9 settembre 2009

Le discussioni fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X: un punto di vista teologico


Ci si potrebbe interrogare sulla reale efficacia della "disputa teologica" e sui limiti effettivi del dibattito intorno al Concilio Vaticano II, che sembra comportare ancora oggi un certo numero di tabù insormontabili. Tuttavia non si può negare che la personalità di un Papa "universitario" abbia impegnato la discussione teologica in una prospettiva di ricerca della Verità che si sta rivelando molto meno schiava dei pregiudizi rispetto a qualche anno fa. Allo stesso tempo si deve rilevare, con un certo disappunto, che un certo pessimismo cronico di alcune frange del mondo tradizionale sembra voler chiudere gli occhi davanti all'apertura intellettuale che si annuncia all'orizzonte. L'Abbé Barthe, già noto ai nostri lettori per il suo intervento sul magistero ordinario infallibile, dipinge in questa sede il quadro di una tale apertura tra i teologi designati dalla Sede Apostolica, che lascia intravedere delle reali prospettive di approfondimento riguardo le questioni più dibattute. In particolare mette in evidenza la disponibilità della Santa Sede ad ascoltare le obiezioni relative a certi passaggi del Vaticano II, qualunque sia l'origine di esse, vengano dai teologi della scuola romana o persino dalla Fraternità San Pio X. La ricerca della verità non si impone dei limiti "a priori". Nell'insieme il quadro che si delinea con questa nuova apertura è quello di un clima di ricerca incoraggiante, che sembra aver abbandonato lo sterile spirito della dialettica hegeliana, che finisce per lasciare a ciascuno la "propria" verità, per abbordare la discussione nello spirito di un'autentica "disputatio theologica" la quale deve condurre ad un'unica verità che le due parti devono abbracciare: lo scopo è di giungere, nei limiti del possibile, ad una reale soluzione dei problemi, senza velleitarismi. La Verità non appartiene agli uni o agli altri, la Verità deve essere di tutti ed è per tutti. La prospettiva descritta dall'Abbé Barthe si rivela di particolare interesse, specie nella misura in cui essa traccia i reali contorni del dibattito e mette in evidenza quello che oggi è probabilmente l'unico modo di affrontarlo.




Le discussioni fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X:
il Concilio visto alla luce dell'interpretazione
di Mons. Gherardini?


de l'Abbè Claude Barthe

Il punto di partenza di questo mio articolo - le cui riflessioni impegnano solo il sottoscritto - è la mia lettura nell’ultimo numero di «La Nef » (settembre 2009, p. 21), di un’intervista di Padre Manelli, Superiore dei Francescani dell’Immacolata, con Christophe Geoffroy e Jacques de Guillebon. Padre Manelli dichiara: “Egli (il Papa) cerca di evitare rotture, specialmente nella ricezione del Concilio Vaticano II – è la famosa “ermeneutica della riforma nella continuità”. Possono tuttavia esserci nel Concilio delle discontinuità su punti precisi, la cosa non avrebbe nulla di scandaloso, poiché quest’ultimo ha voluto essere “pastorale”, possono esservi degli “errori” che il Papa può correggere, come Mons. Gherardini ha dimostrato in uno studio che noi abbiamo pubblicato e che sarà presto tradotto in francese”.
Simili dichiarazioni, nuove non già per il loro tenore, quanto per la convinzione con la quale sono ormai formulate, sono in effetti come cristallizzate dalla “linea ermeneutica” che rappresenta Mons. Brunero Gherardini[1], al quale “Disputationes Theologicae” a dato largo eco[2].
Essa rimette in auge, rinnovandola considerevolmente, quella della minoranza conciliare – minoranza di cui non si può dimenticare l’importante ruolo nell’elaborazione del testo di "transizione" o, detto in maniera più polemica, di "ambiguità" - e cioé in breve: un certo numero di passaggi del Vaticano II è suscettibile, non soltanto di precisazioni, ma anche eventualmente di future correzioni.
In maniera diversa, Mons. Nicola Bux, voce molto ascoltata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, dichiarava all’agenzia “Fides” il 29 gennaio 2009 : « E' stato constatato che non vi sono differenze dottrinali sostanziali, e che il Concilio Vaticano II, i cui decreti furono firmati da Mons. Lefebvre, non poteva essere separato dalla Tradizione della Chiesa nella sua interezza. In uno spirito di comprensione, bisogna in seguito tollerare e correggere gli errori marginali. Le divergenze passate o più recenti, grazie all’azione dello Spirito Santo saranno risanate grazie alla purificazione dei cuori, alla capacità di perdono, e alla volontà di riuscire a superarle definitivamente ».
In questo contesto di libertà teologica e di effervescenza di sane “disputationes” alle quali questo sito vuol partecipare, le conversazioni dottrinali che verranno, implicitamente evocate da Mons. Nicola Bux, e che presto si apriranno tra i teologi che rappresentano la Congregazione della dottrina della fede e i teologi che rappresentano la Fraternità San Pio X, dovranno logicamente far progredire le cose. E’ in definitiva ciò che si può pensare, tenuto conto della qualità dei tre teologi, tutti e tre consultori alla Congregazione della Dottrina delle Fede, che dovrebbero partecipare alle discussioni per delegazione della Santa Sede (nella misura in cui le informazioni concernenti le nomine siano esatte e fermo restando che l’ “equipe” costituita possa essere modificata, ridotta o aumentata), sotto lo sguardo di Mons. Guido Pozzo, nuovo segretario della Commisione Ecclesia Dei.



