E l’IBP deve «assimilare» questi contenuti. Ecco i
frutti della scelta di arrendersi!
15 novembre 2014,
Sant’Alberto Magno Dottore della Chiesa
Per l’ispezione canonica, ritratti bergogliani su tutti i muri di Courtalain
(anche nella sala da pranzo…)
Le specificità fondatrici
dell’IBP…introvabili
Ci è
giunta ampia documentazione sulla situazione attuale dell’Istituto del Buon
Pastore. Questa documentazione, che pubblichiamo in fondo al presente articolo,
consta di:
1) i due
testi delle conferenze del Segretario della Commissione Ecclesia Dei, illustranti il nuovo “protocollo d’insegnamento” per
il Seminario dell’Istituto;
2) la
lettera del 7 aprile 2014 di Mons. Pozzo al Superiore Generale dell’IBP,
controfirmata dall’abbé Laguérie (che vi annota persino le sue felicitazioni «per questa riuscita molto bella»);
3) il «Rapporto sullo stato
dell’Istituto del Buon Pastore (2008-2013) e prospettive», datato 19
marzo 2014;
4) una
lettera molto significativa a firma del Commissario Forgeot.
Facciamo
notare che nella sua lettera all’abbé Laguérie (Superiore dell’IBP per installamento
forzato dall’esterno) Mons. Pozzo non manca di sottolineare, a proposito delle
due conferenze: «tengo a ripetervi» la
richiesta che «professori e seminaristi
le studino per assimilarne il contenuto». Si tratta dunque delle nuove
linee direttrici della formazione nell’Istituto del Buon Pastore. Al tempo
stesso la “dirigenza-fantoccio” dell’Istituto, nel Rapporto di cui sopra, cita la formula «le sole caratteristiche fondamentali» dell’IBP, ma senza mai
nominarle espressamente, dal che potrebbe venire (illusoriamente, come vedremo)
una qualche impressione di un loro mantenimento.
Analizziamo
dunque le conferenze di Mons. Pozzo, nuovi fari orientatori del Seminario
dell’Istituto, e vediamo cosa resta delle specificità fondatrici, giacché
sarebbe completamente fuori della realtà pensare che la “sensibilità” per il
rito antico, meramente a motivo della sua bellezza e solennità, possa essere
una «sola caratteristica fondamentale» dell’IBP.
Cosa resta della “critica
costruttiva”?
Come è
stato detto tante volte nel 2006 e negli anni seguenti, l’Istituto del Buon
Pastore presentava come proprie specificità - oltre alla carità pastorale ed
ecclesiale richiamata dal nome - la facoltà riconosciuta di una “critica
costruttiva” di certi punti del Concilio Vaticano II (e a maggior ragione dei
successivi sviluppi) e la facoltà, parimenti riconosciuta, dell’utilizzo “esclusivamente” del rito tradizionale,
esclusività che per i membri dell’Istituto era concepita come un impegno
fondante.
Nella
conferenza, dal titolo «Il Concilio
Vaticano II: rinnovamento nella continuità con la Tradizione», cosa resta
del pilastro originario della critica costruttiva? Tale facoltà ne esce ridotta
ai minimi termini, non più di un piccolo accenno sommerso in numerose
affermazioni che vanno in direzione opposta.
Mons.
