25 gennaio 2021

«Salvaci dalla dannazione eterna»

 Che fine ha fatto il dogma dell’inferno?

 25 gennaio 2021, Conversione di San Paolo

 

Dannati all’Inferno, San Brizio (Cappella Nova), Duomo di Orvieto

Nel giorno della Conversione di San Paolo pubblichiamo un articolo scritto negli anni scorsi e recentemente trasmessoci, constatando con dolore un ulteriore peggioramento della situazione generale. Il Concilio Vaticano Terzo del Card. Martini infatti - l’abusivo Concilio Vaticano Terzo, spalleggiato dal mondo e non combattuto o non combattuto adeguatamente dalla gerarchia - ha potuto dilagare per decenni nella Chiesa ed oggi è asceso al vertice umano di Essa (NdR).

 

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«[Oggi] il mondo si trova inghiottito terribilmente nella palude di un secolarismo che vuole creare un mondo senza Dio; di un relativismo che soffoca i valori permanenti e immutabili del Vangelo e di un’indifferenza religiosa che resta imperturbabile di fronte ai beni superiori e alle cose che riguardano Dio e la Chiesa. […] Alcuni mesi prima della sua elezione al Soglio Pontificio, il cardinale Karol Wojtyla diceva: “Ci troviamo oggi di fronte al più grande combattimento che l’umanità abbia mai visto. Non penso che la comunità cristiana l’abbia compreso totalmente. Siamo oggi davanti alla lotta finale tra la Chiesa e l’Anti-Chiesa, tra il Vangelo e l’Anti-Vangelo”. Una cosa è tuttavia certa: la vittoria finale appartiene a Dio e ciò si verificherà grazie a Maria, la Donna della Genesi e dell’Apocalisse che combatterà alla testa dell’esercito dei Suoi figli e figlie contro le forze del nemico, di Satana, e schiaccerà la testa del serpente» (Cardinale Ivan Dias, come Legato Pontificio, omelia a Lourdes dell’Immacolata 2007).

 

La gnosi (madre di tutte le eresie, dei poteri occulti…) «non ha, da un certo punto di vista, difficoltà a insinuarsi nel pensiero cattolico, anche a livello superiore. […] Aldo Natale Terrin, indagando il postmoderno, sostiene che la Chiesa odierna vivrebbe nell’accettazione di una doppia appartenenza: poter essere cattolica (ma in che modo?) e altro nello stesso momento, vantando di accedere ormai impunemente ad altre fonti. Non solo sarebbe accettata nel suo interno ai vari livelli, ma la doppia appartenenza farebbe parte della proposta stessa della Chiesa all’uomo contemporaneo: è un patto tacito, interno ed esterno» (Un docente dell’ “Università del Papa”, intervista a 30 giorni di maggio 2003).

 

I pericoli che un grande porporato (che morì «triste» e con «un grande rimorso») annotò a margine del Vaticano II, come collegati al prevalente orientamento conciliare. Nel clima immediatamente seguente l’allocuzione Gaudet Mater Ecclesia, «un’aria di evidente e concitato malessere», l’autorevole testimone vide e previde: il «gettare in una zona oscura i grandi problemi dell’ortodossia», in nome del «pastoralismo» dato erroneamente per necessità; la «formazione di due punti di pressione (biblica-razionalista, misticismo a tendenza carismatica)» che tendono a «eliminare» la sana dottrina; la tendenza a «rispondere a un mondo ateizzato sulla trincea protestante» (Benny Lai, Il Papa non eletto. Giuseppe Siri cardinale di Santa Romana Chiesa).

                              

                                                                                    

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«Padre Clementissimo […] disponi nella Tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti». Così recita l’antichissimo Canone Romano, più o meno riportato dal Vetus Ordo Missae nel Novus Ordo Missae (in cui - avrebbe detto il Papa Paolo VI all’amico filosofo francese Jean Guitton - gli ha dato il primo posto. E, in effetti, vi reca il nome di Preghiera Eucaristica Prima).

