26 maggio 2009

Vaticano II, rottura o continuità?



L'ermeneutica del Vaticano II

Convegno della «Revue thomiste» e l’Institut Catholique de Toulouse




Vaticano II: Rottura o continuità - le ermeneutiche presenti, questo il titolo scelto dai teologi dell’Ordine Domenicano di Tolosa per analizzare le problematiche ingenerate soprattutto da quella che ormai sembra aver preso il nome di “ermeneutica del Concilio”. L’ormai celebre discorso del Sommo Pontefice alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, fa scuola tra i teologi che cercano di ricondurlo ad un’attitudine pratica di analisi e di commento dei testi conciliari, visto il monito proveniente da tanta Cattedra.
Il convegno si è tenuto nelle giornate del 15 e 16 maggio nella sala Leone XIII dell’ “Institut Catholique de Toulouse”, alla presenza di alcuni dei nomi più noti del tomismo francese come il Padre Serge-Thomas Bonino o.p., direttore della “Revue Thomiste”, Padre François Daguet o.p., direttore dell’ “Ista”, Padre B.-D. de la Soujeole o.p., organizzatori dell’incontro e dell’ambiente teologico romano come Padre Charles Morerod o.p., decano della Facoltà di Filosofia dell’Angelico e Segretario della Commissione Teologica Internazionale, davanti ad un pubblico di un centinaio di persone, composto in larga parte da ecclesiastici. E’ stata notata la ridotta partecipazione delle comunità dipendenti dalla commissione “Ecclesia Dei”, solo due giovani sacerdoti della Fraternità San Pietro e due membri dell’Istituto del Buon Pastore rappresentavano il clero secolare “tradizionalista”, con un padre domenicano di Chéméré e alcuni monaci benedettini di Fontgombault, di Triors, di Randol e della nuova comunità italiana dei Benedettini dell’Immacolata. L’assenza dei membri della Fraternità S. Pio X è stata rilevata con dispiacere, da parte degli stessi organizzatori.

Questo Convegno segna una tappa di grande rilievo nello studio del Vaticano II e delle problematiche ad esso connesse, gli interventi, visti i contenuti e visto il prestigio dei relatori, resteranno di fondamentale importanza in quell’analisi che ormai si impone ai teologi su questa controversa pagina della storia della Chiesa; anche tenendo conto dei differenti punti di vista delle scuole teologiche o dei gruppi di pensiero, la lettura degli atti di questo Convegno diverrà irrinunciabile per chiunque voglia occuparsi del Concilio Vaticano II; tanto i fautori della continuità, quanto i fautori dell’ermeneutica della rottura, difficilmente potranno prescindere da queste analisi approfondite del problema anche se non necessariamente per condividerle.

Una larga parte degli interventi di queste giornate di studio si è concentrata sulla questione, teorica, dell’ermeneutica in generale e sul problema della sua applicazione al testo conciliare (Padre T. D. Humbrecht, Padre G. Narcisse, Prof. F.X. Putallaz); I Padri Domenicani, con sfumature diverse, hanno proposto un’ “ermeneutica della continuità” come soluzione alle derive nate dall’ermeneutica della rottura (ermeneutica di “rottura” in senso progressista o ermeneutica di “rottura” in senso tradizionalista con l’opposizione che ne scaturisce), i Padri hanno anche difeso il testo conciliare da tutti gli abusi fatti in suo nome, rivendicando un “ritorno alla verità del testo” e non alle intenzioni degli uni o degli altri, alle interpretazioni personali o agli effetti disastrosi del post-Concilio. Alcuni rari interventi sembravano tuttavia lasciare la porta aperta ad un abbandono del “fissismo conciliare”.

Eccezion fatta per alcuni cantilenanti e non sempre gradevoli ritornelli contro coloro che nel post-Concilio sollevarono vere obiezioni teologiche (sono corsi i nomi non solo di Mons. Lefebvre, ma anche della Scuola Romana), e eccezion fatta per un conferenza sui generis sulla liturgia ( che si è accontentata di sintetizzare, con scarso rigore storico-scientifico, gli argomenti del movimento liturgico degli anni cinquanta), dobbiamo rilevare che l’esame onesto e chiaro di certe difficoltà del testo del Vaticano II è stato tale da permettere di disegnare un quadro sereno dei dibattiti, che da circa cinquant’anni agitano il panorama della teologia post-conciliare e che finora avevano determinato soltanto un dialogo tra sordi, tra mille opposizioni di barricata.

A questo proposito ci permettiamo alcune considerazioni di cui ci assumiamo la paternità e che non vogliamo mettere sulla bocca dei relatori, benché a nostro avviso esse siano presenti, ma purtroppo solo implicitamente, come le conclusioni non dette di molti interventi. In effetti le premesse poste a Tolosa riguardano tanto la novità “sorprendente per la storia” di un Concilio che non condanna, quanto la sua “natura inabituale”, per citare lo storico Alberigo (cfr. l’introduzione di Padre Laffay e l’intervento del Prof. L. Perrin); gli studi hanno affrontato le complesse fasi di redazione dei documenti conciliari così come le influenze teologiche esercitate sui Padri, che non sempre si erano resi conto della portata dei testi sottoscritti (cfr. testimonianza in sede di dibattito di Padre C. Morerod in relazione alle dichiarazioni dei padre Torrell e il contributo di padre P. H. Donneaud sul pensiero di H. Kung, quest’ultimo già prima dell’approvazione del testo conciliare avrebbe previsto un’interpretazione personale, eterodossa ma non ancora dichiarata, sfruttando il tenore ambivalente di certi testi di cui era ispiratore). Inoltre in più d’un passaggio nasce il problema, non solo dell’intenzione dell’autore, ma anche della reale intelligibilità dei testi (Padre L. T. Somme ha ampiamente dimostrato le difficoltà del Magistero postconciliare nell’interpretazione della nozione di “coscienza” partendo da Lumen Gentium 16 e 25 e da Gaudium et Spes 16 ; Padre de la Soujeole ha dimostrato come l’ interpretazione del “subsistit in” di Lumen gentium 8, abbia fatto correre in cinquant’anni fiumi d’inchiostro, con addirittura sette pronunciamenti magisteriali di chiarimento, senza arrivare a tutt’oggi ad una soluzione dirimente e senza permettere di nutrire speranze per una soluzione rapida della questione).

E’ necessario dunque chiedersi come sia stata possibile un’ “ermeneutica della rottura”, che è stata la corrente teologica dominante dopo la fine del Concilio, la quale si appella ancor oggi al testo conciliare per fondare le sue teorie; pur accettando la mala fede delle interpretazioni di certi teologi di rottura, bisogna riconoscere che un processo analogo sarebbe impensabile, in ragione della chiarezza delle espressioni, per un testo del Vaticano I o del Concilio di Trento. La considerazione deve infine portare anche sulle finalità del Magistero ecclesiastico: trasmettere il deposito, difendere il deposito dagli attacchi, ma anche spiegare il deposito, in altri termini un testo magisteriale ha generalmente il compito di porre fine alle diatribe e non di ingenerarne altre. L’assenza di una terminologia chiara in tanta parte del testo conciliare rinvia dunque a riflettere sull’opportunità di un’opera di revisione, di spiegazione, di interpretazione autentica.
Un dichiarato ritorno alla precisione della terminologia scolastica, così come l’impiego della teologia tomista, non soltanto faciliterebbe la comprensione universale dei testi, ponendo ostacoli insormontabili alle ermeneutiche non ortodosse, ma aprirebbe anche la strada ad una vera intelligenza della dottrina cattolica per i nostri contemporanei. Un tale rinnovamento tomista della teologia conciliare è ciò che invocano in definitiva gli organizzatori del Convegno e siamo convinti dell’opportunità di quest’appello. Tuttavia questo lavoro presuppone, a nostro avviso, per essere realmente proficuo, la convinzione dell’opportunità di mettere mano non solo all’interpretazione, ma anche alla lettera del testo conciliare.



