri sacri, così come l’Arca
aveva contenuto le tavole della legge (i ritrovamenti archeologici della
sinagoga di Doura Europos hanno reso un esempio di tale nicchia ricavata nel
muro con precisa orientazione).
Il sacerdote è mediatore e, nel suo
ruolo d’intercessore, non può che rivolgersi a Dio o a ciò che lo figura. Come
l’Arca nell’Antico Testamento così la Croce è il simbolo della Nuova Alleanza
suggellata da Cristo, del nuovo legame tra Dio e gli uomini. Il mosaico di S.
Pudenziana a Roma, dal carattere più liturgico che decorativo, sembra
testimoniare particolarmente di questa idea della Croce come ponte fra il
divino e l’umano, come unico mezzo per il raggiungimento della Gerusalemme
celeste verso cui indirizzarsi[60].
La Croce è il fulcro verso il quale lo sguardo di celebrante e fedeli si
“orienta”. Secondo la tesi di Stefan Heid la croce e l’abside assumono in
questo caso la funzione di “Oriente ideale” verso cui rivolgere la preghiera,
specie negli edifici in cui manca un orientamento “fisico” verso il sorgere del
sole, come a Roma[61].
E’ anche ipotizzabile che in antico la croce non obbligasse sempre e comunque
ad un rivolgimento diretto verso di essa, ma che essa fosse presente, in
posizioni diverse, ma sempre centrali, come segno visibile del rinnovarsi del
sacrificio di Cristo sugli altari: un monito per celebrante e fedeli. Per visibilia ad invisibilia. In un
contesto eucaristico ove altro è quel che si vede, altro è quel che è,
l’immagine del mistero che si realizza ha la sua più che ragionevole
collocazione.
E’ comunque un dato di fatto che il
rivolgimento verso la croce prevale nella liturgia romana fino a diventare
generale almeno a partire dal Basso Medioevo. Non si può forse affermare con
certezza la diffusione universale di questa pratica in epoca tardo antica e non
è certo che fin dai primi secoli ovunque si sia pregato “versus crucem”. In ambito romano e ravennate tuttavia è probabile
che già nel corso del V-VI secolo, nello spazio presbiterale, la croce potesse
essere sospesa ad una certa altezza nella navata o nel presbiterio, oppure che
fosse collocata in prossimità dell’altare, forse su un piedistallo indipendente
dalla mensa[62],
oppure, come accennato sopra, che fosse rappresentata nell’abside. Analoghe
appaiono le datazioni per l’ambito orientale.
E’ forse possibile che per il rito
romano la generalizzazione uniforme degli usi non si sia avuta prima del XII
secolo, ma la celebrazione verso la croce o la centrale presenza di essa in
ambito liturgico sono difficili da negare già per il secolo V e le testimonianze
archeologiche e documentali sembrano andare in tal senso.
Don
Stefano Carusi
[47] A. Chavasse, Le cycle liturgique romain annuel selon le
sacramentare du “Vaticanus reginensis 316”
in Textes liturgiques de l’Eglise
de Rome, Paris 1997, p. 98-103 ; Id., La liturgie de la Ville de Rome du Vᵉ au VIIᵉ siècle, Roma 1993 (Studia Anselmiana 112 - Analecta liturgica 18), p. 191, l’autore
rimanda questa pratica liturgica del Venerdì Santo alla liturgia titolare.
[48] Aug., serm.
CCXXVIII B (PL 46, 827-828). Miscellanea Agostiniana, vol. I, Sancti Augustini sermones post Maurinos
reperti, ed. G. Morin O.S.B., Romae, Typis polyglottis Vaticanis, 1930, pp.
18-20.
[49] Innoc. III, De Sacro Alt. Myst., II, c. 21 (PL 217,
811). Il sacrosanto mistero dell’altare
(De sacro altaris mysterio), a cura di Stanislao Fioramonti, Città del Vaticano 2002 (Monumenta Studia
Instrumenta Liturgica 15).
[50] Ludwig Fischer (ed.), Bernhardi
cardinalis et Lateranensis ecclesiae prioris Ordo Officiorum Ecclesiae
Lateranensis, München u. Freising 1916, p. 98; M. Righetti, Manuale,
p. 536 ss.
[51] Ibidem.
[52] Già l’Ordo Romanus I,
125-126 (Andrieu), parla di “cruces portantes”, sebbene la loro
funzione non sia stata del tutto chiarita.
[53] Cӕremonialis Episcoporum, l. II, cap. XXV,
23 (ed. 1752).
[54] Ambr., Explan. psalm. XII, XXXVIII, 25, 3 (ed.
Petschenig, CSEL 64/6).
[55] Archer St. Clair,
The Visit to the Tomb:Narrative and
liturgy Three Early Christian Pyxides, in Gesta, t. 18 (1979) p. 131 ss., fig. 9.
[56] Pasquale Testini,
Archeologia Cristiana, Bari 1980, p.
305.
[57] Si tratta delle omelie dello Pseudo-Narsai, cfr. Richard
Hugh Connolly, The liturgical homilies of Narsai,
Cambridge 1909, Cfr. Sebastian P. Brock,
Diachronic aspects of syriac word
formation : an aid for dating anonymous texts, in V Symposium Syriacum (Katholieke
Universiteit, Leuven, 29-31 août 1988), Roma 1990, pp. 321-330, (OCA 236);
Louise Abramowski, Die liturgische Homilie des Ps. Narses mit
dem Meßbekenntnis und einem Theodor-Zitat, in Bulletin of the John Rylands University Library of Manchester 78
(1996), p. 87-100.
[58] Hier., epist. XVIII A (ad Damasum), 8, 1 (CSEL 54/1).
[59] Louis Bouyer, Architettura e liturgia, Magnano 1994, pp. 16 e ss.
[60] S. Heid, Kreuz, Jerusalem, Kosmos, Munster 2001, pp. 169 e ss.
[61] S. Heid, Gebetshaltung und Ostung in frühchristlicher Zeit. in Rivista di Archeologia Cristiana 82 (2006).
[62] Quest’ultima soluzione risolverebbe, nel caso di Roma, il famoso nodo di una croce sull’altare prima dell’attestato dispiegamento delle tovaglie da parte dei diaconi.
[59] Louis Bouyer, Architettura e liturgia, Magnano 1994, pp. 16 e ss.
[60] S. Heid, Kreuz, Jerusalem, Kosmos, Munster 2001, pp. 169 e ss.
[61] S. Heid, Gebetshaltung und Ostung in frühchristlicher Zeit. in Rivista di Archeologia Cristiana 82 (2006).
[62] Quest’ultima soluzione risolverebbe, nel caso di Roma, il famoso nodo di una croce sull’altare prima dell’attestato dispiegamento delle tovaglie da parte dei diaconi.