E’ forse tempo di sfatare il luogo comune per cui i tradizionalisti
sarebbero dei rigidi bacchettoni incapaci di facezie esilaranti. Al contrario,
sembrerebbe proprio che quando la FSSPX parlava d’“accordo pratico” impossibile
senza la preventiva conversione di Roma, stesse semplicemente scherzando. Forse
con queste “bugie giocose” la FSSPX voleva sottolineare al contrario tutta la
sua cattolicità, proclamandosi figlia dell’ilarità romana di San Filippo Neri
piuttosto che del freddo rigore del Card. de Berulle o peggio di Saint-Cyran.
Ora infatti lo scherzo è palese, messo nero su bianco dal Capitolo Generale;
che ha solo dimenticato di riconoscere che hanno invertito la rotta e che la
Dichiarazione del 2006, approvata «all’unanimità», era appunto una “bugia
giocosa”. Affermazioni di questo tipo secondo la morale possono essere fatte se
tutti ne colgono la natura ironica (la nostra rivista a dire il vero l’aveva capito
e per questo aveva scritto che gli scherzi di Mons. Fellay non andavano presi
troppo sul serio).
L’alternativa a tale benevola “ipotesi di lavoro” è che
la FSSPX si sia accorta dell’erroneità della propria precedente posizione
ufficiale ed abbia pertanto deciso di correggerla: in tal caso di per sé
avrebbe fatto bene, a nostro avviso (infatti più collaboratori di questa libera
rivista rimasero scandalizzati dalla Dichiarazione unanime del 2006); ma il
silenzio di tomba sull’eventuale correzione di rotta impedirebbe comunque –
allo stato – di considerarla una cosa seria.
Impossibile…
Poiché nell’era di Internet
la memoria abbisogna più che mai d’aiuto, ripassiamo qualcosa che la Fraternità
aveva detto e Disputationes aveva
criticamente commentato.
Ecco quanto asseriva, senza che si levasse una sola voce
ufficiale contraria (proprio come nel campo degli allineati), la dichiarazione
capitolare del 2006:
“Infatti, i contatti
che essa (la FSSPX) mantiene sporadicamente
con le autorità romane hanno per unico
scopo di aiutarle a riappropriarsi della Tradizione che la Chiesa non può
perdere senza rinnegare la propria identità, e non la ricerca di un vantaggio per se stessa, o di giungere ad un impossibile “accordo” puramente pratico. Il
giorno in cui la Tradizione ritroverà tutti
i suoi diritti, “il problema della riconciliazione non avrà più alcuna ragione
di essere e la Chiesa ritroverà una nuova giovinezza”.
Ancora peggio aveva detto, nel periodo di preparazione di
tale Capitolo, Mons. Fellay:
«in
ogni caso, è impossibile ed
inconcepibile passare alla terza tappa, e quindi prevedere degli accordi, prima che le discussioni siano riuscite a chiarire e correggere i principi della crisi» (in Fideliter n. 171, maggio-giugno 2006, pp.
