Note sulla recente corrispondenza con
il Card. Brandmüller
24 ottobre 2018, San Raffaele Arcangelo
Nel
bel mezzo di una delle tempeste più violente che stanno travolgendo l’attuale
situazione ecclesiale, in maniera chiaramente non fortuita, sono apparse sulla
stampa due lettere che Benedetto XVI ha scritto al Card. Brandmüller nel novembre 2017 e la cui autenticità sembra essere
fuori discussione. Alcuni dei nostri lettori ci hanno chiesto un commento che
non si limitasse alla superficie - o al dibattito ideologico cui abbiamo
assistito -, ma che analizzasse il messaggio che Papa Benedetto, come più volte
lo ha chiamato anche Francesco, ha lanciato e rilanciato specialmente in merito
alla nozione di “Papa emerito” (non ancora chiarita) ed alle circostanze delle
rinuncia cui si fa allusione con un parallelo sconcertante (la prigionia
nazista, eventualmente prevista da Pio XII). Della questione in generale ci
occupammo nel giugno 2016 (Che tipo di “dimissioni” sono quelle di Benedetto XVI?), articolo cui rinviamo e che sembra trovare
conferme in queste rivelazioni del 2017, in cui tornano i riferimenti a titoli
che un rinunciatario al Papato non dovrebbe più avere e a un potere che non
potrebbe più esercitare.
Nella
lettera del 9 novembre 2017, rispondendo ad una critica del Card. Brandmüller sul fatto che “la
costruzione di Papa emerito [è] una figura
che non esiste nella totalità della storia della Chiesa”, Papa Benedetto
non nega trattarsi di una novità, ma quasi si interroga lui stesso e quasi chiede
anche l’avviso dell’interlocutore, noto storico della Chiesa. Fa poi un
parallelo - appunto assai inquietante - con Pio XII e la sua previsione della
prigionia da parte dei nazisti. Papa Pacelli previde infatti un suo ritorno al
cardinalato non appena fosse stato fatto prigioniero. A questo punto Papa
Ratzinger scrive: “Se questo semplice
ritorno al Cardinalato sarebbe stato possibile, non lo sappiamo”. In questo
passaggio a nostro avviso non si sta parlando di una impossibilità metafisica -
chiunque sappia un po’ di teologia o di storia della Chiesa sa che ciò è
possibile -, ma sembra quasi che Papa Ratzinger stia dicendo che colui che
rinuncia al Sommo Pontificato potrebbe non avere poi nessun potere sul ruolo e
sull’eventuale giurisdizione che il rinunciatario può attribuire a se stesso.
“Rinominare” al cardinalato potrebbe spettare in effetti solo al successore. E
ci sembra che il dubbio teologico-canonico invocato verta proprio su questa eventuale
“competenza esclusiva” del successore sul Cardinalato del predecessore.
Ma
Papa Ratzinger va oltre e - nel passaggio successivo della citata lettera -
fuga ogni dubbio sul fatto che egli sia “ridiventato” solo un Cardinale: “Nel mio caso, sicuramente non avrebbe avuto
senso semplicemente reclamare un ritorno al Cardinalato”. Viene addotta una
ragione mediatica che, di per sé, non sembra molto cogente; forse le ragioni
profonde dell’impossibilità del semplice ritorno al Cardinalato sono infatti
anche altrove. O forse si paventavano devastanti campagne mediatiche.
Egli
aggiunge quindi una frase la cui interpretazione non è scontata: “con il Papa Emerito ho cercato di creare una
situazione in cui sono assolutamente inaccessibile ai media e in cui è del
tutto chiaro che esiste un solo Papa”. Anche se, di fatto, due persone distinte sembrano
portare in parte lo stesso titolo e gli stessi simboli.
Una
riflessione s’impone a questo punto, sulla quale torneremo alla fine
dell’articolo. Ovvero se Benedetto XVI di sicuro non è tornato ad essere un
Cardinale e se la rinuncia al munus è
“piena”, vuol dire che Egli è ora soltanto un Vescovo, tra l’altro privo di
giurisdizione sia su un gregge determinato che su qualsiasi altro determinato
battezzato. Ma così sembra non essere, come vedremo in conclusione.
E’
poi stata resa nota la lettera del 23 novembre 2017. Facciamo notare che
vengono pubblicate solo le lettere di cui Benedetto è autore, mentre possiamo
solo fare deduzioni in merito ai testi del Card. Brandmüller, il quale tra l’altro a detta del destinatario sembra
essersi impegnato a non tornare sull’argomento. Appare quindi non impossibile
pensare che l’autore della divulgazione degli scritti non sia Sua Eminenza,
come forse troppo rapidamente sostenuto.