Stefano Carusi – Matthieu Raffray








I Grandi Temi del Convegno




Per coloro che volessero approfondire e come ulteriore invito alla lettura degli Atti offriamo in maniera rapida e non certo esaustiva alcuni spunti di studio che abbiamo trovato interessanti e stimolanti per ciascun intervento, abbiamo fatto un lavoro di scelta antologica che non rende onore alla complessità delle relazioni, ma che vuole sollecitare alla ricerca sui temi “caldi” dibattuti; per quanto possibile abbiamo cercato di distinguere i commenti critici nostri dall’opinione non sempre concorde del relatore, scusandoci anticipatamente se l’architettura globale di ogni conferenza non può essere resa nell’ampiezza che merita, lacuna che sarà colmata dalla pubblicazione degli Atti. Se uno solo dei nostri lettori potesse essere spinto a queste poche linee alla ricerca o alla “disputatio” avremmo raggiunto il nostro scopo.


Invito al dibattito costruttivo

Al Padre Augustin Laffay è toccata la prolusione che ha sottolineato fin dai primi momenti del congresso la “singolarità” del Concilio Vaticano II, definito come “novità sorprendente per la storia”, utilizzando la frase dello storico Alberigo è stata sottolineata la “natura non abituale” del Vaticano II, che fa si, vista l’assenza di condanne, che non si sappia come avvicinarlo a Trento e al Vaticano I; il relatore ha tuttavia sostenuto il “carattere obbligatorio di ciascun documento per ciascuno di noi”, ma ha anche invitato alla disputa teologica senza timori reverenziali o falsi pudori, ricordando che San Tommaso non giudicò cosa scandalosa inserire tra i primi articoli della Summa il quesito “videtur quod Deus non sit”.



Ermeneutica e Interpretazione

Il Padre Humbrecht o.p., ha quindi esordito con un’esposizione epistemologica sull’interpretazione dell’ “ermeneutica” mettendo in guardia dall’approccio fenomenologico moderno, per cui il fenomeno diventa principale rispetto all’oggetto, la modernità non guarda all’oggetto, ma solo alla relazione oggetto-soggetto, in una prospettiva che non sarebbe più d’interpretazione, ma di creazione; il metafisico ha anche messo in guardia dall’illusione che si possa conoscere la realtà senza essere affatto influenzati da alcuno spirito soggettivo o da fattori storici e culturali. E’ stato affermato che “gli effetti non giudicano la causa”, in altre parole lo sfascio della civiltà cristiana a partire dagli anni sessanta non è sufficiente per mettere il Concilio sul banco degli imputati. A questo proposito, vorremmo anche attirare l’attenzione sull’intervento di Padre Somme, che ha fatto notare la necessità di stabilire il tipo di rapporto causale tra Vaticano II e crisi della Chiesa; in altre parole il Vaticano II con le sue premesse non poteva che causare la crisi nella Chiesa, nel quadro di una causalità necessaria, oppure gli avvenimenti del post-Concilio sono frutto di una contingenza storica indipendente dal testo conciliare e dipendente piuttosto dal pensiero moderno, nel quadro di una causalità accidentale? O forse i due aspetti ed è il nostro avviso, sono sicuramente da distinguere, ma restano nel loro rapporto reciproco inseparabili. Causae sunt ad invicem causae.



Il Concilio nella storia e nella storiografia

Il convegno ha poi abbordato la parte storico-teologica relativa al Concilio con una conferenza di Padre H. Donneaud o.p., che nel trattare della struttura di Lumen Gentium ha esposto la successione dei capitoli II e III, che sembra voler descrivere la Chiesa in una prospettive “dal basso”, si è poi soffermato sull’attitudine ermeneutica della rivista “Concilium” con un dotto riferimento al pensiero ecclesiologico di Küng il quale, già prima della redazione finale del testo conciliare, sembrava prevedere di oltrepassarne la lettera nel senso della sua personale interpretazione. Sempre di carattere storico l’intervento del Prof. L. Perrin incentrato sulla scuola di Bologna che pretese, sotto la guida di Alberigo, di fare una “storia totale” del Vaticano II, che avrebbe quasi dovuto assurgere a vulgata univoca e irreformabile degli avvenimenti conciliari, il ruolo e il pensiero di personaggi come Dossetti, Padre Ruggeri, Peter Hünermann e Alberto Melloni sono stati trattati sotto l’aspetto storico-critico, con numerose citazioni. L’accento è stato messo sul concetto, caro ad Alberigo, del “Concilio-evento”, sul fatto che “l’avvenimento sia superiore alle decisioni”, trattandosi di un “messaggio superiore”, per usare un termine dello stesso Alberigo; a volte sembra che si voglia evocare uno “spirito del Concilio”, che diventa quasi qualcosa di preternaturale, quasi uno “spirito sussistente”, di dubbia natura, che accompagna sempre il Concilio a prescindere dai testi.


Tradizione, progresso o evoluzione?

Il pomeriggio di venerdì si è aperto con l’intervento del Padre G. Narcisse o. p., sull’ “Ermeneutica della Tradizione”, il quale, tra il fissismo tradizionalista e il progressismo estremo ha proposto una via media sostenendo che nel pensiero tomista l’argomento di ragione e quello d’autorità si integrano vicendevolmente; ha fatto seguito l’intervento di Padre E. Durand o.p., il quale ha insistito sul fatto che i testi conciliari facciano spesso riferimento a frasi come “il Concilio dichiara”, “il Concilio professa”, “noi proclamiamo”, unitamente alla constatazione che molta parte del testo conciliare è costituita da contenuti in sé dogmatici; in sede di dibattito ci siamo permessi di sollevare il problema relativo alla presenza di contenuti dogmatici nel Concilio, ma che a nostro avviso, non sono tali in virtù del pronunciamento conciliare, che non ha carattere dogmatico, ma in virtù della loro natura dogmatica, che può evincersi tanto dalla Rivelazione che da pronunciamenti dogmatici precedenti (rinviamo all’articolo di Mons. Gherardini); nel nostro intervento abbiamo fatto notare che resta ancora aperto il problema della possibilità e dell’opportunità di modifiche al testo conciliare, nel rispetto del ruolo dell’autorità pontificia. Ci fa piacere far conoscere ai nostri lettori la grande apertura alla disputa teologica, che, su questo punto specifico, abbiamo riscontrato tra i relatori e l’assemblea, anche nella distanza delle posizioni; è innegabile che grazie al Regnante Pontefice la disputa accademica abbia assunto dei contorni più vasti, la tradizionale apertura alla “quaestio” dell’Ordine Domenicano ha fatto il resto.
Nella seconda parte del pomeriggio il Rev. Prof. F. Frost ha introdotto il tema dello sviluppo del dogma ponendo l’accento sulla rispondenza tra “Dei Verbum” e il pensiero del card. Newmann, questi sarebbe tra i precursori di quegli accenti teologici che attribuiscono un notevole ruolo, nel progresso della conoscenza di un dogma, alla “percezione intima”, e “alle credenze intime del popolo”; confessiamo che abbiamo ascoltato attentamente, ma non senza qualche riserva, poiché, senza evacuare il ruolo dello Spirito Santo nell’ “intelligentia fidei”, abbiamo tendenza a vedere il processo piuttosto sotto l’angolo dell’ “infallibilitas in credendo” del popolo cristiano guidato dalla gerarchia, che non sul piano della “conoscenza intima”. Resta interessante lo sviluppo del legame tra Newman e Dei Verbum. Ha concluso la giornata di studio Padre F. Daguet o. p., sulla difficilissima problematica della salvezza eterna di coloro che non sono nella Chiesa Cattolica, l’impostazione era incentrata tra i due grandi principi paolini per cui la salvezza è solo in Gesù Cristo, ma la salvezza è anche rivolta ad ogni uomo; il problema diventa complesso allorquando bisogna riconoscere la possibilità dell’opera soggettiva della Grazia nell’infedele, ma al tempo stesso riconoscere che ben poca cosa si possa dire su questo tipo di opera divina, data la sua oscurità. Né mai può essere evacuato il ruolo di mediazione della Chiesa anche in quest’economia straordinaria della salvezza. E’ il problema dei membri “in voto” della Chiesa che il relatore ha definito “membri invisibili” della Chiesa che resta e deve restare visibile.