Pozzo insiste invece sulla mera “ermeneutica della continuità”. Linea che in
teoria, come spesso la si intende, potrebbe essere contrapposta a quella dei
progressisti, ma che nella realtà si è mostrata al riguardo fallimentare: a
riprova basti citare il fatto che un dichiarato “ermeneuta della rottura” come Mons. Tagle ha ricevuto ciononostante la porpora (tornando anche di recente ad
affermare trionfante che «è tornato a
soffiare lo Spirito del Concilio», e senza che venisse messo…“sotto tutela”). Questa soluzione si è
palesata essere così poco convincente che qualcuno, in altissimo loco, ha affermato nella nota intervista a La Civiltà Cattolica che il Concilio
Vaticano II sarebbe stato «una rilettura
del Vangelo alla luce della cultura contemporanea» (uno dei tanti detti e
fatti non propriamente in linea con l’ermeneutica della continuità). L’esigenza
imprescindibile di applicare l’ermeneutica della continuità varrebbe dunque
soltanto per i tradizionalisti ? Di fatto, il peso che Mons. Pozzo attribuisce
alla questione ermeneutica lascia così poco spazio alle possibilità di critica,
benché “seria e costruttiva”, che egli insiste - in una conferenza così ben «riuscita» - ad applicarla in particolare
a Dignitatis Humanae. Benché, come
dice egli stesso, tale Dichiarazione sia uno «dei testi di carattere pratico-pastorale» (p. 8) - che in sé
esigono quindi un assenso di grado inferiore -, neanche questo si può criticare
? Di fatto egli, eludendo le critiche rispettose ma puntuali come quelle di
Mons. De Castro Mayer (cfr. Libertà religiosa: la chiara posizione di Mons. De Castro Mayer), ripropone sostanzialmente le
tesi di Padre Basile del Barroux, tesi che non avevano convinto i primi membri
dell’IBP nel 2006, i quali espressamente ne avevano preso le distanze: adesso i
seminaristi dell’IBP le debbono «assimilare»?
Un altro
esempio: Mons. Pozzo arriva a dire che l’ultimo Concilio sarebbe « in perfetta continuità e fedeltà con la
Tradizione» (p. 2). Una continuità addirittura «perfetta»! Dunque l’ermeneutica della continuità non è neppure, in
tale impostazione, un modo per affrontare il problema di alcuni aspetti del
Concilio Vaticano II e delle successive riforme. Diversi autori ad esempio (tra
cui il Card. Siri), avevano ammesso la presenza in tali testi di alcune
ambiguità, da risolvere appunto con una interpretazione “alla luce della
Tradizione”. No, nemmeno questo: se la continuità è addirittura «perfetta», allora non si tratta neppure
della risoluzione di un problema, ma dell’affermazione - tautologica -
dell’inesistenza del problema. Peraltro una ermeneutica della continuità così
concepita (che non è neppure “il Concilio alla luce della Tradizione”) viene
richiesta non soltanto davanti ai testi del Vaticano II, ma su tutta la linea:
tant’è che il Buon Pastore dovrebbe mettere altresì in luce «la continuità liturgica tra il Vetus Ordo e
il Novus Ordo» (p.3). E ciò dovrebbe essere «assimilato» dai seminaristi!
A tal
punto Mons. Pozzo indica in siffatta ermeneutica la panacea d’ogni problema
ecclesiale, da dire che anche Papa Francesco, come Benedetto XVI e Giovanni
Paolo II, si è espresso «senza equivoci»
sull’ «indifferentismo religioso» (p.
6)! E’ il colmo del trionfo della petizione di principio sulla realtà.
Con che
coraggio dunque si parla ancora di mantenimento delle «sole caratteristiche fondamentali» dell’IBP?
Dunque
la negazione del problema. Perché fare allora la ratzingeriana “riforma della riforma”? Di più: il
Concilio (e più ampiamente, come abbiamo visto) non è un “Superdogma”, afferma Mons. Pozzo richiamando la corrosiva battuta
dell’allora Card. Ratzinger, però viene quasi da pensare che, se non un “Superdogma”, almeno un dogma (benché non
l’unico) lo sia. Infatti in più di un
passaggio della conferenza sembra quasi che tale Concilio venga inserito
nell’oggetto della fede. In questa linea non stupisce che in siffatto protocollo
della formazione dottrinale mons. Pozzo condanni anche una posizione
genericamente «minimalista» sul
Vaticano II, che sottolineerebbe troppo che esso «non è che un Concilio pastorale» (p.8). E’ evidente che questa
linea non è affatto favorevole neppure ad un certo ridimensionamento
dell’ultimo Concilio. Ed è altrettanto evidente - a chi non è accecato
dall’interesse - che la “critica costruttiva” ne esce seppellita, anzi siamo
agli antipodi di questo punto fondativo.
Cosa resta dell’ “exclusive”?
Se
possibile, ancora meno.