Qual è il grado d’autorità di quei passaggi che presentano difficoltà nel Vaticano II?


Mons. Pozzo, che ha insegnato in maniera estremamente classica all’Università del Laterano, e che in “Le Figaro” dell’8 luglio diceva: “Il punto debole della Chiesa è la sua identità cattolica, spesso poco chiara”, e aggiungeva: “non è rinunciando alla propria identità che la Chiesa si metterà nelle migliori condizioni per dialogare con il mondo, è esattemente il contrario”, per poi concludere : “noi abbiamo bisogno di uscire da questa illusione ottimista, quasi irenica, che ha caratterizzato il post-concilio". Egli è tra l’altro uno specialista di quelle che vengono chiamate “note teologiche” (il valore normativo che si può attribuire ai testi dottrinali), in maniera tale che le discussioni non potranno evitare di occuparsi del « valore normativo » delle asserzioni discusse, del loro valore in relazione al contesto, dell’eventuale assenza dell’obbligo di fede che esse comportano[3].

Il Padre Charles Morerod, nuovo Segretario della Commissione teologica internazionale, che dovrebbe partecipare a queste discussioni, è un domenicano svizzero che ha fatto la propria tesi su Lutero e il Gaetano. E’ decano della facoltà di filosofia dell’Università San Tommaso d’Aquino, l’Angelico, redattore dell’edizione francese della rivista “Nova et Vetera”. Su richiesta della Congregazione della Dottrina della Fede, ha lavorato molto sulla questione dell’anglicanesimo. E’ vicino al Cardinal Cottier, gioisce della totale fiducia del Segretario di Stato, già Segretario del Sant’Uffizio e del Papa stesso. Nella sua importante bibliografia, si può citare: Tradition et unité des chrétiens. Le dogme comme condition de possibilité de l’œcuménisme[4] ; Œcuménisme et philosophie. Questions philosophiques pour renouveler le dialogue[5].



E’ ormai notorio che il Padre Morerod abbia partecipato coi membri della Fraternità San Pio X a delle conversazioni dottrinali che si potrebbero definire “preliminari”. In una riunione pubblica tenutasi nell’ambito del Grec (Gruppo d’incontro tra cattolici), nei locali prossimi a Saint-Philippe-du-Roule, a Parigi il 26 febbraio 2008, nel quale dibatteva con il Padre Grégoire Célier, della Fraternità San Pio X, sul tema: « Rivedere e/o interpretare certi passaggi del Vaticano II », i due relatori erano arrivati ad un’interessante convergenza. Padre Morerod spiegava che gli sembrava: 1) che la possibilità di una ricezione del Vaticano II, « che si fondasse solidamente sullo stato del magistero anteriore », potrebbe perfettamente avere il suo posto nella Chiesa, avendo come condizione, a suo parere, che questa interpretazione non sia un rigetto del Vaticano II; 2) che poteva essere ammessa la non-confessione di certi punti del Vaticano II, con “una certa esigenza di rispetto” dell’insegnamento “ufficiale” del Vaticano II.