Alle 18 e 30 è seguita la Messa sulla tomba di S. Tommaso, officiata da Mons. Le Gall, Arcivescovo Metropolita di Tolosa, con la predicazione di Padre Serge Thomas Bonino, sull’attitudine di S. Tommaso davanti ai concili e ai testi conciliari, l’autorevolezza del teologo e le doti dell’oratore fanno si che esprimiamo il voto sincero che questo testo compaia negli atti del Convegno.
Una conferenza serale di Padre J.M. Garrigues, o.p., sulla Chiesa come soggetto integrale della liturgia ha concluso gli interventi, non nascondiamo che su più punti siamo su posizioni molto distanti rispetto a quelle che sono state esposte, tanto dal punto di vista storiografico che teologico-pastorale. Nello specifico non crediamo all’opportunità di una sintesi artificiale o di una via media tra il rubricismo degli anni cinquanta e le derive liturgiche post-moderne, ma pensiamo che la soluzione sia nella “tradizione autentica”, che non necessariamente è sinonimo di “tradizione vivente” coi suoi archeologismi.



La Coscienza, la Libertà Religiosa, la Chiesa e la Società

Nella mattina di sabato Padre L. T. Somme ha abbordato il problema della “coscienza morale” nelle discussioni conciliari e nel Magistero posteriore; il noto specialista di morale, che insegna a Friburgo, ha analizzato i testi dei capitoli 3 e 14 di Dignitatis Humanae, dei capitoli 16 e 25 di Lumen Gentium e soprattutto l’attuale capitolo 16 di Gaudium et Spes, quest’ultimo affrontato attentamente specie nella genesi laboriosa della sua redazione. La seconda parte della relazione è stata incentrata sui problemi connessi alle interpretazioni distorte di questi testi che portarono lo stesso Paolo VI ad interventi di precisazione nell’enciclica Humanae Vitae, né l’autore ha tralasciato di trattare il problema relativo all’accezione del termine “coscienza” nei vari passaggi del testo conciliare; l’uso del termine coscienza è usato in modo equivoco? Si intende con esso il concetto di “giudizio”, “decisione”, “stato d’animo”, “conoscenza”? La coscienza analizza la realtà e esprime un giudizio su di essa o diventa coscienza-creatrice della realtà? Il relatore ha concluso ribadendo che S. Tommaso non fa un trattato della coscienza, ma un trattato sulla prudenza. La chiave dell’interpretazione è forse nel ritorno ad un concetto chiaro della virtù di prudenza piuttosto che nell’ermeneutica complessa del concetto di coscienza, sia esso visto in senso tomista o newmaniano.
L’intervento di Padre J. d’ Amécourt, ha portato su “Dignitatis Humanae, continuità o rottura?” interessante la prospettiva sviluppata in relazione all’esercizio della virtù di religione nello stato di natura, specie in relazione all’atto cultuale e sacrificale; più complesso diventa determinare il ruolo del potere civile, nell’economia della nuova legge, di fronte ai culti e alle false religioni tra diritto naturale, diritto della Verità Divina e prudenza politica.
Padre M.-B. Borde o.c.d., ha avuto l’onere della spiegazione della relazione Chiesa-società civile nel Vaticano II, spiegando le diverse prospettive ecclesiologiche: la tradizionale che parla di “societas supernaturalis” e “societas perfecta” e la dicitura recente e sostanzialmente nuova che fa della Chiesa “una promotrice dell’unità del genere umano”, in una prospettiva che, in certe ermeneutiche teologiche di frontiera, diventa esclusivamente d’ordine naturale.


Ecumenismo

E’ stata quindi la volta del decano di filosofia dell’Angelico Padre Charles Morerod, o. p., che ha parlato sul dialogo ecumenico e sulle opzioni ermeneutiche ad esso connesse, ha esordito con il dato storico della novità dell’ecumenismo al Vaticano II, specie se rapportato all’atteggiamento decisamente ostile ad ogni dibattito ecumenico espresso da Pio XI e ancora condiviso, nel 1957 dallo stesso Mons. Giovan Battista Montini, allorquando si occupava del gregge di Milano. Tuttavia uno sguardo sereno sulla storia della Chiesa rivela la costante preoccupazione del dibattito teologico finalizzato al ritorno all’ovile della pecorella smarrita (ci permettiamo di ricordare che Padre Morerod è uno dei massimi specialisti nello studio delle discussioni che ebbero luogo fra Lutero e il Card. Gaetano, verificatesi laddove il Pontefice inviò il teologo forse più capace dell’epoca per ascoltare le rimostranze di Lutero e correggerne gli errori, nella speranza che volesse tornare nel seno della Chiesa); l’autorevole teologo ha anche aggiunto che oggi siamo altresì in presenza di un irenismo dai contorni utopici, “utopici” poiché, a ben guardare, dopo quarant’anni i problemi coi Protestanti sono ancora tutti sul tavolo. Il teologo ha anche affrontato il problema metodologico, ponendo l’accento sulla frase di Congar che, relativamente al “ritorno alla Chiesa indivisa”, ebbe a dire che “la riforma del Concilio fu antiscolastica”.


Stato e Chiesa

La questione dei rapporti fra Stato e Chiesa è stata oggetto in sala di un acceso dibattito: quale il ruolo della Chiesa, quale il suo potere giuridico sugli stati, quali i limiti dell’intervento pontificio sui governanti, che non può essere, come vorrebbero i Gallicani di ieri e di oggi, un solo potere di “consiglio” (cfr. la condanna dei Quattro Articoli del 1689); il Papa può dirigere l’azione dei capi di stato, con potere veramente giuridico, in vista del fine soprannaturale che ordina il fine naturale? Quali i limiti di quest’azione? Inutile dire che le contingenze storiche che oggi sembrano impedire l’esercizio di un tale potere non rientrano affatto nella discussione, se non nell’ordine prudenziale. Il pubblico ha fatto notare tanto il pensiero di S. Tommaso in proposito, specie nel “Commentario delle Sentenze” e nel “de Regno”, tanto il valore delle affermazioni della bolla pontificia “Unam Sanctam”, oggi forse liquidata con una disinvoltura eccessiva, così come per il Sillabo.