Infatti
Mons. Pozzo nella succitata lettera del 7 aprile chiede espressamente una «applicazione del motu proprio Summorum
Pontificum e dell’istruzione Universae Ecclesiae» che sia «senza alcun esclusivismo» . Stentiamo a
credere di come si possa essere tanto accecati dalla doppiezza opportunistica
(che oscilla tra servilismo in pubblico ed estremismo in privato) da non vedere
che la direzione indicata è agli antipodi con l’exclusive. Peraltro, una richiesta così assoluta (“nessun esclusivismo”) è un pozzo senza
fondo, applicabile anche a chi, ad esempio, tenta di utilizzare il nuovo rito
nel modo più tradizionale possibile: giacché anche l’utilizzo esclusivo della
prima delle Preghiere Eucaristiche a scelta (più o meno il Canone romano) è
comunque un esclusivismo. Anche l’escludere
il decimo Prefazio, quello ereticale in cui si
dice «l’umanità intera entrerà nel tuo (di
Dio) riposo», sarebbe comunque un escludere…Dove si arriva per questa
strada, se non al disarmo assoluto di ogni resistenza cattolica?
In
questa prospettiva, «bisogna mettere in
rilievo l’intima convergenza delle due forme» (p.5) e inoltre, sarebbe «fortemente consigliata» la
concelebrazione dei sacerdoti aderenti al Vetus
Ordo che operano nelle diocesi (p.7). E’ vero che ufficialmente viene dato
come un consiglio e non come un obbligo, non come un impegno. Tuttavia è assai
poco rassicurante quell’avverbio, «fortemente»,
e soprattutto preoccupante è il contesto che emerge dall’affermazione di mons.
Pozzo, la quale getta su tutto l’insieme una luce alquanto sinistra.
Egli
infatti fa comparire una strana e inquietante spiegazione “ermeneutica”: il Vetus Ordo non è mai stato abolito in sé (p.4) e questo perché, viene
precisato alquanto riduttivamente, la Chiesa «non abolisce una forma in quanto tale», però «l’autorità della Chiesa limita o restringe l’uso dei testi liturgici»;
è ciò che di fatto «si è verificato negli
anni del dopo-Concilio» e tutti devono obbedienza a questo genere di misure
restrittive (p. 4), che di fatto possono non permettere, in certi tempi o ad alcuni
soggetti, la celebrazione della Messa tradizionale, sebbene questa, in sé, resti “mai abolita”. Si tratta,
plausibilmente, di una ermeneutica della continuità così esasperata (non è
anche questa «ideologizzazione»?) da
voler vedere continuità anche tra il motu proprio Summorum Pontificum (col suo “mai abolita”), e la notoria recente
proibizione di tale celebrazione a qualche Ordine, sebbene biritualista ed
anche cultore dell’obbedienza cieca. Ma
- di fatto - un tale discorso ha pure il tono di un avvertimento: nella realtà
concreta, la Messa tradizionale può essere tolta.
Non si
vede proprio come avvertimenti del genere possano non costituire un pericoloso
condizionamento psicologico, anche in rapporto ai forti inviti a concelebrare. Condizionamento
anche connesso al ricordo delle ordinazioni sacerdotali che la Commissione,
d’accordo col Commissario Forgeot e con l’abbé Aulagnier, ha bloccato - il 10
giugno 2013 - la sera prima della celebrazione! Due diaconi del Buon Pastore
hanno saputo alla fine del loro ritiro preparatorio all’ordinazione, che
l’indomani alle ore 9 non sarebbero divenuti sacerdoti; hanno dovuto rimandare
a casa i genitori (venuti dal Brasile), annullare le prime Messe, e ciò «per cause politiche», fu detto
esplicitamente. Violando senza remore lo stesso canone 1030 (CIC).
Non si
vede dunque come una «assimilazione»
nell’insegnamento di un siffatto discorso, peraltro in un contesto del genere,
possa essere compatibile con il carisma originario dell’Istituto, che - con
l’autorizzazione del Santo Padre - aveva nell’exclusive uno dei punti fondamentali.
