13 marzo 2012

Mons. Livi: incompatibilità tra teologia cattolica e filosofia hegeliana



Mons. Livi e Benedetto XVI all'Università Lateranense 




Mons. Antonio Livi, decano emerito di filosofia alla Pontificia Università Lateranense, allievo di Etienne Gilson, offre a Disputationes una riflessione sulle conseguenze del dilagare della filosofia hegeliana in ambito teologico.  La familiarità con la philosophia perennis che ha lungamente insegnato ne fa uno dei maggiori epistemologi tomisti; ha recentemente dato alle stampe un testo che vuole andare alle radici concettuali dell’attuale crisi dottrinale: il problema prima ancora che teologico è filosofico. Nel suo recentissimo “Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica scienza della fede da un’equivoca filosofia religiosa denuncia la “teologia” di Teilhard de Chardin, Karl Rahner, Hans Küng e Klaus Hemmerle; egli afferma che è suo compito di filosofo quello di mostrare “falsa” la teologia di chi è nell’incoerenza logica coi principi filosofici essenziali, esprimendo un giudizio sui presupposti filosofici che inficiano qualsiasi trattazione teologica e lasciando al Magistero il compito di condannare.

Nel presente articolo Mons. Livi analizza scientificamente il pensiero del noto teologo italiano Piero Coda, proponendo alcune dense citazioni. Ne emerge un bagaglio d’ispirazione hegeliana e l’improponibile conciliazione con la scienza teologica, che ad esso viene sottomessa; è dunque lecito parlare di “falsa teologia” per chiare ragioni epistemologiche. Ma mons. Livi denuncia anche un aspetto da pochi rilevato nell’attuale confusione immanentista: la comparsa del teologo-vate, oseremmo dire. Ovvero del teologo che non è non più servitore della Verità rivelata, ma autonomo interprete - e addirittura quasi organo - della Rivelazione, trascurando il dato oggettivo della Tradizione, del Magistero della Chiesa e persino della Scrittura. 

S. C.