Come bisogna esprimersi in teologia

Nel pomeriggio Padre B. D. de la Soujeole si è concentrato sul problema del “vocabolario” e delle “nozioni”, tanto nei testi conciliari quanto nel magistero posteriore, il teologo ha affermato che le novità di stile nel Vaticano II sono innegabili anche se a volte c’è un voluto ricorso alla terminologia scolastica, in ragione della formazione di molti Padri. Il relatore ha affermato che studi probanti concordano sul fatto che per comprendere correttamente tanto la dottrina della giustificazione del Concilio di Trento quanto la “Dei Filius” del Vaticano I, la conoscenza della terminologia scolastica si rivela indispensabile, di qui l’importanza della precisione dei termini in teologia. Diversamente, nel Vaticano II, viste le rimostranze antiscolastiche di alcuni Padri contro gli schemi preparatori, si fu costretti a modificare il lavoro precedente giungendo ad uno stile piuttosto “eclettico”, che fece ricorso spesso a moduli espressivi d’ordine “narrativo” e non teologico-sistematico. Riguardo all’annoso problema del “subsistit in” Padre de la Soujeole ha affermato che da cinquant’anni fior di teologi si domandano come debba essere interpretato, il Magistero stesso è dovuto intervenire sulla questione almeno sette volte, in considerazione delle difficoltà interpretative, le quali davano luogo a differenti correnti di pensiero. Ancora oggi il problema dell’interpretazione di questo passaggio sembra non del tutto chiuso. Il relatore ha anche fatto notare che il nuovo modo di esprimersi sulla Chiesa è in parte condizionato anche dalla rinuncia, nei testi del Vaticano II, alla tradizionale distinzione tra potere d’ordine e potere di giurisdizione. A nostro avviso questa rinuncia è stata causa di notevole confusione teologica, tuttavia l’opinione dell’oratore è alquanto differente dalla nostra.


Come bisogna “interpretare” in filosofia

L’ultimo magistrale intervento è del Prof. F. X. Putallaz che è intervenuto sull’ “ermeneutica”: cosa intendere per “ermeneutica”, cosa intende il mondo moderno. Da tempo l’ “arte dell’interpretazione” ha preso una piega “kantiana”, per cui l’essere conosciuto si riassorbe nel soggetto. Con Schleiermacher si afferma che la “non comprensione” è primaria, l’ermeneutica diventa quindi la ricostruzione del testo fino a capire ciò che l’autore ha detto, ma la comprensione di ciò che l’autore ha detto diventa una “quasi-divinazione”. L’analisi è proseguita percorrendo il pensiero di Dilthey e di Heidegger, fino a Gadamer nel quale l’ermeneutica diventa ormai interpretazione soggettiva che sfonda nell’arbitrario. Il relatore non ha potuto affrontare il concetto di ermeneutica in Paul Ricoeur pur denunciandone la fondamentale importanza nella questione. All’opposto il filosofo del diritto, l’italiano Emilio Betti, aveva sviluppato un’ermeneutica talmente legata alla lettera del testo da escludere il ruolo dell’interpretazione giuridica secondo la “mens legislatoris”, nei due casi il problema è nell’assenza di senso dell’analogia. La soluzione è per il prof. Putallaz nel limitare le ermeneutiche ad una dimensione “regionale” (e non universale), ribadendo che l’ermeneutica deve essere aperta alla metafisica e all’analogia, nel quadro della filosofia del reale e non nel quadro del solo “soggetto pensante”.

Il Prof. Putallaz, rispondendo ad una domanda, ha voluto sottolineare che se vogliamo tornare alla “realtà” del discorso del Papa del 22 dicembre 2005, il termine “ermeneutica della continuità” non è presente, mentre si fa riferimento a “ermeneutica della rottura” e “ermeneutica della riforma”.

P. Perrier, o. p., ha concluso il convegno con una sintesi sugli interventi.


Stefano Carusi

13 maggio 2009

Jakiego rodzaju jest „dymisja” Benedykta XVI?


A propos niedawnych deklaracji abp Gänswein’a


24 czerwca 2016, świętego Jana Chrzciciela






Otrzymaliśmy następujące zapytanie:



Droga Redakcjo Disputationes Theologicae,


Przeczytałem konferencję abp Gänswein’a z 21 maja 2016 r. na temat „dymisji” Benedykta XVI. Co należy sądzić o tego rodzaju wypowiedzi? Kto jest Papieżem? Jestem zaniepokojony o Kościół i modlę się nieprzerwanie w intencji obecnej sytuacji, która wydaje mi się niezrozumiała i prawie że apokaliptyczna.


Pamiętający o Was w Różańcu


Cesare Bin





Dziękujemy czytelnikowi Cezarowi Bin za to, że napisał do naszej Redakcji. Jest pewnym, iż tylko Kościół ma prawo wypowiadać się w sposób rozstrzygający na temat prawowitości Pontyfikatów, lecz pozostaje rzeczą słuszną postawienie sobie pytania na temat natury i okoliczności „wyjątkowego” aktu, przede wszystkim jeśli jawi się on jako trudny do wkomponowania w znany do tej pory kontekst teologiczny i kanoniczny. W oczekiwaniu, iż Historia obdarzy nas dalszymi wskazówkami, odpowiemy proponując pewne przemyślenia, które oczywiście – wziąwszy pod uwagę złożoną i delikatną materię – pozostają otwarte na ponowne rozpatrzenie również w zależności do przyszłych, oficjalnych osądów autorytetu kościelnego. 


Przed analizą wypowiedzi abp Gänswein’a być może należałoby zrobić krok wstecz.


W 1294 r. Pietro da Morrone zostaje wybrany Papieżem przyjmując imię Celestyna V. Pokorny – i obiektywnie niezdatny do pełnienia tej funkcji – mnich z Abruzzów znalazł się w ten sposób na Tronie Piotrowym. Wkrótce potem zdał sobie on sprawę jak trudnym jest brzemię które zaakceptował, i zaczął zastanawiać się nad stosownością rezygnacji. Zapytani zostali najbardziej znaczący kanoniści (między którymi byli kardynałowie Benedetto Caetani i Gerardo Bianchi) i – aby uniknąć starannie problemów mogących pojawić się, kiedy Papież wybrany regularnie pozostaje przy życiu po swojej rezygnacji – zredagowano dokumenty abdykacji, które nie pozostawiają żadnego miejsca na wątpliwości i które pieczołowicie wyjaśniały, iż Celestyn V pozostawia Papiestwo i wszystko co się z nim wiąże. Jest rzeczą powszechnie wiadomą, że kardynałowie odmówili przystania na prośby Celestyna, który chciał zachować użytek pontyfikaliów w czasie celebracji [1]. Od tej chwili stawał się ponownie Pietro da Morrone i zakładał surowy habit monastyczny.


Oto w skrócie historia rezygnacji z Pontyfikatu, która pomimo iż w niespokojnym kontekście historycznym, toczyła się z kanoniczną jasnością, dzięki której staje się przyszłym wzorcem dla uczonych historii Kościoła, teologii i prawa kanonicznego oraz doprowadzając aż do niedawnego kanonu 332 kodu prawa kanoniczego [2].

12 maggio 2009

„Amoris Laetitia”: ks. prałat Livi zwraca się do penitentów i do spowiedników



6 maja 2016, Św. Jana w oleju


Ojciec Pio i Leopold Mandić – Święci konfesjonału – wystawieni w Bazylice Świętego Piotra w lutym 2016 r.


W ubiegłym miesiącu kwietniu, uczciwszy szczerość i uczciwość eklezjalną Świętej Katarzyny ze Sieny, ks. prałat Antonio Livi wygłosił konferencję przy Bazylice Świętego Jana a Porta Latina zorganizowaną przez „Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis”. Transkrypcję wypowiedzi ustnej zaaprobowanej przez autora publikujemy z pewnością, iż jej treść przyczyni się do nadania klarowności pośród wielu laików (ale być może również pośród wielu kapłanów), którzy czują się dzisiaj zagubieni.