40-41)
“D’altra parte, è chiaro che noi non firmeremo accordi se le cose non sono risolte a livello dei principi (…), Noi non possiamo permetterci delle ambiguità (…). [L’accordo] sarebbe fondato su zone grigie, e non appena firmato, la crisi risorgerebbe da tali zone grigie. Bisognerà dunque, per risolvere il problema che le autorità romane manifestino ed esprimano in maniera netta, di modo che tutti capiscano che per Roma non ci sono mille strade per uscire dalla crisi, ma che ce n’è una sola valida: che la Chiesa ritrovi pienamente la sua bimillenaria Tradizione. Il giorno in cui tale convinzione sarà chiara nelle autorità romane, sebbene sul terreno tutto sia lungi dall’essere regolato, sarà facilissimo realizzare degli accordi” . (Mons. Fellay, ibidem)
“D’altra parte, è chiaro che noi non firmeremo accordi se le cose non sono risolte a livello dei principi (…), Noi non possiamo permetterci delle ambiguità (…). [L’accordo] sarebbe fondato su zone grigie, e non appena firmato, la crisi risorgerebbe da tali zone grigie. Bisognerà dunque, per risolvere il problema che le autorità romane manifestino ed esprimano in maniera netta, di modo che tutti capiscano che per Roma non ci sono mille strade per uscire dalla crisi, ma che ce n’è una sola valida: che la Chiesa ritrovi pienamente la sua bimillenaria Tradizione. Il giorno in cui tale convinzione sarà chiara nelle autorità romane, sebbene sul terreno tutto sia lungi dall’essere regolato, sarà facilissimo realizzare degli accordi” . (Mons. Fellay, ibidem)
Non è possibile che nella
FSSPX nessuno ricordi quante volte - quando la situazione era meno esasperata -
ad argomentazioni favorevoli all’accordo (ed anche prudentemente favorevoli), è
stato replicato che fino a quando non fossero cambiate la cause (la crisi
dottrinale) non sarebbero cambiati gli effetti (l’insostenibilità del regime di
accordo). Logica “tardoguerardiana”, secondo noi, ma
avallata – sebbene in maniera più ambigua – dallo stesso Mons. Fellay; spesso
implicitamente con “dichiarazioni a doppio senso di lettura”, “svizzere e
perciò neutrali” (come dicevano in privato sacerdoti a tutt’oggi nella FSSPX),
ma talvolta anche in modo piuttosto esplicito:
“Finché non si
affronteranno i principi, le conseguenze continueranno ineluttabilmente. Devo dire che per ora Roma non sembra voler risalire ai principi (…) E’
semplicissimo: finché Roma resta su
tale posizione [ecumenismo e libertà religiosa, di cui il prelato aveva appena parlato],
non è possibile nessun accordo” (Mons.
Fellay citato nell’editoriale di Don Marco Nély, La Tradizione Cattolica, n.2
(62) – 2006, p. 4).
…anzi possibile.
Nella pur lunga Dichiarazione del Capitolo 2012 (che
almeno, a differenza della precedente, non è stata presentata come espressa all’unanimità,
ma più genericamente all’insegna di un ricompattamento), in merito alla
questione dell’accordo è stata messa una rapida nota (forse l’unica che poteva
trovare un consenso ampio), subito seguita da considerazioni pie ed edificanti:
"Abbiamo definito ed approvato le condizioni
necessarie per un’eventuale normalizzazione canonica [così coprendo con
l’immagine di fermezza quella che in realtà è una retromarcia, come
vedremo; possibilismo che viene incontro ai recenti accordisti, ndr].
E’ stato stabilito che, in tal caso, sarà prima convocato un capitolo
straordinario deliberativo [paletto che al contrario viene
incontro all’altra ‘ala’, che temeva un colpo di mano accordista di mons
Fellay, ndr]. Ma non scordiamo mai che la santificazione delle anime…”.
Tuttavia Roma
ha subito lasciato intendere che tale Dichiarazione valeva poco, affermando
ufficialmente (cfr. il noto comunicato di padre Lombardi) di attendere un altro
scritto. E infatti su Internet è
presto comparso un altro testo, del Consiglio, che teoricamente avrebbe dovuto
restare interno, il quale ha specificato le condizioni pratiche (anzi
praticissime) fatte richiedere al Capitolo come “Condizioni sine qua non che
la Fraternità s’impone e che reclama dalle autorità romane prima di considerare
un riconoscimento canonico”.
Eccole:
1. Libertà di
conservare, trasmettere e insegnare la sana dottrina del Magistero costante della Chiesa
e della Verità immutabile della Tradizione divina; libertà di difendere, correggere, riprendere, anche pubblicamente, i
fautori d’errori o novità del modernismo, del liberalismo, del concilio
Vaticano II e delle loro conseguenze ;
2. Usare esclusivamente la liturgia del
1962. Conservare la pratica sacramentale che abbiamo attualmente (ivi
compresi: ordini, cresime, matrimonio);
3. Garanzia d’almeno un
vescovo.