Alcune precisazioni interpretative dal sapore d’ “incompiuto”


Il Padre Karl Josef Becker, gesuita che dovrebbe anche lui partecipare a queste discussioni nel 1928, teologo molto amato da Benedetto XVI, è stato professore esterno alla facoltà di teologia dell’Università gregoriana (ha in particolare insegnato la teologia sacramentaria e scritto sulla giustificazione e l’eclesiologia). Ha pubblicato un articolo comparso ne «L’Osservatore Romano» del 5 dicembre 2006 [6], nel quale tutti hanno visto un’applicazione del discorso del Papa del dicembre 2005 e che menzionerò più avanti. Egli difendeva la tesi che il “subsistit in” di Lumen Gentium 8 (la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica) non vuol dire altro che il tradizionale: est (la Chiesa di Cristo è puramente e semplicemente la Chiesa Cattolica). E addirittura, secondo la rilettura molto volontarista del padre Becker, il “subsistit in” sarebbe destinato a rinforzare l’est, da cui ne risulterebbe, secondo la sua valutazione, e prendendo di mira la parte dell’ecumenismo conciliare che è più difficile da mettere in accordo con la dottrina tradizionale, che l’ecclesialità parziale delle chiese separate non è sostenibile [7].

Fernando Ocáriz, il terzo teologo che dovrebbe ugualmente far parte dell’equipe di Pozzo per partecipare ai dibattiti teologici, è nato nel 1944, vicario generale dell’Opus Dei, ha insegnato alla Pontificia Università della Santa Croce, è l’autore di numerosissime pubblicazioni.



La sua designazione è da attribuire certamente al suo interesse per la questione dell’interpretazione omogenea della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae, a proposito del punto più sensibile –l’apparente sostituzione della teologia della tolleranza con quella della libertà in materia di "diritto pubblico della Chiesa[8]" – sul quale ha lui stesso scritto[9]. Si può tra l’altro senza grandi rischi affermare che egli è per la formula che si può definire “di transizione” sulla libertà religiosa nel Catechismo della Chiesa Cattolica[10].
Quanto al Padre Charles Morerod, approfittando della parte importante che ha assunto nei lavori dell’Anglican-Roman Catholic International Commission (ARCIC), ha dimostrato nel suo Œcuménisme et philosophie. Questions philosophiques pour renouveler le dialogue[11], che un dialogo ecumenico serio avrebbe dovuto essere integrato da chiarimenti sui presupposti filosofici delle posizioni teologiche dei cristiani separati, presupposti che possono largamente spiegare la loro incomprensione dei dogmi della Chiesa.
Ma è soprattutto il suo Tradition et unité des chrétiens. Le dogme comme condition de possibilité de l’œcuménisme
[12], che merita una particolare attenzione per l’argomento che ci interessa. Quest’opera rappresenta uno sforzo considerevole d’interpretazione tradizionale dell’ecumenismo portata a un grado elevatissimo d’acume e di agilità, perché non mira nientemeno che a dimostrare come il dogma cattolico in generale e quello dell’infallibilità pontificia in particolare sono….i motori più efficaci dell’ecumenismo. Dimostrazione paradossale (paradossale nella misura in cui si sostiene comunemente, per gioirne o per lamentarsene, che l’ecumenismo cerca d’attenuare i lati spigolosi del dogma cattolico).
Ora il paradosso si raddoppia quando la pia interpretatio del saggio domenicano fa una lettura tomista di un punto di vista spesso criticato nel testo conciliare, la « gerarchia delle verità ».
Secondo lui, se si accorda ai separati che, dalle due parti, c’è stata cattiva comprensione delle posizioni rispettive, bisognerà pronunciare alla fine una formula obbligatoria per tutti - altrimenti detto, un dogma - che manifesti che ormai ci si capisce perfettamente e che ci si accorda univocamente nell’esprimere la fede degli Apostoli.
Riguardo il decreto conciliare sull’ecumenismo al n. 11 § 3
[13], ricorda che la Tradizione cattolica, specie ricorrendo a San Tommaso, ha sempre affermato che il rifiuto di credere in un qualsivoglia articolo di fede porta a rifiutare l’autorità di Dio da cui dipende la fede, e annichila di fatto il motivo di credere e quindi polverizza la fede.
Tuttavia, come espone anche San Tommaso, l’insieme delle verità da credere si organizza secondo un certo ordine, che non sopprime in nessun modo l’importanza di ogni articolo. Il Padre Morerod spiega, che così intesa, la “gerarchia di verità” non è in fondo niente altro che un metodo di catechesi elementare per spiegare, per esempio, la Maternità divina a partire dall’Incarnazione, un modo pedagogico di portare alla fede cattolica coloro che se ne sono allontanati.