Doktryna moralna i praxis duszpasterska w „Amoris laetitia


Drodzy Przyjaciele,

Poprosiliście mnie, abym wyjaśnił w prostych słowach wam, laikom – lecz widzę również w audytorium współbraci w kapłaństwie, czyli tym samym spowiedników – dlaczego kapłan (i teolog) jak ja, publicznie skrytykował, przy różnych okazjach i w różnych miejscach, adhortację apostolską Amoris laetitia papieża Franciszka. Z największą szczerością podejmuję się więc wyjaśnienia wam treści oraz prawdziwych motywacji eklezjalnych tychże krytyk, które są naturalnie roztropne co do tematu, pełne szacunku w formie i odpowiedzialne co do intencji. Aby rozpocząć, zakładam to, co mówi sam Kościół w słynnym dokumencie Kongregacji Nauki Wiary opublikowanym w 1990 r. z podpisem ówczesnego prefekta, kardynała Józefa Ratzingera:

Urząd Nauczycielski, mając na celu służenie Ludowi Bożemu najlepiej jak to jest możliwe, a w szczególności ostrzegając go przed niebezpiecznymi opiniami mogącymi prowadzić do błędu, może interweniować w kwestiach spornych, z którymi łączą się, obok zasad stałych, elementy drugorzędne i przypadkowe. Często jedynie z perspektywy czasu można dokonać rozróżnienia między tym, co jest istotne, a tym, co przypadkowe. Gotowość do lojalnej akceptacji tego nauczania, głoszonego przez Urząd Nauczycielski w materii, która sama w sobie może podlegać udoskonaleniom, powinna stanowić regułę. Może się jednak zdarzyć, że w pewnych przypadkach teolog będzie miał wątpliwości stawiające pod znakiem zapytania stosowność, formę czy nawet treść danego wystąpienia Urzędu Nauczycielskiego. Wówczas powinien przede wszystkim dokładnie sprawdzić, jakiego rodzaju autorytet został zaangażowany w tę wypowiedź, co wynika z natury dokumentów, z tego, jaką wagę przywiązuje się do przedkładanej nauki i z samego sposobu formułowania wypowiedzi [...].W każdym razie nigdy nie może zabraknąć niewzruszonej postawy gotowości do wiernego przyjęcia nauczania Urzędu Nauczycielskiego, która z racji posłuszeństwa wiary powinna być postawą wierzącego. Dlatego teolog będzie starał się usilnie zrozumieć treść, argumentację i motywy owego nauczania. Poświęci temu pogłębioną i cierpliwą refleksję, oraz będzie gotowy do zrewidowania własnych opinii i do przestudiowania zastrzeżeń przedstawionych mu przez kolegów. Jeśli mimo lojalnych starań trudności nadal istnieją, obowiązkiem teologa będzie przedstawić władzy nauczycielskiej problemy, które stwarza nauczanie samo w sobie, jego argumentacja i sposób przedstawienia. Uczyni to w duchu ewangelicznym i z pogłębionym pragnieniem rozwiązania trudności. Wysunięte przez niego zarzuty będą mogły wówczas przyczynić się do prawdziwego rozwoju, pobudzając Urząd Nauczycielski do przedstawienia nauczania Kościoła w sposób bardziej pogłębiony i lepiej uzasadniony.” (Kongregacja Nauki Wiary, Instrukcja Donum Veritatis o powołaniu teologa w Kościele, 24 maja 1990, nn. 24; 29-30).

11 maggio 2009

Miłosierdzie, uporządkowana cnota czy nieuregulowane uczucie?


Nauczanie Świętego Tomasza za Akwinu

21 grudnia 2015, Świętego Tomasza Apostoła




Święta Małgorzata z Kortony: od konkubinatu do Świętości


Słowo „miłosierdzie” jest jednym z obecnie najbardziej nadużywanych wyrazów. Niewłaściwy użytek terminu, tak ściśle związanego z Bożą Mądrością i Dobrocią pociąga za sobą konsekwencje, które odbijają się nawet na sposobie rozumienia natury Boga. Z jednej strony należy się zgodzić, że miłosierdzie można rozumieć na wiele sposobów, z drugiej jednak strony jest ważne, by dokonać pewnych sprecyzowań, aby nie dochodziło do poważnych błędów w materii Wiary i moralności.

W tym krótkim artykule przyjrzymy się niektórym kapitalnym rozróżnieniom uczynionym przez Świętego Tomasza w Sumie Teologii; przeanalizujemy głównie kwestię, jak należy rozumieć pojęcie miłosierdzia u człowieka i pojęcie miłosierdzia u Pana Boga. Ustanowiwszy te rozróżnienia – pomocne w uniknięciu zarówno niebezpieczeństwa panteizmu, jak i tego związanego z nadmierną antropomorfizacją Boga – przyjrzymy się, podążając za Doktorem Anielskim, jakie są powody i warunki miłosierdzia wobec grzeszników.


Miłosierdzie jest cnotą „zgodną z rozumem”

Święty Tomasz rozprawia o miłosierdziu pod względem ściśle moralnym w Secunda Pars i, odwołując się do etymologii, wyjaśnia nam czym ono jest i jak należy je zdefiniować. Mówi się o miłosierdziu [misericordia], kiedy ktoś patrząc na cudze nieszczęście posiada w „osierdziu, czyli w sercu, litościwą miłość” [cor miserum], czy inaczej, ma serce «współczujące» [1]. Innymi słowy, serce mającego miłosierdzie identyfikuje się z tym, który jest w nieszczęściu i  w swojej kolejności lituje się nad tym nieszczęściem. Jest to fakt smucenia się z tym, który jest smutny, identyfikowania się po części z będącym w nieszczęściu utożsamiając się z jego własnym pragnieniem ku dobru.

To poruszenie duszy jest w pewnej mierze czymś wrodzonym dla naszej natury; to znaczy, że Bóg w Swojej nieskończonej Mądrości stworzył człowieka obdarzonego uczuciami [passiones], które same w sobie przyczyniają się do doprowadzenia nas do celu ostatecznego. Na przykład, wobec oczywistej niesprawiedliwości można odczuć poruszenie gniewu, który może być święty i sprawiedliwy oraz może popchnąć do działania w celu ochrony prawdy lub tego, który jest niesprawiedliwie zaatakowany. Perfekcja Stworzenia przewidziała istotnie, aby dla duchowego i społecznego zwierzęcia jakim jest człowiek, istniały „reakcje” mające same w sobie na celu skłonienie stworzenia zmysłowego ku swojemu własnemu dobru oraz dobru innych; jednakże – głównie z powodu grzechu pierworodnego – uczucia [passiones] muszą być zawsze kierowane przez rozum, aby ze względu na swoje nieuregulowanie nie stały się powodem do grzechu.

10 maggio 2009

„Interkomunia” z Luteranami

Refleksje Księdza Prałata Gherardiniego

26 listopada 2015, świętego Sylwestra Opata



W poprzednich artykułach staraliśmy się ukazać powagę teorii głoszących dostęp bez czynienia żadnych różnic do Eucharystii; teorii, które często zakładają pojęcie Kościoła Katolickiego – ale również pojęcie Eucharystii – które, jeśli dobrze się przyjrzeć, nie jest już katolickie. Głębokie połączenie tych dwóch dogmatów sprawia, że takie ataki dotyczą nieuchronnie i jednej, i drugiej prawdy Wiary. Na tym samym polu doktrynalnym rodzi się możliwość uznania tak zwanej „interkomunii” z Luteranami. W związku z tym tematem publikujemy odpowiedź Księdza Prałata Brunero Gherardiniego, który przez lata zasiadał na katedrze Eklezjologii i Ekumenizmu na Pontyfikalnym Uniwersytecie Laterańskim, pisząc wiele esejów na ten temat i udzielając konsultacji w tej materii Dykasteriom rzymskim. Z syntetycznych wypowiedzi tegoż teologa wynika, jak niepokojącym jest rozpowszechnienie pewnych tez oraz praxis „faktu dokonanego”, zwłaszcza na płaszczyźnie eklezjologicznej.

