29 agosto 2014, San Giovanni Decollato
II) Analisi della collegialità in Lumen Gentium 18-22
Lumen
Gentium, la controversa genesi di un testo
Della collegialità episcopale e del
potere pontificio si occupò anche il Concilio Vaticano II nella ben nota “costituzione
dogmatica” Lumen Gentium. Ricordiamo
che quell’aggettivo “dogmatica” sta ad indicare che l’argomento di cui si parla
nella Costituzione è attinente alla teologia dogmatica; si sta specificando che
ciò di cui si parla è materia dogmatica,
non per questo se ne sta parlando
dogmaticamente e definendo infallibilmente. Quell’aggettivo non significa quindi
che ogni assunto contenuto nel documento sia stato dogmaticamente definito, ma
che si sta parlando - non con insegnamento infallibile - di una materia che di
per sé è attinente al dogma. Per intendersi, ci si passi la semplificazione,
anche un professore di teologia dogmatica, seppure con minore autorità rispetto
ad una costituzione conciliare, parla di dogmatica,
ma non definisce nulla dogmaticamente,
in questo caso perché non ne ha facoltà. Diversamente, un Concilio valido ha in
sé la facoltà di definire dogmaticamente con Magistero straordinario
infallibile, ma deve esservi l’espressa ed evidente volontà di definire un
oggetto che la Chiesa ha sempre insegnato e creduto. Non è il caso di Lumen Gentium, benché non si possa certo
escludere che alcuni passi, laddove si ripete ciò che la Chiesa ha sempre
insegnato, attingano la loro infallibilità dal cosiddetto Magistero ordinario
infallibile. Più in generale per il
“valore magisteriale” dei testi conciliari rinviamo agli articoli già
pubblicati dalla nostra rivista nell’apposita sezione (cfr. Quale valore magisteriale per il Vaticano II?), senza dimenticare che il Concilio
stesso non ha chiesto per sé la dogmatizzazione generale avvenuta post eventum, come evidente dalle Notificationes ufficiali del Segretario
Generale del Concilio del 16 novembre 1964[1].
Fatta questa premessa chiarificatrice e
prima di analizzare i brani di Lumen
Gentium relativi alla collegialità e la Nota
Explicativa Praevia (voluta per correggere le erronee, quando non eretiche,
interpretazioni che si erano immediatamente affacciate), va ricordato una volta
di più che la lettura di tali testi non può non tener conto della loro genesi
nelle commissioni o nell’aula conciliare. Il lettore accorto non avrà
difficoltà a notare che due schieramenti si sono scontrati, per così dire, ogni
tre righe. Il risultato non è un testo unitariamente concepito, né una sintesi,
pur variegata, di differenti apporti, ma l’opera finale si rivela piuttosto
come un tessuto eterogeneo : sembra cucito tutto d’un pezzo, ma le stoffe, pur
essendo l’una accanto all’altra, sono differenti per colore e tessitura. Più
che d’una sintesi dunque si ha spesso l’idea marcata di una giustapposizione di
idee e di dottrine non in armonia tra loro. Talvolta è addirittura evidente che
si è cercato d’ “incastrare fra due virgole” delle locuzioni che mal si
conciliano con l’insieme della frase. Locuzioni proposte ora da uno
schieramento ora da un altro per migliorare, correggere, deviare, restringere
od allargare quanto era già stato inserito dalla “controparte”. Scontro
dottrinale che, con un po’ d’attenzione alla sintassi latina e al lessico
utilizzati, lascia tracce visibili nei passaggi linguistici che tradiscono un
autore diverso da quello del pensiero che precede o segue. Il risultato è che
la lettura è a volte faticosa ed esige un’attenzione continua per ovviare all’assenza
d’unitarietà, scientificamente scoraggiante; a fortiori dunque è d’obbligo la prudenza, nondimeno si possono
avanzare osservazioni critiche e sollevare anche seri interrogativi.