Verso
una “Nuova Chiesa”, passando dal matrimonio?
17
ottobre 2015, Santa Margherita Maria Alacoque
Fra la nozione di matrimonio e quella
di Chiesa intercorre un nesso profondo che la Scrittura sancisce a chiare
lettere. Osservando quindi attentamente le tesi “kasperiane” si scopre che esse
non hanno solo una dimensione di destrutturazione della morale, ma comportano
un aspetto - ancora non sufficientemente messo in luce - che finisce per
corrompere più o meno indirettamente la stessa nozione di Chiesa cattolica.
Walter Kasper non per nulla è un ecclesiologo[1].
Il Matrimonio è anzitutto un istituto
di diritto naturale, voluto espressamente dal Creatore “fin dal principio” e
iscritto in perpetuo nel cuore degli uomini come tutta la legge naturale.
Basterebbe questo per rendere sacra per sempre l’unione familiare tra un
uomo e una donna in vista della procreazione. E tale “sacralità naturale” che
deriva dall’onore dovuto alla legge eterna, è non solo comprensibile con la
sola ragione, ma anche contenuta nel Decalogo, oltre ad essere il modello che
San Paolo utilizza per parlarci della società soprannaturale voluta da Cristo.
L’importantissima battaglia per la
famiglia e per il matrimonio, già in corso al Sinodo e i cui prolungamenti
futuri sono ormai evidenti, comporta quindi la difesa del “diritto naturale” ed
implica un altro aspetto strettamente ad essa connesso: la difesa del dogma
della divina costituzione della Chiesa, eterno bersaglio dei modernisti.
Non
a caso è di questi giorni la notizia di proposte sinodali di allargamento indiscriminato
della comunione eucaristica non solo ai pubblici concubini, ma anche agli
eretici e agli scismatici, in coerente logica con la liquefazione della stessa
nozione di “Chiesa cattolica”.
Non esiste infatti una pastorale indipendente
dalle verità rivelate, ancor meno una teologia morale avulsa dalla dogmatica.
Tutte le verità sono connesse in quella che è scientia Dei, siano esse di carattere più propriamente rivolto alla
contemplazione di Dio o siano esse maggiormente rivolte a descrivere la giusta
via che a Dio conduce[2].
Sempre di Dio si tratta e un’unità profonda le pervade tutte, al punto che ogni
mutamento sostanziale nel campo morale sottende un’altra teologia dogmatica: simul stabunt aut simul cadent.
L’impressione
fondata è che ci troviamo davanti ad un unico grandioso progetto di Antichiesa di
cui non si è reso visibile per ora che un solo aspetto, seppur importantissimo.
Analizzeremo
in questo articolo come le cosiddette “tesi Kasper” (e il correlativo, anche se
più sfuggente, “progetto Tagle”) comportino di fatto, non solo una
contraddizione flagrante con la legge naturale e le parole di Cristo sul
matrimonio, ma anche il germe di un attacco alla dottrina tradizionale sulla natura
della Chiesa cattolica.
Matrimonio e Chiesa: una significativa connessione
mistica
Per
capire cos’è la Chiesa bisogna capire cos’è il matrimonio cristiano, per capire
cos’è il matrimonio cristiano bisogna conoscere la Chiesa. Dice San Paolo agli
Efesini (5, 25-28): “E voi o mariti
amate le vostre mogli, così come Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei
nel fine di santificarla, purificandola col lavacro dell’acqua mediante la
parola di vita, per far comparire egli stesso davanti a sé gloriosa la Chiesa,
affinché sia senza macchia, senza ruga o altra cosa siffatta, ma anzi santa e
immacolata”. Ne scaturisce un parallelismo fra la santità, che deve avere il
vero matrimonio cristiano, e la santità con cui il Verbo incarnato ha
santificato e amato la Chiesa, che è “santa e immacolata” perché divina; così
come a sua volta - analogicamente - deve essere santa l’unione di un uomo e una
donna sotto lo sguardo di Cristo. E l’Apostolo continua poco righe dopo (5, 32-33):
“Grande è questo sacramento ; io dico a riguardo di Cristo e della Chiesa.
