22 giugno 2018, San Paolino di Nola
Intercomunione:
le false ragioni dottrinali di Kasper
Molto opportunamente, l’arcivescovo di Philadelphia Charles J. Chaput, di fronte all’eco mondiale suscitata dall’intenzione dell’episcopato tedesco di procedere verso una normativa canonica locale che includa la possibilità, anzi la convenienza, di far accedere alla comunione sacramentale quei protestanti che sono uniti in matrimonio a un coniuge cattolico, ha voluto precisare che la questione non riguarda una singola conferenza episcopale nazionale ma l’intera Chiesa cattolica, ed è una questione che va risolta sulla base della riaffermazione esplicita e senza equivoci del dogma eucaristico. Il vescovo ha dichiarato:
«Chi può ricevere l'eucaristia, e quando, e
perché, non sono solo domande tedesche. Se, come ha detto il Vaticano II,
l'eucaristia è la fonte e il culmine della nostra vita di cristiani e il
sigillo della nostra unità cattolica, allora le risposte a queste domande hanno
implicazioni per tutta la Chiesa. Esse riguardano tutti noi. E in questa luce,
offro questi punti di riflessione e di discussione, parlando semplicemente come
uno dei tanti vescovi diocesani» (Charles
J. Chaput, Un modo gentile di nascondere
la verità, dichiarazioni registrate dal blog “First Things”, Fonte magister.blogautore.espresso.repubblica.it
25/052018).
Il primo,
essenziale «punto di riflessione e di discussione» è evidentemente (Chaput non
lo dice, ma lo dico io con sufficiente certezza morale) l’intenzione
anti-dogmatica e ultimamene anti-ecclesiale che anima le proposte dei vescovi
tedeschi e l’incoraggiamento da essi ricevuto da parte dello stesso papa
Francesco quando hanno interpellato il Vaticano su come procedere, sia nella
prassi che nella dottrina che dovrebbe giustificarla. Per quanto riguarda papa
Bergoglio, a me risulta evidente l’intenzione anti-dogmatica che orienta il suo
pontificato; come egli stesso ha esplicitamente dichiarato (cfr l’esortazione
apostolica Evangelii gaudium), la
strategia di fondo delle sue iniziative pastorali consiste nell’«avviare dei
processi» di presa di coscienza di tutta la Chiesa in vista di una sua radicale
«riforma». Egli ha sempre detto che la Chiesa cattolica deve diventare «una
Chiesa in uscita», «una Chiesa sinodale», capace di portare a compimento il
progetto indicato dal Vaticano II per conseguire finalmente l’unità dei
cristiani (cfr decreto Unitatis
redintegratio, 21 novembre 1964), ma non come
il Concilio e i papi del post-concilio avevano indicato – riaffermando cioè che
la Chiesa di Cristo «subsistit» nella
Chiesa cattolica, con la sua dottrina e i suoi istituti giuridici[1] – ma
al contrario eliminando gradualmente e sistematicamente proprio la sua dottrina
irreformabilmente definita (i dogmi) e i suoi istituti giuridici fondamentali,
visti come ostacolo che finora si è opposto al cammino dell’ecumenismo, in
particolare per quanto riguarda i protestanti. Il cardinale Kasper, che in
Vaticano ha diretto il Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani e con
papa Francesco è divenuto il teologo ufficiale della Santa Sede, ha fatto
ricorso ai più sottili (anche se ingenui) sotterfugi dialettici per
giustificare la rinuncia a mantenere fermi, nel rapporto con i protestanti, il
dogma eucaristico e le norme di diritto canonico più volte confermate
dall’autorità ecclesiastica competente. Recentemente infatti ha scritto: