27 maggio 2013

Mons. Gherardini ricorda Mons. Piolanti




      Disputationes ha chiesto a Mons. Gherardini di riecheggiare la figura del suo maestro e amico  Mons. Antonio Piolanti. Un debito di riconoscenza ci lega a questo teologo che è noto ai più per i suoi sapidi e corposi testi di teologia, per il suo stile impareggiabile, che fonde il calore umano della Romagna, dove nacque, al rigore dottrinale della Roma Eterna, dove visse e morì. In tanti - purtroppo va detto - hanno voluto scordarlo: le sue opere, capolavori accessibili e documentati al contempo, sono in gran parte esaurite e non si cerca di facilitarne la diffusione (è noto lo “strano” incendio che scoppiò nel deposito delle sue opere…), essa sarebbe un balsamo per tanti seminaristi e preti che hanno ricevuto una formazione radicalmente imbevuta d’immanentismo esistenzialista, quando non di vero e proprio relativismo dottrinale. Anche a questo pensava l’autore, nel solco dei moniti - inascoltati - del Magistero, Humani Generis specialmente.


       L’opera di mons. Piolanti è solido cibo per chi voglia conoscere le Verità della Chiesa di Cristo, sulle orme di San Tommaso; egli seppe anche rileggere - senza rigettare niente che fosse buono - certo tomismo reso a volte un po’ ostico e troppo manualistico, parlando sempre della “philophia perennis” con vitalità nuova. Ma più ancora che il teologo, è l’uomo di Dio che Mons. Gherardini lumeggia in poche, essenziali, saporose righe. Il professore che ebbe da Dio il dono dell’insegnamento, amava lui stesso ripetere, non correva dietro a mitre episcopali o facili porpore: per un uomo come lui - in quei tempi difficili - avrebbero plausibilmente potuto costargli l’anima. Non era affetto da quella “ambitio mala”, che tanti lutti adduce alla Chiesa, ma da una sete di verità, che non può essere mai disgiunta dal rispetto del Vicario di Cristo. Tutta Roma conosce quella sua frase lapidaria, che in punta di labbra ebbe a pronunciare nelle Sacre Stanze : “bacio la mano che mi bastona”. Il rispetto dell’autorità ecclesiastica non significa servilismo che svende la Verità per pochi spiccioli. Mons. Piolanti morì “da monsignore”, da Rettore emerito del Laterano, nulla più. Aveva sempre amato la Verità. Ma siccome la verità è ben più perenne del bronzo - e delle piccolezze degli uomini - ci uniamo al grido di Mons. Gherardini, perché l’ “opera omnia” trovi un editore, ché tanta manna non vada perduta. 

S. C. 


                                                                                                                               ANTONIO PIOLANTI
In memoria

Di Mons. Brunero Gheradini


     "Audiamus dominum pratensem" e, con la mano, indicava proprio me, che m'ero appena iscritto ad un suo corso straordinario sull'efficacia dei sacramenti e che ora m'individuava sulla base della mia città di provenienza, Prato. Fu questo l'inizio d'un rapporto che, in breve volger di tempo, si sarebbe trasformato in una vera e profonda amicizia.


      Sulle prime, a dir il vero, mi sentivo un po' a disagio: io, uno studente qualunque, lui uno dei più celebrati maestri della benemerita "Scuola Romana". Poi, a distanza di poche settimane, il disagio si dileguò, lasciando il posto ad una correlazione che, con il passare degli anni, diventò  "forte come la morte" (Cant. 8, 6). S'iniziò così, in effetti, quella reciprocità d'intenti, di stima e di vera amicizia che ci  accompagnò nel comune impegno per la "sana theologia". Comune, non perché potessimo dialogare e cooperare da pari a pari: Lui era il colosso, io un pigmeo qualunque; Lui, il grande e celebrato Maestro, io il giovane "apprendista" che entrava in punta di piedi nel santuario della teologia, da Lui più che da altri aperto al mio interesse e alla mia voglia di sapere. Di vera reciprocità, tuttavia, si trattò. Appena si rese conto che l'accostavo non per fargli perder del tempo, ma per sottoporgli problemi esclusivamente teologici e d'autentico orientamento teologico, soprattutto in quella parte della "sacramentaria" - la causalità dei sacramenti - di cui Egli era senz'il minimo dubbio un impareggiabile Maestro, fu con me d'una disponibilità più unica che rara. Non solo si fermava a parlare con me nei corridoi dell'Università Lateranense, ma prolungava ed intensificava il dialogo ricevendomi nella sua abitazione o partecipandomi per posta le sue sempre illuminanti risposte.

      Più tardi, già sacerdote e ordinario di teologia fondamentale, potei avvalermi tanto della sua disponibilità - che in qualche caso si tramutava in una vera ed evidente gioia di comunicare all'unisono con gli altri - quanto  della sua indiscussa competenza,  per metter a fuoco i problemi da me incontrati nel mio studio e nella mia docenza. L'avevo altamente apprezzato quand'ebbi l'onore e la gioia di sedermi di fronte alla sua cattedra; non tanto, però, quanto più tardi potei apprezzarlo nel trattare con lui faccia a faccia, interpellandolo sui più scottanti problemi del momento o sull'origine storica dei medesimi. Se grande fu, infatti, la sua statura di teologo, non inferiore fu quella di storico. Aveva una memoria di ferro; io lo chiamavo il redivivo Pico della Mirandola - guarda caso, a Roma per vario tempo abitò proprio in via Pico della Mirandola - e lo qualificavo con lo stesso soprannome: "la fenice degli ingegni" . Conosceva come non pochi, e forse pochissimi, i più oscuri anfratti storici dov'eran nati  ed avevan attecchito i problemi teologici. Aveva la gioia di parlarne. Ne indagava cause ed occasioni per giungere ad un  fondato giudizio di merito. Che non era mai scontato. Nessuno - nemmeno io, che gli fui più di altri vicino - era in grado d'intravederne una risposta o una presa di posizione. Lui, il tradizionalista per antonomasia, si rinnovava ininterrottamente e quasi portentosamente; basta, a dimostrarlo, la sua posizione dinanzi a Odo Casel -. Ogni suo giudizio esprimeva sempre la duplice fonte dalla quale dipendeva: la tradizione, soprattutto tomista, e il momento storico in cui la calava.


      La sua lezione - così come, del resto, la sua conversazione - era l'esatto opposto di ciò che gli alunni intendono quando dichiarano: che barba! Sia che parlasse, come quasi sempre, con uno sciolto e brillante latino, sia che si permettesse alcune digressioni in italiano, si trattava sempre d'una lezione limpida fin alla trasparenza. Pochi altri docenti ho conosciuto così facondi come Lui e nello stesso tempo così dotati di proprietà linguistiche e di rigore metodologico al servizio della verità teologica. I suoi scritti, che pur risentono della sua "lezione" a viva voce, non sempre trasmettono le stesse sensazioni del parlar in libertà, com'Egli faceva anche dalla cattedra. Era un uomo colmo di sapere nel senso più ampio del termine; la sua lezione lo trasmetteva a piene mani. Quelle che potrebbero esser giudicate digressioni eran in Lui parti integranti, se non addirittura essenziali, del suo insegnamento. Tutto, anzi, era in Lui insegnamento: la sua preparazione specifica,  il modo d'atteggiarsi rispettosissimo degli alunni, il tono stesso della sua voce facevan da sponda allo svolgimento delle sue tesi: ci si sentiva tutti coinvolti, profondamente e gioiosamente.

      Pochi ho conosciuto che avessero, sulla cattedra, l'autorevolezza di Lui. Senza mai leggere un rigo di scritto - a meno che non si trattasse di qualche fonte da riportare per esteso, o di qualche Autore da citare  - insegnava parlando liberamente con cristallina chiarezza, con una inaudita conoscenza della materia e qualche volta invitando l'uno o l'altro alunno a riecheggiare la lezione ascoltata. Era un modo, questo, per "ripassare" insieme la materia, a tutto vantaggio di noi alunni, che sulla scorta delle sue domande, potevamo non solo confermare quant'avevamo  appreso alla sua scuola, ma anche stabilire con una qualche approssimazione su che cosa e come saremmo stati poi interrogati  in sede d'esami.

      Le fonti dalle quali attingeva il suo sapere teologico erano le più sicure: san Tommaso sopra a tutti, il "Magister sententiarum", sant'Alberto Magno ed altri autori del periodo classico. Aveva, però, il contatto con tutta la storia in genere e con quella teologica in particolare. Sul piano storico, poche persone avrebbero potuto gareggiare con lui: forse nemmeno i più rinomati cattedratici.  Della sua preparazione storica sono un'evidente testimonianza i suoi scritti: alcuni di natura prettamente storica, i più di natura teologica, sì, mai però avulsi dalla loro collocazione nella storia o dal riferimento alla medesima. 

      Dei grandi Maestri, in genere, si provvede alla ristampa degli scritti. L' "opera omnia" di Piolanti attende il curatore generoso che ne prenda l'iniziativa.