Un nuovo contesto teologico e le sue virtualità

Le dimostrazioni in forma di precisazioni dei Padri Becker, Ocáriz, Morerod e molti altri ancora sono molto seducenti. L’inconveniente è che esse sono rese necessarie perché i testi in questione (riguardo ciò che ho evocato: il n.8 di Lumen Gentium, il n. 2 di Dignitatis humanae e il n.11 di Unitatis Redintegratio, ma esistono altri luoghi di difficoltà
[14]) non contengono le precisazioni che avrebbero evitato tutte le interpretazioni devianti[15].
Non è forse, più in generale, la grande difficoltà che solleva tale o tal’altra asserzione del Vaticano II, e nello specifico quella di aver avuto ciò che potremmo qualificare come un «velare nuovamente» (ndt “réenveloppement du dogme” nell’originale), facendo allusione alla teoria dello “svelamento” (ndt “désenveloppement” nell’originale), che rappresenta, secondo il Card. Journet, la funzione dogmatica (ndt si fa notare che l’espressione désenveloppement\svelamento, in francese è prossima per il suono, ma distante per significato da quella di développent\sviluppo del dogma, tanto evocata dall’evoluzionismo modernista, ed è quindi carica di significato).


Ma prima di tutto bisogna far notare, che il fenomeno innescato dal discorso indirizzato il 22 dicembre 2005 da un Papa teologo, Benedetto XVI, alla Curia romana, sulla buona interpretazione del Vaticano II, si situa in una fase storica del « ritorno al dogma » particolarmente interessante. Si potrebbe del resto difendere che l’esercizio del suo incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, specialmente dal 1985 (con la pubblicazione di Inchiesta sulla Fede) fino al 2005, ha costituito una specie di pre-pontificato di reinterpretazione e d’inquadramento dei punti sensibili del Vaticano II.
Al limite, ciò che si dice e scrive oggi liberamente un pò dappertutto era perfettamente conosciuto: cioè a dire che l’autorità dei passaggi del Vaticano II che sono apparsi o paiono, prout sonant, non accordarsi con le asserzioni dogmatiche anteriori, non avevano niente di dogmatico. Allo stesso modo si potrebbe dire che le reinterpretazioni in forma di precisazioni ortodosse di quei passaggi, le quali oggi si moltiplicano da parte di penne autorizzate a parlare, sono sempre esistite. Ma è permesso far notare che queste due vie coniugate, le quali prendono oggi un carattere quasi ufficiale, restano in una certa misura insoddisfacenti: la prima via (la non infallibilità dei punti contestati) perchè essa è puramente negativa e non regola il fondo del dibattito; la seconda (la reinterpretazione tomista di questi punti) perché appare relativamente artificiale o perché essa è in ogni caso e con tutta evidenza a posteriori.
Ma tuttavia come nella via spirituale l’accesso alle vie della mistica non può fare economia delle purificazioni ascetiche, tutta l’attuale effervescenza scatenata o attivata dal discorso teologico liberatore del 2005, ha un valore preparatorio sul lungo termine – e senza dubbio sul lunghissimo termine – indispensabile. Mi sarà concesso di dire che la presente situazione magisteriale presenta (parlo sempre in questo caso, unicamente, dei punti sensibili del Vaticano II, e in nessuna maniera dei progressi indiscutibili di questo Concilio, come il decreto Ad gentes, e, a mio avviso la costituzione Dei Verbum) è abbastanza inedito nella storia dei dogmi . Non si tratta , come classicamente, di eresie esterne e di condanne interne, ma di flussi dottrinali interni e del rigetto (fino all’ora presente) all’esterno della loro contestazione. Si è in presenza di una crisi che assomiglia se si vuole ad una crisi – molto tardiva, è vero – d’adolescenza, nella quale il meglio e il peggio si mescolano per accedere alla maturità.