 

Dunque adesso che la Santa Messa non è più abitualmente in latino – ciò essendo generalmente ritenuto l’essenza della riforma liturgica fatta in nome del Concilio Vaticano II – queste parole risuoneranno più fortemente, finalmente capite dal popolo?

 

In realtà le cose stanno diversamente: questa supplica, e questa confessione della «fede cattolica trasmessa dagli Apostoli», sono generalmente scomparse.

 

Quello che nell’antichissimo Messale tradizionale, anche rinnovato, era il Canone è diventato uno dei Canoni (a scelta, “a libera scelta”, ufficialmente del celebrante). È diventato appunto, ufficialmente, la Preghiera Eucaristica Prima.

 

«Prima», dunque quella che si dirà di più? Avranno magari pensato in molti. Soprassedendo per tali rassicurazioni su tale declassamento, su tale slittamento e, più ampiamente, sulle riserve sulla riforma liturgica storica[1]Nella realtà, spesso è diventata la Preghiera Eucaristica ultima.

 

Mentre non è raro sentire quel Prefazio, il cui senso logico ovvio e comunque l’idea che dà è la negazione dell’inferno e la proclamazione della salvezza universale soggettiva.

 

Insomma: nella tendenza prevalente, silenzio sul dogma cattolico mentre risuona l’incoraggiamento dell’eresia anticattolica. Quel che esce da tale combinato non è, nella realtà, una proclamazione a rovescio? Chi è colui che, per antonomasia, mette le cose a rovescio?

 

Forse le cose vanno generalmente meglio nella predicazione, nelle omelie? Perché, tra i tanti mali di cui gli uomini di Chiesa parlano tanto, omettono così spesso di richiamare il più dimenticato: l’inferno? Perché, al contrario, si sente così spesso un parlare che favorisce la sua negazione?

 

Si metta a confronto il seguente brano del Magistero (e se ne noti il tenore stretto e asseverativo) con la realtà corrente nella Chiesa; brano in cui, peraltro, si risponde all’allusivo sofisma frequentemente abbozzato in replica (o non-replica): basarsi sulla paura dell’inferno!...

 

Dall’allocuzione di S.S. Pio XII ai parroci e quaresimalisti di Roma, 23 marzo 1949: «È vero che il desiderio del Cielo è un motivo in se stesso più perfetto del timore delle pene eterne; ma non ne segue che per tutti gli uomini sia anche il più efficace». Non si dice certo che questo debba essere l’unico tema della predicazione; ma se Nostro Signore Gesù Cristo, il Verbo fatto carne e il Buon Pastore insieme, nell’Evangelo ne ha parlato e non poco, può sostanzialmente tacerne chi sull’Altare agisce in persona Christi? «[La predicazione sull’inferno] non solo non ha perso nulla della sua opportunità anche ai nostri giorni ma è diventata persino più che mai necessaria e urgente […] e non c’è alcuna circostanza di tempo che possa diminuire il rigore di questo obbligo. Esso obbliga in coscienza ogni sacerdote», e la Dottrina cattolica sull’inferno va annunciata e insegnata «senza alcuna attenuazione».

 

Sarebbe ottuso misconoscere che la situazione di oggi è in parte diversa da quella ancora dei tempi di Pio XII: quelli erano, diffusamente, i tempi di «una fede diminuita», «una diminuzione del fervore»; questi sono i tempi della «grande apostasia» (sicché, come disse a Fatima Giovanni Paolo II, ad essere «sottomina[te]» sono «le basi stesse» della salvezza: già le fondamenta, già i presupposti del discorso… e il quadro generale non è lo stesso. Questo è un aspetto reale. Ma dalla messa a confronto di tale insegnamento con la realtà ecclesiale corrente, non emerge forse un impressionante contrasto? Non emergono forse problemi, dubbi e domande radicali sulla rottura nella prassi dell’unità cattolica, che è innanzitutto unità nel tempo? Quale comunione con parti numerosissime dell’unica Chiesa di Cristo, quali la Chiesa trionfante e la Chiesa purgante?