Il rinnegamento del carisma
originario dell’IBP, direttamente…
Gli attuali
Superiori dell’IBP, sono forse d’accordo sul prendere questa strada? In cuor
loro, certo che no: tant’è che (con uno stile che non ci appartiene) in privato
parlano di mons. Pozzo in termini pesantemente offensivi e si definisce la “Nuova
Messa” con espressioni irripetibili. Nelle conferenze interne ai seminaristi,
l’abbé Aulagnier (ancora nel 2014!) ha affermato - con singolare esegesi
dell’Apocalisse - che: «la bestemmia che
esce dalla bocca della Bestia è la Nuova Messa», ed egli è stato nominato
d’ufficio da Dom Forgeot Rettore del Seminario (e questa sarebbe una cosa
seria?). Eppure, nei discorsi pubblici l’abbé Laguérie parla di Mons. Pozzo
come “il nostro protettore” e in un
testo ufficiale quale il sopracitato «Rapporto
sullo stato dell’Istituto del Buon Pastore (2008-2013) e prospettive» si
parla di «sostegno costante » da
parte di Roma all’Istituto, asserendo che ciò l’avrebbe «mantenuto intatto sulle sue basi solide»!
In
questo documento, i Superiori chiedono sì «il
favore (sic!) di prorogare i suoi
Statuti allo stato e di accordargli (all’Istituto, ndr) il riconoscimento
definitivo da parte della Santa Sede», ma questi, come evidente nel quadro
appena esposto, sarebbero comunque completamente svuotati. Gli Statuti attuali
resterebbero, eventualmente, giusto per la facciata (anche per le obiezioni
pubbliche mosse a queste manovre da alcuni contestatori
di nostra conoscenza…). E ciò è tanto oggettivamente fondato che in questo
documento dei “Superiori-marionetta” dell’IBP si legge che qualche modifica
degli Statuti «potrebbe apparire
auspicabile a lungo termine», tuttavia « non è ravvisabile oggi e potrebbe essergli fatale». Ed è notevole
che una tale affermazione (si possono
cambiare, però non oggi) compaia subito dopo il seguente periodo, che
chiaramente fa riferimento a quella che fu la nostra resistenza interna, quando
era giusto tentarla: «l’Istituto del
Buon Pastore ha bisogno di un periodo di calma, di lavoro, di perfezionamento
delle virtù del rispetto, dell’obbedienza (interna ed esterna), talvolta ben
maltrattate in passato».
Ed è
tanto vero che le voci critiche non sono ammesse che nella documentazione in
oggetto abbiamo trovato anche, in forma esplicita, quanto nella sostanza già
sapevamo: il Commissario dell’IBP, Abbé Antoine Forgeot, autore di quello che
uno dei presenti alla votazione (cfr. Quali conseguenze dall’alterazione del corpo elettorale dell’IBP e La cosiddetta “elezione” dell’abbé Laguérie) chiamò “il golpe di Fontgombault”, il 29 settembre 2013 ha scritto alla
Segnatura per «far tacere» un
sacerdote dell’Istituto, don Stefano Carusi, «molto proceduriero e contestatore». A parte la ovvia tendenza a personalizzare,
rileviamo lo stupefacente fastidio per l’attenzione alla correttezza delle
procedure canoniche (del resto, va di moda…); ma notiamo anche il sano condizionamento
che, evidentemente, le obiezioni dei resistenti hanno rappresentato.
I
Superiori re-installati dall’esterno, invece, hanno qualcosa da ridire sull’assimilazione
di un tale protocollo dottrinale? E, non limitandoci ai documenti: hanno
qualcosa da dire sugli scandali dell’attualità ecclesiale, per esempio al Sinodo?
L’abbé de Tarnouarn per esempio, che essi chiamano “la sinistra dell’IBP” e che
non è sulle nostre posizioni, questa onestà intellettuale l’ha avuta sul suo
blog con articoli documentati. Disputationes
Theologicae ha scritto : andiamo «Alle
radici del veleno sinodale», richiamando alcuni dei propri studi contro la
“Nuova teologia”. E i Superiori dell’IBP? Oppure, anziché resistere lealmente a siffatte
pressioni, essi hanno scelto la via doppia di mostrarsi allineati (e persino
laudatori) ufficialmente e di lasciare la critica - che per compensazione è
violentissima e distruttiva - alla sfera privata ? E quanti all’IBP dicono
d’ispirarsi allo spirito romanamente combattivo di Mons. De Castro Mayer, hanno
qualcosa da dire?
