La redazione di Disputationes Theologicae, nel quadro di un approfondimento del dibattito sulla liturgia e sulla cosiddetta “riforma della riforma”, ha intervistato uno dei più noti liturgisti: Mons. Nicola Bux. Nato nel 1947, ordinato sacerdote nel 1975, ha effettuato ricerche all’Ecumenical Institute, al Biblicum di Gerusalemme e all’Istituto Sant’Anselmo di Roma. Professore di teologia sacramentaria alla Facoltà teologica di Bari è tra i più stimati collaboratori del Santo Padre Benedetto XVI. Autore di numerosissime pubblicazioni di teologia dogmatica e liturgica ha recentemente dato alle stampe il noto testo “La Riforma di Benedetto XVI”. Mons. Bux è oggi Consultore delle Congregazioni della Fede e dei Santi, nonchè dell’Ufficio per le celebrazioni pontificie. E’ consulente della rivista “Communio” oltre ad essere uno specialista della liturgia orientale.

In foto: Mons. Nicola Bux
Monsignore lei è professore di teologia sacramentarla ed è anche additato come uno degli esperti di liturgia più vicini al Papa; un segno che non si può parlare di liturgia senza dottrina?
Notoriamente la liturgia appartiene al dogma della Chiesa. Tutti sanno che dalla fede della Chiesa si giunge alla liturgia e dalla preghiera si risale al dogma. Tutti conoscono l’adagio lex orandi lex credendi. E’ dal modo di pregare che si capisce in cosa noi crediamo, ma è anche dal modo di credere che deriva il modo di pregare. E’ quel che è stato ripreso e sapientemente sviluppato dall’enciclica Mediator Dei del venerabile Servo di Dio Pio XII.
Ormai anche i più tenaci fautori di una “rivoluzione permanente” in liturgia sembrano cedere davanti alle sagge argomentazioni del Papa, delle quali c’è un’eco chiarissima nel suo libro. Siamo davanti ad una nuova (o antica se preferisce) visione della liturgia?
La liturgia è per sua natura d’istituzione divina, essa si impernia su parti immutabili volute dal suo Divin Fondatore. Proprio in ragione di questo suo fondamento si può affermare che la liturgia è di “diritto divino”. Gli orientali non a caso usano il termine di “Divina liturgia”, poiché essa è opera di Dio, “opus Dei” dice San Benedetto. La liturgia non è una cosa umana. Nel documento conciliare sulla liturgia, al n. 22 § 3, si dice chiaramente che nessuno, anche se sacerdote, può aggiungere togliere o mutare alcunché. Il motivo? La liturgia appartiene al Signore. Durante la Quaresima abbiamo letto i passi del Deuteronomio nei quali Dio stesso stabilisce persino la suppellettile per il culto; nel Nuovo Testamento è Gesù stesso che dice ai discepoli dove preparare la cena. Dio ha il diritto di essere adorato come Lui vuole e non come noi vogliamo. Altrimenti cadiamo in un culto “idolatrico”, nel senso proprio del termine greco, cioè un culto fatto a nostra immagine. Quando la liturgia rispecchia i gusti e le tendenze creative del sacerdote o di un gruppo di laici diviene “idolatrica”. Il culto cattolico è in spirito e verità, perchè è rivolto al Padre, nello Spirito Santo, ma deve passare da Gesù Cristo, deve passare dalla Verità. Perciò bisogna riscoprire che Dio ha il diritto di essere adorato come Lui ha stabilito. Le forme rituali non sono qualcosa da “interpretare”, poiché esse sono esito della fede pensata e diventata in certo senso cultura della Chiesa. La Chiesa si è sempre preoccupata che i riti non fossero il prodotto di gusti soggettivi, ma appunto l’espressione della Chiesa intera, cioè “cattolica”. La liturgia è cattolica, universale. Quindi anche in occasione di una celebrazione particolare o in un luogo particolare, non si può pensare di celebrare in contrasto con la fisionomia “cattolica” della liturgia.