Un
capitolo a parte sono i riferimenti ad una “fine
del mio pontificato”, in un contesto che quasi sembra prolungarlo in certo
modo fino ad oggi, e ad un giudizio - dato nel 2017 - del “mio pontificato nel suo insieme”. I toni sembrano essere quelli di
chi, sinceramente afflitto per l’attuale situazione ecclesiale, eserciti tuttavia
un ruolo che non è solo quello - niente affatto giurisdizionale - della
preghiera. Segue poi nel testo il riferimento (esplicito, documentato e con
tanto di editore, luogo e data di pubblicazione) ad un libro in parte già noto,
ma che dopo tale divulgazione sarà destinato a più ampia circolazione. Si
tratta di “La rinuncia” di Fabrizio
Grasso[1],
un testo che viene evocato in apparenza principalmente in relazione alla
situazione di “agitazione” ecclesiale
creatasi, ma che ha una tesi di fondo che non può qui esser taciuta. Qual è infatti
la tesi di fondo di tale libro che Papa Benedetto ha definito a tal proposito “emblematico”? Secondo le parole del suo
autore: “la tesi [del libro] è che essendoci di fatto due Papi il
ministero si è o allargato o diviso, quindi l’autorità e la potestà si sono
moltiplicate o divise, ma sia nel caso che queste si siano moltiplicate o
divise c’è in atto, e lo vediamo tutti i giorni, lo vediamo nei giornali, un
dispositivo politico che fa sì che Benedetto e Francesco vengono percepiti come
amico o nemico, a seconda delle sensibilità di chi guarda e di chi legge i
gesti dei due Papi e le dichiarazioni dei due Papi, questo significa che
essendoci due Papi, ed essendosi smembrata l’autorità e la potestà che era
primazia di un solo Pontefice la rappresentazione di Gesù Cristo come soggetto
politico come soggetto storico viene meno, perché non sappiamo più a chi fare
riferimento per questa potestà e per questo potere” (abbiamo conservato lo
stile orale della dichiarazione)[2].
Precisiamo
che l’autore del libro “emblematico” Fabrizio
Grasso, sottolinea anche altrove che parlando di “due Papi” si riferisce principalmente
all’agitata situazione politica che si è creata “de facto” e non necessariamente “de iure”. Le sue affermazioni ed altri passaggi della sua tesi
possono essere condivisi solo parzialmente, ma non sono necessariamente in
contraddizione con quanto affermato da Papa Ratzinger ovvero sulla possibilità
di un solo Papa; rinviano piuttosto alla domanda centrale ovvero che, se de facto si è creata una confusione
quasi ci fossero due Papi, è perché de
iure è avvenuto qualcosa di assai singolare, come in fondo rilevava anche Brandmüller.
Papa
Ratzinger prosegue e, dopo un’ammonizione a non valutare frettolosamente e
superficialmente l’insieme del Suo Pontificato a causa della triste situazione
della Chiesa oggi, sembra anche alludere - intelligenti
pauca - a quanto già disse mons. Gänswein a proposito
del “Pontificato d’eccezione”, il che
sembra rimandare ad una situazione straordinaria per la Chiesa sotto molti
aspetti, non ultimo quello della potestas
e del suo esercizio.
La
chiusa di questa seconda lettera va letta attentamente con tutto ciò che essa
implica: “Con
la mia Benedizione apostolica sono
Tuo
Tuo
Benedetto XVI”.
Ora
come noto la Benedizione Apostolica è qualcosa di ben documentato nella storia
e nella prassi della Chiesa, che ha istituito un’Elemosineria che
dell’impartizione di essa si occupa su mandato giurisdizionale del Papa, che
viene demandata dal solo Sommo Pontefice a Vescovi e sacerdoti per circostanze
straordinarie, ma chiunque ne sia l’ultimo ed immediato dispensatore materiale
non è che uno strumento del potere pontificio a lui stabilmente o
transitoriamente trasmesso[3].
Benedizione Apostolica è quindi sinonimo di Benedizione Papale e può essere
impartita solo dal Sommo Pontefice sui suoi soggetti sui quali esercita la
giurisdizione conferitagli da Cristo. Colui che è stato Papa, ma che sarebbe
tornato ad essere un semplice Vescovo e che, per sua stessa ammissione, non è
nemmeno ridiventato Cardinale, non solo di norma non benedice un Cardinale che
è un suo Superiore quanto al potere della giurisdizione, ma di sicuro non
impartisce la Benedizione Apostolica. Facciamo poi notare l’importanza dell’aggettivo
“mia”: non si tratta infatti di una
semplice Benedizione Apostolica che - su delega papale - un prelato può impartire,
ma si tratta della “mia Benedizione
Apostolica” (la quale di per sé comporta anche ordinariamente l’indulgenza
plenaria). Ed è in sé un esercizio di giurisdizione, giurisdizione personale di
chi la sta impartendo. Altrimenti non si può dire “mia”, ma solo “apostolica” o
“papale”.
Gli elementi su cui ragionare non
scarseggiano, inclusa la visita sistematica dei Cardinali novelli a Sua Santità
Benedetto XVI. Ma a prescindere dalla possibilità teologica e canonica di
alcune eventualità di condivisione del potere papale, già invocate nel discorso
di Mons. Ganswein sul “ministero allargato” e dalla possibilità della
distinzione tra “munus” e “ministerium” (cfr.
Che tipo di “dimissioni” sono quelle diBenedetto XVI?), questa lettera fa emergere una domanda :
quale potere giurisdizionale del Beato Apostolo Pietro bisogna aver trattenuto per
sé perché una Benedizione sia al contempo propria (“mia”) e soprattutto “Apostolica”?
La Redazione di “Disputationes Theologicae”
Lettera del 9 novembre 2017 |
Lettera del 23 novembre 2017 |
28 giugno 2018, i nuovi cardinali davanti a Benedetto XVI
[1] F. Grasso, La Rinuncia. Dio è stato sconfitto?, Catania 2017.
[2] Presentazione del libro di Fabrizio Grasso "La rinuncia. Dio è stato sconfitto?" (Algra Editore), 5 settembre 2017, http://www.radioradicale.it/scheda/518241/presentazione-del-ibro-di-fabrizio-grasso-la-rinuncia-dio-e-stato-sconfitto-algra.
[3]
Cfr. Paenitentiaria Apostolica, Enchiridion indulgentiarum, Roma 1999, normae 7 e 18; concessiones 4 e 12; CIC (1917), can 468, § 2; CIC (1983),
can. 530, § 3; Rituale Romanum,
Roma 1952, Tit. VI, Cap. VI, p. 230 e ss.