Pertanto anche ciascuno di voi ami la sua sposa come se stesso, la sposa poi
abbia in riverenza il marito”. Per San Paolo il matrimonio è talmente
importante per l’ecclesiologia da esserne un segno sacro, e ciò addirittura fin
dai tempi dell’Antico Testamento in cui esso era già “annuncio” della Chiesa
che Cristo avrebbe fondato.
Il
Concilio di Trento riprende questo legame inscindibile fra la grazia che Cristo
meritò nella Sua Passione, la grazia sponsale della Chiesa e l’indissolubile
unità del matrimonio che la rappresenta[3].
Mons. Piolanti così sintetizza questa sublime verità: “si deve pertanto
ritenere che nel Vecchio Testamento il Matrimonio fu un simbolo ordinato da Dio
a significare la futura unione di Cristo con la Chiesa (signum prognosticum, senza alcuna efficacia santificatrice), e che
nel Nuovo Testamento rimane, per volere divino, come segno di una realtà
compiutasi sulla Croce, le mistiche nozze di Cristo con la Chiesa; è pertanto
un signum rememorativum, che
appartenendo alla Nuova Legge possiede la prerogativa di santificare
interiormente (signum demonstrativum
gratiae)”[4].
Non
solo quindi il matrimonio è elevato alla dignità di Sacramento dal Sacrificio
di Cristo che effonde sugli sposi la grazia matrimoniale, ma il matrimonio
rimane nei secoli come un “segno della realtà compiutasi sulla Croce”, come un segno
perenne delle “mistiche nozze di Cristo con la Chiesa” e, così come per gli
altri Sacramenti, dello stesso disegno dell’Incarnazione del Verbo. Ogni
Sacramento infatti, nella sua natura come nel rito e negli obblighi che lo
accompagnano, è un riflesso dell’Incarnazione del Verbo - dice San Tommaso - e
a un tale mistero, in quanto causa universale di salvezza, necessariamente deve
essere conforme[5]. Ecco il progetto divino che
affonda le radici nel Vecchio Testamento e che vuol fare del matrimonio
cristiano un’immagine della santità salvatrice dell’unica immacolata Sposa di
Cristo, e un segno dello stesso mistero dell’Incarnazione. Ed ecco del pari
schiudersi pian piano la gravità di quel disegno che, aggredendo il matrimonio
cristiano, implica di fatto anche un’idea di Chiesa che non è quella voluta da
Cristo.
Dal “divorzio cattolico” al divorzio
della Chiesa da Cristo
Dall’approvazione del concubinaggio - ed anche
peggio - come via che comporterebbe in sé aspetti positivi in merito all’eterna
salvezza quindi alla grazia stessa (!), all’idea di una Chiesa senza confini
visibili, senza regole irreformabili, indipendente dalle immutabili verità di
Cristo e in fondo non più divina, il passo è breve. Anzi brevissimo. Senza
contare che se il modello - e quindi il segno ecclesiale, come visto - può
anche diventare quello del pubblico adulterio, vuol dire che ci si sta avviando
verso la ricercata immagine di una chiesa non solo lontanissima dalla santità
di Dio, non solo in continua instabile “evoluzione sponsale” a seconda dei
tempi nuovi, ma anche interprete e quasi propagatrice del “culto dell’uomo” e
persino dei peggiori vizi dell’umanità. Una Chiesa che, se si vuol restare
conseguenti, permanendo nell’immagine biblica, potrebbe passare (ci scusi il
lettore, ma l’errore va denunciato nella sua crudezza) da uno sposo all’altro, abbandonando
il suo vero ed unico marito: Nostro Signore Gesù Cristo (la cui divinità i
modernisti hanno sempre - di fatto, anche se non sempre in teoria -
misconosciuto).
