Disputationes ha chiesto a Mons. Gherardini di riecheggiare la figura
del suo maestro e amico Mons. Antonio
Piolanti. Un debito di riconoscenza ci lega a questo teologo che è noto ai più
per i suoi sapidi e corposi testi di teologia, per il suo stile impareggiabile,
che fonde il calore umano della Romagna, dove nacque, al rigore dottrinale della
Roma Eterna, dove visse e morì. In tanti - purtroppo va detto - hanno voluto
scordarlo: le sue opere, capolavori accessibili e documentati al contempo, sono
in gran parte esaurite e non si cerca di facilitarne la diffusione (è noto lo
“strano” incendio che scoppiò nel deposito delle sue opere…), essa sarebbe un
balsamo per tanti seminaristi e preti che hanno ricevuto una formazione radicalmente
imbevuta d’immanentismo esistenzialista, quando non di vero e proprio
relativismo dottrinale. Anche a questo pensava l’autore, nel solco dei moniti -
inascoltati - del Magistero, Humani Generis specialmente.
L’opera di mons. Piolanti è solido cibo per chi voglia conoscere le Verità
della Chiesa di Cristo, sulle orme di San Tommaso; egli seppe anche rileggere -
senza rigettare niente che fosse buono - certo tomismo reso a volte un po’
ostico e troppo manualistico, parlando sempre della “philophia perennis” con vitalità nuova. Ma più ancora che il
teologo, è l’uomo di Dio che Mons. Gherardini lumeggia in poche, essenziali,
saporose righe. Il professore che ebbe da Dio il dono dell’insegnamento, amava lui
stesso ripetere, non correva dietro a mitre episcopali o facili porpore: per un
uomo come lui - in quei tempi difficili - avrebbero plausibilmente potuto
costargli l’anima. Non era affetto da quella “ambitio mala”, che tanti lutti adduce alla Chiesa, ma da
una sete di verità, che non può essere mai disgiunta dal rispetto del Vicario
di Cristo. Tutta Roma conosce quella sua frase lapidaria, che in punta di
labbra ebbe a pronunciare nelle Sacre Stanze : “bacio la mano che mi bastona”. Il
rispetto dell’autorità ecclesiastica non significa servilismo che svende la
Verità per pochi spiccioli. Mons. Piolanti morì “da monsignore”, da Rettore
emerito del Laterano, nulla più. Aveva sempre amato la Verità. Ma siccome la
verità è ben più perenne del bronzo - e delle piccolezze degli uomini - ci
uniamo al grido di Mons. Gherardini, perché l’ “opera omnia” trovi un editore,
ché tanta manna non vada perduta.
S. C.
ANTONIO PIOLANTI
In memoria
Di Mons. Brunero Gheradini
"Audiamus dominum pratensem" e, con la mano, indicava proprio me, che m'ero appena iscritto ad un suo corso straordinario sull'efficacia dei sacramenti e che ora m'individuava sulla base della mia città di provenienza, Prato. Fu questo l'inizio d'un rapporto che, in breve volger di tempo, si sarebbe trasformato in una vera e profonda amicizia.
Sulle prime, a
dir il vero, mi sentivo un po' a disagio: io, uno studente qualunque, lui uno
dei più celebrati maestri della benemerita "Scuola Romana". Poi, a
distanza di poche settimane, il disagio si dileguò, lasciando il posto ad una
correlazione che, con il passare degli anni, diventò "forte come la morte" (Cant. 8, 6).
S'iniziò così, in effetti, quella reciprocità d'intenti, di stima e di vera
amicizia che ci accompagnò nel comune
impegno per la "sana theologia". Comune, non perché potessimo
dialogare e cooperare da pari a pari: Lui era il colosso, io un pigmeo
qualunque; Lui, il grande e celebrato Maestro, io il giovane
"apprendista" che entrava in punta di piedi nel santuario della
teologia, da Lui più che da altri aperto al mio interesse e alla mia voglia di
sapere. Di vera reciprocità, tuttavia, si trattò. Appena si rese conto che l'accostavo
non per fargli perder del tempo, ma per sottoporgli problemi esclusivamente
teologici e d'autentico orientamento teologico, soprattutto in quella parte
della "sacramentaria" - la causalità dei sacramenti - di cui Egli era
senz'il minimo dubbio un impareggiabile Maestro, fu con me d'una disponibilità
più unica che rara. Non solo si fermava a parlare con me nei corridoi
dell'Università Lateranense, ma prolungava ed intensificava il dialogo
ricevendomi nella sua abitazione o partecipandomi per posta le sue sempre
illuminanti risposte.