 

E che le idee passino attraverso la Prassi è un vecchio metodo marxista (i modernisti sostituiscono alla parola Prassi la parola Pastorale, la dinamica è quella).

 

Che dire però della mezza risposta, frequentemente abbozzata anch’essa, per cui tale scomparsa sarebbe giustificata dal Magistero attuale (o meglio, dal Magistero recentemente espresso)?

 

In primo luogo, bisogna distinguere tra opinioni personali (anche di persone molto in alto) e Magistero (sebbene un contrasto a riguardo sia problematico). Le parole, i gesti, le scelte hanno gradi di ufficialità e autorevolezza molto diversi.

 

Poi va rilevato che il Magistero recentemente espresso ha dichiarato ufficialmente, più volte, di non volersi sostituire a quello lungamente espresso, bensì di lasciarlo intatto.

 

E inoltre, prendiamo ad esempio testi quali il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: promulgati quest’ultimo nel 1992 dal Papa Giovanni Paolo II e il primo nel 2005 dal Papa Benedetto XVI su mandato (nel 2003) di Giovanni Paolo II; con stretto riferimento al Concilio Vaticano II (1962-1965) e al Sinodo dei Vescovi (1985). In un testo piuttosto breve quale è il Compendio si parla dell’inferno ai punti 74, 125, 212, 213 e in Appendice.

 

Dunque il Magistero conciliare e postconciliare non giustifica comunque tale scomparsa: a torto la prevalente tendenza progressista (e certo tradizionalismo “duro”) dice o insinua, ideologicamente e faziosamente, questo.

 

D’altra parte, però, pensiamo e chiediamo: la corrente centrista (e certo tradizionalismo “moderato” o piuttosto servile) ha pienamente ragione nell’assicurare che i testi del Magistero autentico recente non c’entrano nulla con tali deviazioni? (Le quali certamente oltrepassano, strumentalizzano o ignorano gli atti ufficiali).

 

Ad esempio, prendiamo il n.212 del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (marzo-giugno 2005). «In che cosa consiste l’inferno? Consiste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale. La pena principale dell’inferno sta nella separazione eterna da Dio, nel quale unicamente l’uomo ha la vita e la felicità, per le quali è stato creato e alle quali aspira. Cristo esprime questa realtà con le parole: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno” (Mt 25,41)». Solo un esempio: da un lato, quel «principale» viene a dire, logicamente, che la pena del danno (la più grande, vero) non è l’unica pena dell’inferno; dunque in esso c’è anche qualche altra pena, ed è quella del senso. D’altro lato, vi è espresso soltanto tramite un rimando, e pure indiretto; lasciato alquanto nell’ombra. Questo non è già antitradizionale? Giacché lo sviluppo omogeneo della Dottrina cattolica è per esplicitazione, dalla ghianda alla quercia, e non viceversa; a fronte poi di minacce a verità di fede che fino a quel punto erano in stato di placida possessio, la Chiesa sempre e ovunque ha reagito “mettendo sul lucerniere” il bene pericolante. Professandolo in maniera più chiara, più formale, più esplicita. Non certo in maniera più ambigua, carente e comunque più implicita. Qui, accade ancora questo o piuttosto il suo contrario? E ciò persino in un testo la cui ratio è l’intenzione – per sé lodevole – di mettere un argine alla perdita del contenuto dottrinale della fede, dilagante. Non è già questo un mezzo ribaltone contro la Tradizione cattolica?




[1] Perplessità che ancora nel Sinodo del 1967 si palesarono non soltanto diffusamente presenti, ma addirittura maggioritarie, bocciando la linea liturgica di mons. Bugnini.