Quei
“teologi” che imboccano la via dell’imbrattamento della santità matrimoniale, finiscono
- volenti o nolenti - per teorizzare di fatto una certa possibilità (con
risvolti persino connessi all’economia di salvezza!) del tradimento
matrimoniale, e ciò anche quando lo Sposo tradito è Gesù Cristo. Se si prosegue
il discorso con logica, dunque, è anche l’unicità salvifica di Gesù Cristo a
farne le spese in ultima analisi, come del resto è già avvenuto. In un nostro
articolo su “L’interessata riesumazione del Père Dupuis, Prove generali del Vaticano III contro la Dominus Jesus” [6]
cui rinviamo, facevamo notare che nel contesto del dibattito sinodale è anche
in atto un tentativo, velato ma organizzato, di riabilitazione di quelle teorie
- condannate - che sostenne anche il noto gesuita belga.
Tale
tentativo, che si scaglia persino contro le definizioni della Dominus Jesus, viene da quegli stessi ambienti
che sono i più convinti fautori anche della comunione ai concubini pubblici. E
il dato non è casuale. Quanti non riconoscono infatti l’unicità salvifica di
Cristo e forse - benché s’ammantino di vernice cristiana - nemmeno la Sua
divinità, sono in coerente sintonia con i sovvertitori dell’indissolubilità
matrimoniale. E ciò anche per quei descritti motivi, connessi ad una certa
perversa coerenza del loro discorso “teologico”. Infatti, da un punto di vista
speculativo, per così dire, se il “divorzio cattolico” diventa lecito è perché
anche la Chiesa può in certo senso divorziare da Cristo o peggio vivere una
sorta di concubinaggio salvifico per cui tutte le vie più o meno religiose ( e
anche più o meno naturali…) sono buone per andare in Paradiso. Omosessualità
compresa. Anzi, siamo già tutti più o meno in Paradiso fin da quaggiù, immersi
in una sorta di pervadente panteismo che, dopo aver rinunciato alla sana
metafisica e aver svuotato ogni verità d’ordine naturale (matrimonio compreso),
ha falsificato il senso della stessa dottrina dell’Incarnazione del Verbo[7],
snaturando al contempo la divina costituzione della Chiesa, che
dell’Incarnazione è il prolungamento nella storia.
E
quando si afferma ripetutamente che bisogna andare “oltre le parole di Gesù
Cristo” - forse troppo chiare per certe orecchie - si sta spesso celando che il
vero disegno soggiacente è quello di andare semplicemente “oltre Gesù Cristo” (che
quasi diventa solo uomo) ed oltre la Sua Chiesa (che “coerentemente” diventa
società solo umana).
Aggiungiamo
che un tale “divorzio da Cristo” comporta anche il divorzio da quell’altra
difficile verità: il sacrificio. Come le mistiche nozze fra Cristo e la Chiesa
si consumarono sul Golgota, e da quell’acqua e quel sangue nacque quella
società santa per la fede e i sacramenti ch’è la Chiesa, ebbene così anche il
matrimonio cristiano si nutre certo della gioia della prole e del mutuo scambio
d’amore, ma anche del pane del sacrificio. Sacrificio. Questa parola cui
l’udito contemporaneo - compreso quello di certi “teologi” - è ormai allergico.
Sacrificio soprannaturalmente fecondo “nella gioia e nel dolore”, “nella salute
e nella malattia” e che è scaturigine di grazia anche nella società
matrimoniale, ad immagine della vita di Cristo che si offre per la Sua Santa
Chiesa. Ma per capire questo discorso bisogna accettare che esiste un ordine
soprannaturale.
Il
naturalismo contemporaneo invece, che si ben si sposa (“indissolubilmente”
stavolta, oseremmo dire…) all’edonismo sfrenato, soffoca nell’antropocentrismo
le nozioni di soprannaturalità, di sacrificio, di grazia meritata nella fedeltà
al disegno di Dio. E ciò anche perché rifiuta la divinità della Chiesa, come ha
già rifiutato la divinità di Cristo ed anche perché, in quell’accecamento dello
spirito di cui parla la Bibbia (altro che “Chiesa dello Spirito”…), non riesce
più a percepire non solo l’aspetto soprannaturale e l’inviolabilità di un
Sacramento, ma nemmeno la semplice legge naturale.