Il peggio sarebbe di restare in mezzo guado - per esempio: Unitatis redintegratio non assegna una finalità chiaramente precisata in termini dogmatici all’ecumenismo. Il meglio è nella materia nuova che è emersa – parlo sempre a titolo personale - e che fa si che, non dispiaccia a coloro che vorrebbero ritornare allo “status quo ante”, è impossibile pretendere per esempio di cancellare l’ecumenismo dall’insegnamento della Chiesa. Più esattamente, bisognerà, dopo un lavoro teologico che non si è mai interrotto da quarant’anni, ma al quale un Papa teologo permette uno sviluppo libero e insperato, fare dell’ecumenismo un insegnamento della Chiesa in quanto tale. Le difficoltà di questi testi che chiamo “d’adolescenza” (poiché mi è stato ovunque rimproverato l’appellativo di “magistero incompiuto”) possono essere allora capiti come degli interrogativi.
Mi spiego approfondendo questo esempio dell’ecumenismo. Leggendo il n. 3 di Unitatis Redintegratio, si può capire questo testo come il riconoscimento tradizionale dell’esistenza di elementi della Chiesa cattolica, come il Battesimo, la Sacra Scrittura, a volte l’Ordine, in seno alle comunità separate: "Tra gli elementi o i beni nell’insieme dei quali la Chiesa si edifica ed è vivificata, alcuni e anche molti, e di grande valore, possono esistere al di fuori dei limiti della Chiesa Cattolica". Ma Unitatis Redintegratio aggiunge, ciò che apporta una difficoltà considerevole, una certa legittimazione delle comunità separate in quanto tali: «Di conseguenza , queste Chiese e comunità separate , sebbene noi crediamo che soffrano di deficienze, non sono affatto sprovviste di significato e di valore nel mistero della salvezza. Lo spirito di Cristo, in effetti, non rifiuta di servirsi di esse, la forza dei quali deriva dalla pienezza di grazia e di verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica”. I termini del testo sembrano dire dunque che in quanto separate queste Chiese sarebbero delle “continuazioni” (ndt “relais” nell’originale) della Chiesa Cattolica. La qual cosa sarebbe, se tale era la vera interpretazione, in rottura con l’insegnamento anteriore.
E tuttavia è necessario convenire che se – conformemente alla dottrina tradizionale – alcuni separati in buona fede accedono alla salvezza attraverso questi elementi cattolici che si rinvengono de facto nelle loro comunità, non è la loro appartenenza concreta a queste comunità separate che può (nell’insondabile mistero di Dio) apportar loro questi elementi cattolici salutari. Allo stesso tempo, è vero, che questa appartenenza è anche il principale ostacolo oggettivo al loro ritorno nell’unità della Chiesa. E’ chiaro che il dogma del passato non ha fatto proprio esplicitamente questo fatto, e cioè che gli elementi cattolici che esistono nelle comunità separate possano essere strumento della grazia per i cristiani separati in buona fede e dunque che essi appartengono in voto alla Chiesa di Pietro, né che essi siano in attesa di essere rivivificati dal ritorno alla Chiesa cattolica dei cristiani separati, i quali di tali elementi beneficiano (cosa che non ho in nessun modo la pretesa di spiegare in poche righe). In fondo è come se l’ “interrogativo” del n. 3 di Unitatis Redintegratio testimoniasse di due deficienze, una riguardo il passato che diceva troppo poco, e l’altra riguardo il presente che, di contro, dice troppo.


Nota della redazione: Per eventuali citazioni invitiamo sempre a rifarsi al testo nella lingua originale dell'autore, nella fattispecie il francese, in questo spirito le note non sono state tradotte.