Il medesimo documento presenta anche delle richieste
auspicabili, ma non necessarie. Notiamo a questo riguardo che rispetto a
precedenti resoconti di Mons. Fellay, è evidente che il potere contrattuale
della FSSPX è sceso vertiginosamente, se oggi si deve chiedere, semplicemente
come “auspicabile”, addirittura l’esenzione vescovile per le cappelle di tale
Fraternità, allorquando una soluzione canonica sul modello di Campos era stata
proposta solo sei anni fa dal Card. Castrillon; stranamente però l’apertura ad un accordo
pratico-canonico, almeno in mons. Fellay, sembra stia seguendo un percorso
inverso.
E l’accordo dottrinale? L’accordo pratico impossibile,
anzi addirittura inconcepibile? L’indispensabile correzione preliminare dei
principi della crisi, prima di ogni soluzione della questione canonica? Dove
sono andati a finire? Sono scomparsi. Non a caso un autorevole esponente della
FSSPX ha recentemente affermato che l’accordo è in questo momento
“impraticabile”: quindi, in buona logica aristotelico-tomista, di per sé è
possibile. E Mons. Williamson ha potuto chiosare che l’accordo dottrinale
è semplicemente “scomparso nel nulla” senza dichiararlo:
“In ciò che concerne le sei condizioni per un qualsiasi
eventuale accordo futuro tra Roma e la Fraternità, esse meritano un esame
dettagliato, ma basti per ora segnalare che la richiesta fatta nel 2006 dal Capitolo Generale della Fraternità,
ovvero che un accordo dottrinale è
indispensabile prima d’ogni accordo pratico, sembrerebbe esser stata completamente abbandonata” (Mgr. Williamson fsspx, Commento Eleison del 4 agosto 2012).
E le
spiegazioni del cambiamento? Non ve n’è traccia.
L’illusoria
vittoria della via voluta (preliminari e astuzie)
La nostra rivista – coerentemente con la linea espressa
da alcuni redattori anche prima della sua fondazione – ha già affermato la
propria posizione, che potrà essere utilmente ripassata andando a rileggere gli
articoli su questo argomento. Tale linea provocò reazioni anche scomposte, come
quelle di anonimi commentatori su recenti siti, che in nome di un equivoco
“ecumenismo della Messa tradizionale” tendono furbescamente a pensare che si
possano accantonare verità e giustizia. O addirittura come le richieste di censura – particolarmente dell’articolo “Accordo Roma-Ecône: abbiamo
scherzato?” – che, senza esito, ci sono
state rivolte. Per non parlare dell'interessata sordità dei molti opportunisti
che al valutare le ragioni preferiscono sempre le grosse opportunità, altro
modo che s’aggiunge all’autoritarismo giacobino, per imporre senza
argomentazioni, una visione di comodo.
La domanda che poniamo è dunque: gli sviluppi della
vicenda non confermano forse che le obiezioni che avevamo tentato di porre –
senza omettere aspetti quali la complessità della situazione, le responsabilità
di Roma, l’abbondante presenza (soprattutto in Italia) anche di problemi di
segno opposto – erano fondate?
Il rischio di spaccature nella Fraternità San Pio X, che realisticamente
è stato uno dei deterrenti all’accordo, è stato forse ridimensionato o al
contrario è considerevolmente cresciuto? Poiché è evidente che ci troviamo nella
seconda eventualità, viene da replicare: certo, dopo un decennio di martellamenti
sulla impossibilità dell’accordo! “Chi semina vento raccoglie tempesta”, recita
il noto proverbio. E inoltre, come può Mons. Fellay condannare oggi
disinvoltamente nei suoi confratelli ciò che fino a ieri diceva (o lasciava
intendere) anche lui? E se l’“impossibile” e “inconcepibile” di ieri è oggi potuto
diventare possibile e concepibile, pur continuando ahinoi gli scandali
ecclesiali: che garanzia c’è che quanto
ancor oggi resta impossibile e inconcepibile, non diventi anch’esso possibile e
concepibile domani?