Più tardi, già
sacerdote e ordinario di teologia fondamentale, potei avvalermi tanto della sua
disponibilità - che in qualche caso si tramutava in una vera ed evidente gioia
di comunicare all'unisono con gli altri - quanto della sua indiscussa competenza, per metter a fuoco i problemi da me
incontrati nel mio studio e nella mia docenza. L'avevo altamente apprezzato
quand'ebbi l'onore e la gioia di sedermi di fronte alla sua cattedra; non
tanto, però, quanto più tardi potei apprezzarlo nel trattare con lui faccia a
faccia, interpellandolo sui più scottanti problemi del momento o sull'origine
storica dei medesimi. Se grande fu, infatti, la sua statura di teologo, non
inferiore fu quella di storico. Aveva una memoria di ferro; io lo chiamavo il
redivivo Pico della Mirandola - guarda caso, a Roma per vario tempo abitò
proprio in via Pico della Mirandola - e lo qualificavo con lo stesso
soprannome: "la fenice degli ingegni" . Conosceva come non pochi, e
forse pochissimi, i più oscuri anfratti storici dov'eran nati ed avevan attecchito i problemi teologici. Aveva
la gioia di parlarne. Ne indagava cause ed occasioni per giungere ad un fondato giudizio di merito. Che non era mai
scontato. Nessuno - nemmeno io, che gli fui più di altri vicino - era in grado
d'intravederne una risposta o una presa di posizione. Lui, il tradizionalista
per antonomasia, si rinnovava ininterrottamente e quasi portentosamente; basta,
a dimostrarlo, la sua posizione dinanzi a Odo Casel -. Ogni suo giudizio esprimeva
sempre la duplice fonte dalla quale dipendeva: la tradizione, soprattutto
tomista, e il momento storico in cui la calava.
La sua lezione
- così come, del resto, la sua conversazione - era l'esatto opposto di ciò che
gli alunni intendono quando dichiarano: che barba! Sia che parlasse, come quasi
sempre, con uno sciolto e brillante latino, sia che si permettesse alcune
digressioni in italiano, si trattava sempre d'una lezione limpida fin alla
trasparenza. Pochi altri docenti ho conosciuto così facondi come Lui e nello
stesso tempo così dotati di proprietà linguistiche e di rigore metodologico al
servizio della verità teologica. I suoi scritti, che pur risentono della sua
"lezione" a viva voce, non sempre trasmettono le stesse sensazioni
del parlar in libertà, com'Egli faceva anche dalla cattedra. Era un uomo colmo
di sapere nel senso più ampio del termine; la sua lezione lo trasmetteva a
piene mani. Quelle che potrebbero esser giudicate digressioni eran in Lui parti
integranti, se non addirittura essenziali, del suo insegnamento. Tutto, anzi,
era in Lui insegnamento: la sua preparazione specifica, il modo d'atteggiarsi rispettosissimo degli
alunni, il tono stesso della sua voce facevan da sponda allo svolgimento delle
sue tesi: ci si sentiva tutti coinvolti, profondamente e gioiosamente.
Pochi ho
conosciuto che avessero, sulla cattedra, l'autorevolezza di Lui. Senza mai
leggere un rigo di scritto - a meno che non si trattasse di qualche fonte da
riportare per esteso, o di qualche Autore da citare - insegnava parlando liberamente con
cristallina chiarezza, con una inaudita conoscenza della materia e qualche
volta invitando l'uno o l'altro alunno a riecheggiare la lezione ascoltata. Era
un modo, questo, per "ripassare" insieme la materia, a tutto vantaggio
di noi alunni, che sulla scorta delle sue domande, potevamo non solo confermare
quant'avevamo appreso alla sua scuola,
ma anche stabilire con una qualche approssimazione su che cosa e come saremmo
stati poi interrogati in sede d'esami.
Le fonti dalle
quali attingeva il suo sapere teologico erano le più sicure: san Tommaso sopra
a tutti, il "Magister sententiarum", sant'Alberto Magno ed altri
autori del periodo classico. Aveva, però, il contatto con tutta la storia in
genere e con quella teologica in particolare. Sul piano storico, poche persone avrebbero
potuto gareggiare con lui: forse nemmeno i più rinomati cattedratici. Della sua preparazione storica sono
un'evidente testimonianza i suoi scritti: alcuni di natura prettamente storica,
i più di natura teologica, sì, mai però avulsi dalla loro collocazione nella
storia o dal riferimento alla medesima.
Dei grandi
Maestri, in genere, si provvede alla ristampa degli scritti. L' "opera
omnia" di Piolanti attende il curatore generoso che ne prenda l'iniziativa.