[1] Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Case Mariana Editrice, 25 mars 2009.
[2] Mons. Brunero Gherardini, « Quale valore magisteriale per il Concilio Vaticano II », da Disputationes Theogicae, 5 maggio 2009 ; Claude Barthe, « Il Magistero ordinario infallibile. L’abbé Barthe difende la posizione di Mons. Gherardini », 18 giugno 2009.
[3]. Sur la manière dont la FSSPX décline le thème de la non-infaillibité des points contestés de Vatican II : Jean-Michel Gleize, « Le concile Vatican II a-t-il exercé l’acte d’un véritable magistère ? » et Alvaro Calderón « L’autorité doctrinale du concile Vatican II », dans Magistère de soufre (Iris, 2009, pp. 155-204 et 205-218)
[4]. Parole et Silence, 2005.
[5]. Parole et silence, 2004.
[6]. « Nel clima dell’Immacolata i quarant’anni del Concilio. Subsistit in (Lumen gentium, 8) », pp. 1, 6-7.
[7]. Un autre ancien professeur de l’Université Grégorienne, le P. Francis A Sullivan, avait d’ailleurs contesté cette interprétation dans « A Response to Karl Becker, S.J., on the Meaning of Subsistit In » Theological Studies, vol. 67 (2006), pp. 395-409. Le P. Sullivan, d’une tendance opposée à celle du P. Becker, ne croit cependant pas davantage que lui à l’autorité infaillible de Vatican II. Dans la ligne Sullivan, mais dans une perspective tout autre que le débat sur les points contestés de Vatican II, la bibliographie sur la relativisation de l’autorité magistérielle dans la théologie actuelle est considérable. En français : un classique, Jean-François Chiron, L’infaillibilité et son objet. L’autorité du magistère infaillible de l’Église s’étend-elle aux vérités non révélées ? (Cerf, 1999) ; et la plus récente contribution : Grégory Woimbée, Quelle infaillibilité pour l’Église ? De jure veritatis (Téqui, 2009).
[8]. Dernier ouvrage paru donnant un bref, mais très substantiel résumé du débat : Guillaume de Thieulloy, « Vers une relecture de Vatican II), dans La théologie politique de Charles Journet (Téqui, 2009, pp. 149-163). Pour l’état le plus complet et le plus parfaitement référencé de la doctrine d’avant Dignitatis humanae, voir le chapitre 9 du schéma De Ecclesia (Documenta oecumenico Vaticano II apparando, Constitutio De Ecclesia, c. 9, traduction dans Claude Barthe, Quel avenir pour Vatican II. Sur quelques questions restées sans réponse (François-Xavier de Guibert, 1999, pp. 163-179).
[9]. « Délimitación del concepto de tolerancia y su relación con el principio de libertad », Scripta Theologica 27 (1995), pp. 865-884. Cf. sur cette question : P. Basile Valuet, osb, La liberté religieuse et la Tradition catholique, éditions Sainte-Madeleine, 1998, dont il faut souligner qu’il ne semble pas vouloir assimiler l’enseignement conciliaire au magistère ordinaire universel. Tiennent, en revanche, pour la qualification de magistère ordinaire et universel à la doctrine conciliaire de la liberté religieuse (dont ils donnent des interprétations catholiques aux nuances diverses, qu’il n’est pas possible de rapporter ici) : Brian W. Harrison, Le développement de la doctrine catholique sur la liberté religieuse (Dominique Martin Morin, 1988) ; de nombreux articles de Dominique-M. de Saint-Laumer, par exemple « Liberté religieuse. Le débat est relancé », Sedes Sapientiae, 25, pp. 23-48 ; Bernard Lucien, : Les degrés d’autorité du Magistère (La Nef, 2007). [10]. « Le devoir social de religion et le droit à la liberté religieuse », nn. 2104-2109.
[11]. Op. cit., Parole et silence, 2004.
[12]. Op. cit., Parole et Silence, 2005.
[13]. « En exposant la doctrine, ils [les théologiens catholiques] se souviendront qu’il y a un ordre ou une “hiérarchie” des vérités de la doctrine catholique en raison de leur rapport différent avec les fondements de la foi chrétienne ».
[14]. Le n. 2 de la Déclaration Nostra aetate : « « Elle [l’Église catholique]considère avec un respect sincère — observantia : respect religieux — ces manières d’agir et de vivre, ces règles et doctrines qui, quoiqu’elles diffèrent en beaucoup de points de ce qu’elle-même tient et propose, cependant apportent souvent un rayon de la Vérité qui illumine tous les hommes ».
[15]. En ce qui concerne l’ensemble des difficultés levées par la FSSPX et la manière dont elle les présente, on peut notamment lire le livre collectif : Magistère de soufre, op. cit. (Iris, 2009).