Le divisioni interne alla San Pio X, troppo negate ieri,
emergono oggi con forza ancora più dirompente: questo, che dipende in buona
parte dal tatticismo di Mons. Fellay, assieme alla correlativa “storia
infinita” delle interminabili oscillazioni accordo no/accordo forse, non
rischia – più di un dichiarato, modesto accordo pratico-canonico negli anni in
cui lo si rifiutava – di depistare dal problema non unico ma certamente
principale, ovvero la crisi nella Chiesa?
“Un vantaggio per tutta la Chiesa”?
Siamo sicuri che sia stato un bene il diretto
collegamento, per così dire, di tutto il “tradizionalismo” alla Congregazione
per la Dottrina della Fede? A proposito: i famosi colloqui dottrinali
Roma-Ecône, quale frutto hanno portato? Ricordate? Diceva Mons. Fellay:
«L’obiettivo che si cerca di raggiungere con queste discussioni dottrinali è un importante chiarimento
nell’insegnamento della Chiesa negli ultimi anni. In effetti, la Fraternità
San Pio X, seguendo il suo fondatore Mons. Lefebvre, ha obiezioni serie sul
Concilio Vaticano II. E ci auguriamo che
le discussioni permetteranno di dissipare gli errori o le gravi ambiguità che
da allora sono state diffuse a piene mani nella Chiesa Cattolica»
(dall’intervista rilasciata a Roodepoort, Sudafrica, e riportata anche da Dici, sito ufficiale della Fraternità San
Pio X, 15 settembre 2009).
Ci si è almeno avvicinati all’obiettivo? La risposta è
sotto gli occhi di tutti gli spiriti non faziosi: al contrario, sul Concilio
Vaticano II Roma si è semmai irrigidita, tornando in parte al clima degli anni
’70. La cosa è poi così sorprendente? Quando
Mons. Fellay, a trattative aperte, dichiara su Internet, in buona sostanza, che la Santa Sede ha ceduto alla FSSPX
sul Concilio, come stupirsi che Roma – che si trova attualmente in una
situazione molto delicata e che già ha “ceduto” alla FSSPX sulla “scaletta” di
preliminari e discussioni – reagisca facendo marcia indietro rispetto alle
disponibilità precedentemente ventilate? Come stupirsi che si irrigidisca sulla
vecchia tendenza alla dogmatizzazione dell’ultimo Concilio?
Sui trionfi di tali discussioni dottrinali, lasciamo tuttavia
parlare anche un altro vescovo della Fraternità San Pio X:
“Per limitarmi alla «Nota
preliminare» e al «Preambolo dottrinale», debbo dire
immediatamente che sono confusi,
equivoci, falsi e cattivi per l’essenziale. Anche l’apparente apertura a
una critica del Concilio è sibillina e furbesca, una trappola ben orchestrata
[…]. Questo documento è sostanzialmente inaccettabile. Esso è peggiore del Protocollo del 1988, in particolare in rapporto al
Concilio e al magistero postconciliare” (Mons. De Galareta, Documento di riflessione
conseguente alla riunione di Albano Laziale dell’ottobre 2011).
A tal proposito aggiungiamo d’essere in attesa che questa
messe di discussioni dottrinali “d’altissimo livello” (come si diceva anche, in
sintonia con Mons. Fellay, in ambienti romani) venga pubblicata - com’era
stato promesso - e venga messa sotto gli occhi di tutti, perché tutti possano
trarne un po’ di quel vantaggio che era stato promesso “a tutta la Chiesa”.
Sperando che la pubblicazione promessa non venga rinviata sine die per timore d'intralciare le eventuali ulteriori manovre –
alle quali Mons. Fellay, allo stato, s’è guardato dal chiudere la porta…salvo
poi attribuirle all’unilaterale corteggiamento romano…
Sorvoliamo sulle affermazioni altalenanti di Mons.
Fellay, specialmente tra marzo e giugno, ma già nel precedente autunno-inverno
2011-2012. Tuttavia non possiamo tacere che in questa situazione ci sembrerebbe
doverosa almeno un’umile parola di verità sull’avvenuta inversione di rotta,
un’umile assunzione di responsabilità, in luogo di un comodo autoritarismo,
ieri con gli accordisti e oggi con gli antiaccordisti.
La Redazione di Disputationes Theologicae