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Co rozumie się przez „interkomunię”?

„Aby odpowiedzieć w sposób adekwatny, analizując również najnowsze dokumenty, nie wystarczyłby jeden artykuł, ani wiele artykułów, lecz potrzeba by było całej monografii. Zauważyć należy przede wszystkim niepoprawność samego terminu, nie tylko dlatego, że idea interkomunii zawiera już sama w sobie jasne odniesienie do idei uczestnictwa i z tego powodu nie ma potrzeby podkreślania tego poprzez prefiks inter, ale również dlatego, że zgodnie z najstarszą tradycją chrześcijańską domena semantyczna interkomunii rozciąga się od Sakramentu Eucharystii aż do poszczególnych kościołów, nabierając przez to silnego odcienia eklezjologicznego. Krótko mówiąc, to pojęcie wskazuje nie tylko na spożywanie darów eucharystycznych, ale również na stosunek między kościołem a kościołem, czy między wyznaniem a wyznaniem.”


Co niesie ze sobą taka teoria i co ona oznacza?

„Na samym początku powiem, że poprzez interkomunię należy rozumieć syntetyczne, chociaż nie wszechobejmujące tłumaczenie klasycznego wyrażenia communicatio in sacris. Ci, którzy są odseparowani od widzialnej jedności Kościoła, czy to poprzez schizmę, czy poprzez herezję, z tego to właśnie powodu są przeszkodzeni, bądź też odcięci od komunii eklezjalnej, a w konsekwencji także od Komunii eucharystycznej; jako tacy, nie mogą oni ani uczestniczyć w liturgii katolików, ani komunikować z ich stołu eucharystycznego, i w ten sam sposób katolicy posiadają przeszkodę uczestnictwa w kulcie schizmatyków i heretyków. Doktryna ta i związana z nią praxis staje na przeciwko sytuacji obecnej, która rozkwitła w środowiskach ekumenicznych i która ma tendencję przeciwstawiania się limitom communicatio in sacris. Ta tendencja nierzadko pozostawia wolną rękę bohemie ekumenicznej” [org. „scapigliatura ecumenica”], a interkomunia staje się, wraz ze zgorszeniem jednych oraz z entuzjazmem drugich, rzeczą dokonaną: staje się prawie że znakiem oczekiwanej, a przez to też rozpoczętej, jedności.”


Czy możliwa jest interkomunia z luteranami?
 
„Jeśli chodzi o komunię pomiędzy katolikami i braćmi odłączonymi jako dziedzicami czy to Reformy, czy to kościołów inspirujących się Reformą, ich odmowa uznania sakramentów i teologii transsubstancjacji, a w konsekwencji obecności substancjalnej, sprawia niegodną i bezsensowną każdą communicatio in sacris z katolikami.”


Uczucia biorą być może miejsce doktryny?

„W materii tak delikatnej presja uczuciowości nie jest dobrym doradcą. Doceniam Von Allmena, kiedy wychodząc poza uczuciowość chce się zająć tym tematem „raz na zawsze, bez wykrętów ni półsłówek”. Nawet za cenę bezwzględnej klarowności. Ekumenicznie rzecz ujmując wydaje się, że właśnie tego brakuje protagonistom dialogu międzywyznaniowego. Również ja dobrze zdaję sobie sprawę, że świadectwo chrześcijan podzielonych nawet co do fundamentów ich Wiary jest mniej wiarygodne, i co więcej, mniej efektywne. Lecz interkomunia „za wszelką cenę” nie stanie się motywem ich większej wiarygodności i efektywności.”

Redakcja Disputationes Theologicae

9 maggio 2009

„Projekt Kasper” i atak przeciwko Boskiemu ustanowieniu Kościoła

W kierunku „Nowego Kościoła” przechodząc przez małżeństwo?


17 października 2015, Świętej Małgorzaty Marii Alacoque



Pomiędzy pojęciem małżeństwa a pojęciem Kościoła znajduje się głęboką więź, jasno ustanowiona przez Pismo Święte. Dlatego uważnie badając „tezy Kasper” można odkryć, iż nie posiadają one tylko wymiaru destrukturyzacji moralności, ale niosą ze sobą także odmienny aspekt (do tej pory jeszcze nie wystarczająco wyklarowany), który doprowadza w sposób mniej lub bardziej pośredni do wypaczenia samego pojęcia Kościoła Katolickiego. Nie jest bez znaczenia fakt, że Walter Kasper jest eklezjologiem [1].

Małżeństwo jest przede wszystkim instytucją prawa naturalnego, wyraźnie chcianym „od początku” przez Stworzyciela i – tak jak całe prawo naturalne – wpisanym na zawsze do ludzkich serc. Już to wystarcza, aby ustanowić świętą na zawsze więź rodzinną między mężczyzną i kobietą w celu posiadania potomstwa. Ta „naturalna świętość” wynikająca z godności należnej prawu wiecznemu jest nie dostępna tylko dla rozumu, ale zawarta jest również w Dekalogu, zaś Święty Paweł wykorzystuje ją jako pierwowzór, by nauczać nas o nadprzyrodzonej wspólnocie chcianej przez Chrystusa.

Bardzo ważna bitwa o rodzinę i małżeństwo - będąca w toku na Synodzie, i której dalszy ciąg jest już oczywisty - niesie więc ze sobą obronę „prawa naturalnego” oraz zakłada inny aspekt ściśle z tą bitwą związany: chodzi o obronę dogmatu Boskiego ustanowienia Kościoła, który jest wiecznym celem ataku modernistów. Nie jest to przypadek, iż w dzisiejszych dniach jest rozpowszechniona wiadomość o propozycjach synodalnych na temat rozszerzenia bez żadnych różnic możliwości przyjmowania Komunii Eucharystycznej nie tylko dla publicznych konkubentów, ale również dla heretyków i schizmatyków. A wszystko to według spójnej logiki zgodnej z upłynnieniem samego pojęcia „Kościoła Katolickiego”. W istocie, nie istnieje duszpasterstwo niezależne od Prawd Objawionych, a tym bardziej teologia moralna odseparowana od dogmatyki. Wszystkie prawdy są połączone między sobą w scientia Dei, czy są to prawdy mające charakter ściślej przeznaczony do kontemplacji Boga, czy też są bardziej ukierunkowane na ukazanie odpowiedniej drogi prowadzącej do Boga [2]. Zawsze mowa jest tu o Bogu i dlatego głęboka jedność ogarnia te prawdy do tego stopnia, że każda zmiana substancjalna w domenie moralnej zakłada odmienną teologię dogmatyczną: simul stabunt aut simul cadent.

Uzasadnione jest wrażenie, iż znajdujemy się wobec jednego wielkiego projektu Antykościoła, którego tylko jeden przejaw (chociaż bardzo ważny) na razie stał się widzialny. W tym artykule przeanalizujemy, w jaki sposób tak zwane „tezy Kasper” (i współzależny, nawet jeśli bardziej nieuchwytny, „projekt Tagle”), nie tylko niosą ze sobą de facto jawną sprzeczność z prawem naturalnym i ze słowami Chrystusa na temat małżeństwa, ale są też one zalążkiem ataku przeciwko tradycyjnej doktrynie o naturze Kościoła Katolickiego.