Noi
saremo «molto procedurieri e contestatori»,
ma sta di fatto che abbiamo sostenuto a viso aperto delle tesi, abbiamo
realizzato degli studi sulle questioni in oggetto, in cui una sana critica
abbiamo tentato di realizzarla e nel contempo abbiamo tentato di indicare come
le specificità dell’Istituto possono essere compatibili con le norme vigenti (cfr. ad esempio Il rito proprio e l’ermeneutica della continuità sono sufficienti? e Novus Ordo Missae: la legittimità di esprimere con franchezza il proprio pensiero teologico). Loro?
….e indirettamente
C’è
anche un’altra modalità per annullare il carisma fondativo dell’Istituto,
rinnegandolo pur volendo magari salvare il proprio orgoglio: e risiede nella
scelta di alcuni sacerdoti, evidentemente in dissenso con i superiori
“ufficiali” dell’IBP, di andarsene individualmente altrove.
Nel Rapporto
sullo stato dell’Istituto (da cui si evince anche che la “contropartita” dell’apertura
di nuovi apostolati lascia molto a desiderare, vedi tra gli altri il caso di Zarate-Campana
in Argentina…) si dice che «due dei
nostri sacerdoti incardinati e uno che stava per esserlo, tutti e tre
scoraggiati, hanno così raggiunto la Fraternità San Pio X». Notiamo en passant che della FSSPX nel Rapporto si parla come di «gruppi «scismatici» » da non «confortare manifestamente nel loro funesto
errore» (è significativa la sintonia con qualche frase di Mons. Pozzo nel
suo ufficio a Roma), allorquando in altre occasioni l’abbé Laguérie si è
espresso sulla FSSPX ben diversamente.
Altri
sacerdoti dell’Istituto sono andati nella Fraternità San Pietro o in maniera
individuale nelle Diocesi.
E’
chiaro (o dovrebbe esserlo) che se ci si dissolve altrove, evidentemente non si
è saldi nella propria identità. Non si ritiene di avere qualcosa di specifico
da dire.
Per non annullare questo carisma
In
questo quadro, come si può dire che il “restare
dentro”, come un assoluto, è automaticamente la via per conseguire maggiori
risultati? Quanto sopra portato alla luce, testimonia l’esatto contrario. Il
vero risultato che si ottiene imponendo o accettando questa via ben nota (ed è
proprio il caso di dirlo : errare humanum
est perseverare diabolicum) è quello di rendere, nell’ambito tradizionale,
alcuni complessati e timorosi di non essere abbastanza “allineati” (quello che all’IBP chiamavamo “complesso dell’integrato”), altri - in un vortice estremista - esasperati.
La
conclusione da trarne però non è quella di rassegnarsi
alla morte di quelle specificità fondative. Proprio per questo i vecchi
Resistenti dell’IBP sono rimasti insieme, riuniti nella San Gregorio Magno, continuando una testimonianza in favore di
quelle specificità che nel 2006 furono la ragion d’essere dell’Istituto, e di
cui vanno fieri.
A fronte
di quel doloroso annullamento, quando per la via dell’opportunismo e quando per
quella complementare dello scoraggiamento, possiamo invece trovare nella
documentazione in disamina degli elementi che mostrano come la nostra
testimonianza, pur modesta, è tutt’altro che vana.
Ad esempio, ci si esporrebbe a rivolgersi al
Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica - facendo affermazioni così
pesanti, specialmente per un religioso, quali “fateli tacere” - se la testimonianza rappresentata dalle nostre
obiezioni fosse stata senza effetti? Ovviamente siamo ben consapevoli dei
contraccolpi ai quali questa franchezza ci può esporre, pazienza…
E per
quale motivo mai c’è stato trasmesso questo materiale, evidentemente da confratelli
che ancora stanno dentro l’IBP, se non proprio ritenendo che noi - a differenza
loro che hanno le mani e la bocca legati - possiamo porre pubblicamente le
questioni?
Davanti
a questo multiforme annullamento, riproponiamo il manifesto fondativo della
nostra giovane comunità (link).
Associazione chierici “San Gregorio Magno”
Documenti
n. 1)
Conferenze del Segretario della Commissione Ecclesia
Dei:
n. 3) “Rapport sur
l’état de l’Institut du Bon Pasteur (2008-2013) e perspectives”, datato 19
marzo 2014: introduzione e conclusione;