A proposito delle recenti dichiarazioni di Mons. Gänswein
24 giugno 2016, San Giovanni
Battista
Abbiamo ricevuto il seguente testo:
Cara Redazione di Disputationes
Theologicae,
ho letto la conferenza di Mons. Gänswein
del 21 maggio scorso sulle “dimissioni” di Benedetto XVI. Che cosa dobbiamo
pensare di un testo del genere? Chi è il Papa ? Sono inquieto per la Chiesa e
prego incessantemente per questa situazione che mi sembra incomprensibile e
quasi apocalittica.
Vi ricordo tutti
nel Rosario
Cesare Bin
Ringraziamo il lettore Cesare Bin per aver scritto alla
nostra Redazione. Fermo restando che sulla legittimità dei Pontificati solo la
Chiesa ha diritto a pronunciarsi in maniera dirimente, resta giusto
interrogarsi sulla natura e le circostanze di un atto “eccezionale”,
soprattutto se esso appare difficilmente inquadrabile in un contesto teologico
e canonico finora noto. In attesa che la Storia ci offra ulteriori dati,
risponderemo proponendo alcune riflessioni, che evidentemente - vista la
complessa e delicata materia - rimangono suscettibili di rilettura anche in
funzione dei futuri pronunciamenti ufficiali dell’autorità ecclesiastica.
Prima d’analizzare il testo di Mons. Gänswein è forse
necessario fare un passo indietro.
Nel 1294 Pietro da Morrone veniva eletto Pontefice con il
nome di Celestino V. L’umile - ed oggettivamente inadeguato - monaco degli
Abruzzi si ritrovava così sul soglio di Pietro. Presto si rese conto di quanto
difficile fosse il compito che aveva accettato e cominciò a riflettere sull’opportunità
d’una rinuncia. Furono interrogati i più insigni canonisti (tra i quali i
Cardinali Benedetto Caetani e Gerardo Bianchi) e - per evitare
accuratamente quei problemi che possono presentarsi quando un Papa regolarmente
eletto resta in vita dopo la rinuncia - si redassero dei documenti d’abdicazione che non lasciassero
adito a dubbi e che specificassero accuratamente che Celestino V lasciava per
sempre il Papato e tutto quanto esso comporta. E’ noto che i Cardinali si
rifiutarono di accondiscendere alle richieste di Celestino che voleva mantenere
l’uso delle insegne pontificali durante le celebrazioni[1].
Egli ridiventava ormai solo Pietro da Morrone e rivestiva il rude sacco
monastico.
Questa per sommi capi la storia di una rinuncia al
Pontificato che si svolse, seppur in vicende travagliate, con una chiarezza
canonica che la fece assurgere a paradigma futuro per gli studiosi di storia
della Chiesa, di teologia e di diritto canonico, fino all’approdo al recente canone
332 del Codice di Diritto Canonico[2].
La scelta di
Celestino però che “era ridiventato
Pietro da Morrone” - ci dice Mons. Gänswein[3]
- non è paragonabile a quella di Benedetto XVI, che ancor oggi deve essere
chiamato “Sua Santità Papa Benedetto XVI”.