Małżeństwo i Kościół: znamienna więź mistyczna

Aby zrozumieć czym jest Kościół, należy zrozumieć czym jest małżeństwo chrześcijańskie; i aby zrozumieć czym jest małżeństwo chrześcijańskie, należy poznać Kościół. Święty Paweł pisze do Efezjan (5, 25-28): „Mężowie miłujcie wasze żony, jak Chrystus umiłował Kościół i wydał za niego samego siebie, aby go uświęcić, oczyściwszy obmyciem wodą, któremu towarzyszy słowo, aby osobiście stawić przed sobą Kościół jako chwalebny, nie mający skazy czy zmarszczki, czy czegoś podobnego, lecz aby był święty i nieskalany”. Wynika z tego paralelizm pomiędzy świętością, jaką musi odznaczać się prawdziwe małżeństwo chrześcijańskie, a świętością, przez które Słowo Wcielone uświęciło i ukochało Kościół będący „święty i niepokalany”, gdyż jest Boży – i analogicznie, w ten sam sposób świętym musi być związek mężczyzny i kobiety znajdujący się pod pieczą Chrystusa. Apostoł kontynuuje dalej (5, 32-33): „Tajemnica to wielka, a ja mówię: w odniesieniu do Chrystusa i do Kościoła. W końcu więc niechaj w taki sam sposób każdy z was tak miłuje swą żonę jak siebie samego! A żona niechaj się odnosi ze czcią do swojego męża!”. Dla Świętego Pawła małżeństwo jest tak ważne dla eklezjologii, że jest jej świętym znakiem - a to już od czasów Starego Testamentu, w którym było już ono „zapowiedzią” Kościoła mającego zostać założonym przez Chrystusa.

Sobór Trydencki również podejmuje nauczanie na temat nierozłącznego związku pomiędzy łaską wysłużoną przez Chrystusa w Swojej Męce, oblubieńczą łaską Kościoła i wyrażającą ją nierozerwalną jednością małżeństwa [3]. Ksiądz Prałat Piolanti tak syntetyzuje tę podniosłą prawdę: „Należy więc uwzględnić, iż w Starym Testamencie Małżeństwo było symbolem przez Boga przeznaczonym, aby oznaczać przyszłą więź Chrystusa z Kościołem (signum prognosticum, bez żadnej skuteczności uświęcającej), które to w Nowym Testamencie z Woli Bożej pozostaje jako znak rzeczywistości wypełnionej na Krzyżu, czyli godów mistycznych Chrystusa z Kościołem; jest ono więc signum rememorativum, który należąc do Nowego Prawa posiada prerogatywę wewnętrznego uświęcania (signum demonstrativum gratiae)” [4].

Małżeństwo nie jest więc tylko i wyłącznie podniesione do godności Sakramentu poprzez Ofiarę Chrystusa udzielającego małżonkom łaski małżeńskiej, ale pozostaje ono także na wieki jako „znak rzeczywistości wypełnionej na Krzyżu”, jako wieczny znak „godów mistycznych Chrystusa z Kościołem” i (tak jak w wypadku innych Sakramentów) jako znak samego planu Wcielenia Słowa. W istocie, każdy Sakrament tak w swojej naturze, jak i w towarzyszących mu obrzędach i zobowiązaniach, jest odbiciem Wcielenia Słowa – i jak mówi Święty Tomasz – koniecznie zgodnym być musi z taką Tajemnicą, jako powszechną przyczyną Zbawienia [5]. Takim właśnie jest zapuszczający swe korzenie w Starym Testamencie Boski plan, który pragnie uczynić z małżeństwa chrześcijańskiego obraz zbawiennej świętości jedynej i niepokalanej Oblubienicy Chrystusa i znak samej Tajemnicy Wcielenia. Tak oto obnaża się powoli znaczenie przedsięwzięcia, które atakując chrześcijańskie małżeństwo zakłada również de facto ideę Kościoła nie będącego tym, którego chciał Chrystus.


Od „rozwodu katolickiego” do rozwodu pomiędzy Kościołem a Chrystusem

Od aprobacji konkubinatu – czy gorzej nawet – aprobacji konkubinatu jako drogi niosącej w sobie pozytywne aspekty dotyczące wiecznego zbawienia i  – co za tym idzie – dotyczące samej łaski (!), aż do idei Kościoła bez widzialnych granic, bez nienaruszalnych zasad, Kościoła niezależnego od niezmiennych prawd Chrystusa, nie będącego w głębi rzeczy Bożym – do tego wszystkiego wystarczy tylko jeden krok. A nawet jeden mały krok.  Pomijając już to, czy pierwowzór (zatem też znak eklezjalny, jak było to wyżej wspomniane) może stać się również pierwowzorem publicznego cudzołóstwa, oznacza to również, że zmierza się w stronę poszukiwanego obrazu kościoła nie tylko bardzo dalekiego od świętości Boga, nie tylko będącego w ciągłej i niestabilnej „ewolucji oblubieńczej” postępującej za nowymi czasami, ale będącego też rzecznikiem i nieomal propagatorem „kultu człowieka”, a nawet najgorszych wad ludzkości. Kościół, który – jeśli chcemy być konsekwentni, pozostając w  obrazie biblijnym – mógłby przechodzić (niech Szanowny Czytelnik nam wybaczy, lecz błąd należy obnażyć w całej swojej bezwzględności) od jednego oblubieńca do drugiego, pozostawiają swojego prawdziwego i jedynego oblubieńca: Pana Naszego Jezusa Chrystusa (którego Bóstwo – de facto, ale nie zawsze w teorii – nigdy nie było uznane przez modernistów).

Ci „teolodzy”, którzy stają na drodze skalania świętości małżeństwa, kończą de facto – czy tego chcą czy nie – na dochodzeniu do teorii dotyczącej niejakiej możliwości (wraz z aspektami powiązanymi nawet z ekonomią zbawienia!) zdrady małżeńskiej, nawet jeśli zdradzonym Oblubieńcem jest Jezus Chrystus. Kontynuując więc logicznie dyskurs, końcem końców koszty takiego myślenia ponosi także jedność Zbawienia w Jezusie Chrystusie, jak zresztą już miało to miejsce. W jednym z naszych artykułów pod tytułem „Interesowna ekshumacja Ojca Dupuis, czyli próba generalna Vaticanum III przeciwko Dominus Jesus” [6] (do którego to odsyłamy Naszych Czytelników), zwróciliśmy uwagę, iż w kontekście debaty synodalnej podejmuję się także próbę, co prawda zawoalowaną lecz zorganizowaną, rehabilitacji (potępionych) teorii podtrzymywanych również przez znanego belgijskiego jezuitę.

Próba tego rodzaju, uderzającą nawet w definicje Dominus Jesus, pochodzi z tych samych środowisk, które są najbardziej przekonanymi promotorami udzielania Komunii Świętej publicznym konkubentom. Nie jest to przypadek. W rzeczywistości ci, którzy nie uznają jedności Zbawienia w Jezusie Chrystusie i być może – chociaż przybierają pozę chrześcijańską – nie uznają nawet Jego Bóstwa, są w spójnej harmonii z tymi, którzy chcą postawić do góry nogami nierozerwalność małżeńską - również ze względu na wyżej opisane motywy, związane z pewną perwersyjną spójnością ich dyskursu „teologicznego”. Jeśli ze spekulatywnego punktem widzenia, o ile można tak powiedzieć, „rozwód katolicki” staję się godny, to dlatego że Kościół również może w pewnym sensie rozwieść się z Chrystusem; gorzej, może on żyć w pewnego rodzaju zbawiennym konkubinacie, zgodnie z którym wszystkie drogi mniej lub bardziej religijne (a nawet mniej lub bardziej naturalne...) są właściwe, by trafić do Nieba. Włączając w to homoseksualizm. Wszyscy wręcz jesteśmy mniej lub bardziej w Niebie już tu na Ziemi, zanurzeni w pewnego rodzaju wszechogarniającym panteizmie. Panteizmie, który zrezygnowawszy ze zdrowej metafizyki i opróżniwszy wszystkie prawdy porządku naturalnego (włączywszy w to małżeństwo), sfalsyfikował znaczenie samej doktryny Wcielenia Słowa[7],  wynaturzając w tym samym czasie Boskie ustanowienie Kościoła, który jest przedłużeniem Wcielenia w historii.