Conclusioni
In
dottrina cattolica c’è un’osmosi mistica e densa di significato che, dall’immagine
della santità del matrimonio (addirittura di quello vetero-testamentario, non
ancora sacramentale) va alla Chiesa; e questo stesso scambio va dall’intima
natura della Chiesa al matrimonio cristiano, che è “immagine vivente” del
mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa. Il matrimonio cristiano “non è
soltanto un esemplare che rimane fuori, ai margini delle mistiche nozze di
Cristo, ma una copia, una riproduzione germogliata da quell’unione, impregnata
della medesima essenza, che non solo raffigura, ma riproduce, attivo efficiente
dentro di sé, il mistero dei rapporti di Cristo con la Chiesa”[8].
Teologia
della Chiesa e teologia del matrimonio - per così dire - s’abbracciano. E ciò
vale per i pensatori cattolici, ma anche per gli eretici. O le verità stanno
insieme in piedi o insieme crollano, simul
stabunt aut simul cadent. Unità, indissolubilità e santità sono le
irrinunciabili caratteristiche del matrimonio cristiano che dell’unità,
indissolubilità e santità della Chiesa è “immagine vivente”. Non c’è una via di
mezzo.
Ecco
perché pressoché tutti gli eretici, che hanno attentato alla santità della
Chiesa e alla sua indissolubile unità con il Suo Sposo, hanno contemporaneamente
attentato alla santità matrimoniale. Vi è certo una squallido calcolo politico,
volto a procacciarsi facili consensi allentando le redini della morale, ma c’è
anche qualcosa di più profondamente dottrinale. Si vedano le contraddizioni di
Lutero, l’incoerente sistema della grazia dei giansenisti, la piaggeria
statalista dei gallicani e dei regalisti o il naturalismo massonico degli
illuministi; tutti hanno tentato di scardinare il matrimonio cristiano e con
esso la divina costituzione della Chiesa. Persino gli scismatici greci
associano la loro distorta teologia della Chiesa alla facoltà di rompere
l’unità matrimoniale in alcuni casi, seppur più limitatamente che tra i
protestanti. In ultimo, e non per importanza, citiamo il pensiero dei modernisti
di ieri e di oggi, sfuggente, anguillesco ma sempre - pur tra le sue ambiguità
- nemico giurato della divina costituzione della Chiesa ed insieme del vero matrimonio
cristiano. La ragione ce l’ha detta San Paolo.
Compreso
quindi questo nesso necessario si comprende anche perché la battaglia per la
verità in ambito ecclesiologico, anche se talvolta è apparsa ad occhi poco
attenti una disputa tra specialisti, è di importanza primaria, al fianco di
quella per il matrimonio. Dalla corretta “teologia della Chiesa” deriva un
corretto pensiero anche su verità basilari come quelle della famiglia, e lo
scambio è vicendevole. E’ l’unità della fede.
Don Stefano Carusi
[1] Il dato è stato già messo in
valore da Mons. Livi commentando le teorie eucaristiche del prelato tedesco, A. Livi, L’Eucarestia secondo Kasper, in Disputationes
Theologicae (2015), 31 luglio 2015.
[2] San
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae,
Ia Pars, q. 1, a.4.
[3] Denz.
1799.
[4] A.
Piolanti, I Sacramenti, Roma
1990, p. 554.
[5] S.
Tommaso d’Aquino, Contra Gentes,
4, 56.
[6] L’interessata riesumazione del Père Dupuis, in Disputationes Theologicae (2015), 29 gennaio 2015.
[7] Cfr. B. Gherardini, Il Dio di Gesù Cristo, in Disputationes
Theologicae (2010), 29 gennaio 2010, in cui si analizzano le posizioni di
Bruno Forte in merito alla teologia dell’Incarnazione. Sulla posizione di Walter
Kasper in materia rimandiamo al riferimento di cui alla nota n.1 del presente
scritto.