I kiedy powtarzając w kółko stwierdza się, że należy pójść „ponad słowa Chrystusowe” – być może zbyt oczywiste dla niektórych uszu – to często zataja się fakt, iż prawdziwym, ukrytym zamiarem jest po prostu pójście „ponad Jezusa Chrystusa” (który niemal staje się tylko człowiekiem) i ponad Jego Kościół (który w sposób „spójny” staje się wspólnotą tylko ludzką). Dodajmy, że taki „rozwód z Chrystusem” niesie ze sobą rozwód z inną trudną prawdą: z ofiarą. Tak jak mistyczne gody Chrystusa z Kościołem skonsumowały się na Golgocie, a z wody i z Krwi zrodziła wspólnota się jaką jest Kościół, wspólnota święta ze względu na Wiarę i Sakramenty, tak i małżeństwo chrześcijańskie żywi się, oczywiście, radością z dzieci i wzajemną wymianą miłości, ale również żywi się chlebem ofiary. Ofiara. Jest to słowo, na które współczesne uszy – włączając w to uszy pewnych „teologów” – mają obecnie alergię. Ofiara w sposób nadprzyrodzony płodna „w radości i w smutku”, „w zdrowiu i w chorobie”, będąca źródłem samej łaski we wspólnocie małżeńskiej na podobieństwo życia Chrystusa, który ofiaruje się za Swój Święty Kościół. Lecz by zrozumieć dyskurs tego rodzaju należy najpierw zaakceptować, że istnieje porządek nadprzyrodzony.

Współczesny naturalizm natomiast, który „pobiera się” dobrze (zaryzykowalibyśmy stwierdzenie, że tym razem „nierozerwalnie”...) z nieokiełznanym hedonizmem, zagłusza w antropocentryzmie pojęcia nadprzyrodzoności, ofiary i łaski wysłużonej poprzez wierność Bożym zamiarom. Wynika to również z tego, że nie uznaje on Boskości Kościoła, tak jak nie uznał on Boskości Chrystusa, i że w tym zaślepieniu ducha, o którym mówi Biblia (tyle się mówi przecież o „Kościele Ducha”...) nie jest on już w stanie spostrzec nie tylko wymiaru nadprzyrodzonego oraz nienaruszalności Sakramentu, ale także zwyczajnego prawa naturalnego.


Podsumowanie

W doktrynie katolickiej znajduje się głęboka w znaczenie mistyczna osmoza, która dokonuje się poczynając od obrazu świętości małżeństwa (nawet tego starotestamentowego, nie będącego jeszcze sakramentalnym) aż do Kościoła; i ta sama wymiana dokonuje się poczynając od wewnętrznej natury Kościoła aż do małżeństwa chrześcijańskiego, które jest „żywym obrazem” tajemnicy więzi Chrystusa z Kościołem. Małżeństwo chrześcijańskie „nie jest tylko wzorcem pozostającym na zewnątrz, na marginesie mistycznych godów Chrystusa, ale jest ono kopią, reprodukcją która wykiełkowała z tej więzi, nasycona tą samą esencją, i która nie tylko przedstawia, ale również reprodukuje tajemnicę stosunków Chrystusa z Kościołem, tajemnicę aktywną i efektywną wewnątrz małżeństwa”[8].

Teologia Kościoła i teologia małżeństwa – jeśli można tak powiedzieć – obejmują się. Dotyczy to zarówno myślicieli katolickich, jak i heretyków. Albo wszystkie prawdy razem stoją albo razem upadają, simul stabunt aut simul cadent. Jedność, nierozerwalność i świętość są niezbywalnymi charakterystykami małżeństwa chrześcijańskiego, które jest „żywym obrazem” jedności, nierozerwalności i świętości Kościoła. Nie ma trzeciej możliwości.

Dlatego właśnie prawie wszyscy heretycy, którzy podnieśli rękę na świętość Kościoła i na jego nierozerwalną jedność ze Swoim Oblubieńcem, jednocześnie podnieśli rękę na świętość małżeńską. Oczywiście, mamy tu również do czynienia z pewnym nędznym wyrachowaniem politycznym, przeznaczonym do zdobycia łatwego konsensusu dzięki popuszczeniu wódz moralności, lecz spotykamy się tu też z czymś bardziej doktrynalnym. Wystarczy spojrzeć na sprzeczności Lutra, na niespójny system jansenistów na temat łaski, na państwowościowy serwilizm gallikanów i regalistów, czy na masoński naturalizm filozofów Oświecenia; wszyscy starali się wyrwać z fundamentów chrześcijańskie małżeństwo, a wraz z nim Boskie ustanowienie Kościoła. Nawet greccy schizmatycy łączą swoją zdeformowaną teologię Kościoła z możliwością zerwania jedności małżeńskiej w pewnych przypadkach, chociaż w sposób bardziej ograniczony niż u protestantów. Wspomnieć należy w końcu (choć nie mniej ważną) myśl niegdysiejszych i dzisiejszych modernistów, obślizgłą niczym węgorz, ale będącą zawsze - nawet jeśli znajdującą się pomiędzy swoimi dwuznacznościami - zatwardziałym wrogiem Boskiego ustanowienia Kościoła, i w tym samym czasie wrogiem małżeństwa chrześcijańskiego. Święty Paweł ukazał nam tego przyczynę.

Kiedy zrozumie się tę konieczną więź, można również zrozumieć dlaczego bitwa na rzecz prawdy w domenie eklezjologicznej – nawet jeśli czasem wydała się ona dla nieuważnych tylko dysputą między specjalistami – posiada ogromne znaczenie, wraz z bitwą na rzecz małżeństwa. Z poprawnej „teologii Kościoła” wynika także poprawna myśl na temat prawd tak elementarnych jak rodzina, a zależność ta jest wzajemna. To jest właśnie jedność Wiary.

Don Stefano Carusi




[1] Rzecz podkreślona już przez Księdza Prałata Livi, komentującego teorie eucharystyczne niemieckiego hierarchy. A. Livi, L’Eucarestia secondo Kasper, w Disputationes Theologicae (2015), 31 lipiec 2015.
[2] Św. Tomasz z Akwinu, Summa Theologiae, Ia Pars, q. 1, a. 4.
[3] Denz. 1799.
[4] A. Piolanti, I Sacramenti, Rzym 1990, str. 554.
[5] Św. Tomasz z Akwinu, Contra Gentes, 4, 56.
[6] L’interessata riesumazione del Père Dupuis, w Disputationes Theologicae (2015), 29 styczeń 2015.
[7] Patrz : B. GherardiniIl Dio di Gesù Cristo, w Disputationes Theologicae (2010), 29 styczeń 2010, gdzie dokonuje się analizy pozycji Bruno Forte na temat teologii Wcielenia. Co do pozycji Walter’a Kasper’a na ten temat, odsyłamy do przypisu nr 1 tego artykułu.
[8] A. Piolanti, op. cit., str. 555.