Leone XIII risponde in “Quod apostolici muneris”
30 novembre 2020, Sant’Andrea Apostolo
È noto che è in voga una nuova forma di “socialismo ecclesiale” che distilla il peggio degli errori della Rivoluzione francese, del socialismo e del comunismo, mettendo il nome cristiano al servizio del mondialismo massonico e rileggendo addirittura la storia della salvezza in chiave da ambientalismo à la page. Basta leggere i titoli del quotidiano dei Vescovi italiani, Avvenire, alla pubblicazione del documento “Fratelli tutti”.
Per
rispondere ai nostri lettori sul tema evocato, vorremmo, prima di entrare nello
specifico di certi argomenti, proporre una lettura poco nota di Leone XIII, la
quale ci sembra di grande efficacia e di carattere quasi divulgativo oltre che
di gustosa lettura: l’enciclica “Quod
Apostolici muneris”. Tale documento - indubitabilmente magisteriale
rispetto a tante esternazioni di oggi di dubbia autorità - è più snello della
pur importantissima e fondamentale enciclica Rerum Novarum ed appare non solo una solida ed accessibile base per
impostare le successive discussioni in materia di filosofia politica, ma si
distingue anche per i modi schietti d’esposizione. La distanza abissale da quei
testi cui ci ha abituato l’attuale situazione ecclesiale appare in tutta la sua
evidenza, indicandoci anche lo stile che sarebbe opportuno adottassimo in tale
battaglia per un’intelligenza cristiana delle cose, chiamando i nemici della
Chiesa col loro nome. Contro la decomposizione del pensiero, cui ci ha abituato
il modernismo in fase terminale, coi suoi testi privi di nerbo logico e di una
qualsivoglia architettura del discorso, è un documento che aiuta a strutturare
il proprio pensiero sulla verità per poi valutare la critica all’errore, anche
nella sua evoluzione contemporanea. E ciò anche tenuto conto di quell’anguilla
che è il modernismo, il quale non sempre si lascia afferrare.
La Redazione di “Disputationes Theologicae”
QUOD APOSTOLICI MUNERIS
LETTERA
ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII
Già dall’inizio del Nostro
Pontificato, secondo quanto richiedeva la natura dell’Apostolico ministero, con
Lettera enciclica a Voi indirizzata, Venerabili Fratelli, segnalammo la
micidiale pestilenza che serpeggia per le intime viscere della società e la riduce
all’estremo pericolo di rovina; indicammo contemporaneamente i rimedi più
efficaci per richiamarla a salute e per salvarla dai gravissimi pericoli che la
sovrastano. Ma nel giro di poco tempo crebbero talmente i mali che allora
deplorammo, da sentirci ora costretti a rivolgervi di nuovo la parola, come se
alle Nostre orecchie risuonasse la voce del Profeta: "Grida, non darti
posa; alza la tua voce come una tromba" (Is 58,1). Comprendete facilmente,
Venerabili Fratelli, che Noi parliamo della setta di coloro che con nomi
diversi e quasi barbari si chiamano Socialisti, Comunisti e Nichilisti, e che
sparsi per tutto il mondo, e tra sé legati con vincoli d’iniqua cospirazione,
ormai non ricercano più l’impunità dalle tenebre di occulte conventicole, ma
apertamente e con sicurezza usciti alla luce del giorno si sforzano di
realizzare il disegno, già da lungo tempo concepito, di scuotere le fondamenta
dello stesso consorzio civile. Costoro sono quelli che, secondo le Scritture
divine, "contaminano la carne, disprezzano l’autorità, bestemmiano la
maestà" (Gd 8), e nulla rispettano e lasciano integro di quanto venne
dalle leggi umane e divine sapientemente stabilito per l’incolumità e il decoro
della vita. Ai poteri superiori (ai quali, secondo l’ammonimento dell’Apostolo,
conviene che ogni anima si tenga soggetta, e che da Dio ricevono il diritto di
comandare) ricusano l’obbedienza e predicano la perfetta uguaglianza di tutti
nei diritti e negli uffici. Disonorano l’unione naturale dell’uomo e della
donna, rispettata come sacra perfino dai barbari, e indeboliscono e anche
lasciano in balìa della libidine il vincolo coniugale per il quale
principalmente si mantiene unita la società domestica. Presi infine dalla
cupidigia dei beni terreni, che "è radice di tutti i mali, e per amore
della quale molti hanno traviato dalla fede" (1Tm 6,19), impugnano il
diritto di proprietà stabilito per legge di natura, e con enorme scelleratezza,
dandosi l’aria di provvedere e di soddisfare ai bisogni e ai desideri di tutti,
si adoperano per rubare e mettere in comune quanto fu acquisito o a titolo di
legittima eredità, o con l’opera del senno e della mano, o con la frugalità
della vita. Rendono pubbliche queste mostruose opinioni nei loro circoli; le
consigliano nei libercoli; le diffondono nel popolo con un mucchio di gazzette.
Pertanto si è accumulato tanto odio della plebe sediziosa contro la veneranda
maestà e l’impero dei Re, al punto che scellerati traditori, sdegnosi di ogni
freno, più volte a breve intervallo di tempo, con empio ardimento rivolsero le
armi contro gli stessi Sovrani.
Queste audaci macchinazioni degli empi, che ogni giorno minacciano all’umano consorzio più gravi rovine e tengono in ansiosa trepidazione l’animo di tutti, traggono principio e origine da quelle velenose dottrine che, sparse nei tempi passati quali semi malsani in mezzo ai popoli, diedero a suo tempo frutti così amari. Infatti Voi ben conoscete, Venerabili Fratelli, che la guerra implacabile mossa fin dal secolo decimosesto dai Novatori contro la fede cattolica, e che venne sempre crescendo fino ai giorni nostri, ha per scopo d’aprire la porta a quelle idee e, per dir più propriamente, ai deliri della ragione abbandonata a se stessa, eliminata ogni rivelazione e rovesciato ogni ordine soprannaturale. Tale errore, che a torto prende nome dalla ragione, siccome solletica e rende più viva l’innata bramosia d’innalzarsi, ed allenta il freno ad ogni sorta di cupidigie, senza difficoltà s’introdusse non solo nella mente di moltissimi, ma giunse anche a penetrare ampiamente nella società civile. Quindi con empietà nuova, sconosciuta perfino agli stessi pagani, si costituirono Stati senza alcun riguardo a Dio ed all’ordine da Lui prestabilito; si andò dicendo che l’autorità pubblica non riceve da Dio né il principio, né la maestà, né la forza di comandare, ma piuttosto dalla massa popolare la quale, ritenendosi sciolta da ogni legge divina, tollera appena di restare soggetta alle leggi che essa stessa a piacere ha sancite.
Combattute e rigettate come
nemiche della ragione le verità soprannaturali della fede, si costringe lo
stesso Autore e Redentore del genere umano ad uscire insensibilmente e a poco a
poco dalle Università, dai Licei e dai Ginnasi e da ogni pubblica consuetudine
della vita. Infine, messi in dimenticanza i premi e le pene della eterna vita
avvenire, l’ardente desiderio della felicità è stato rinserrato entro gli
angusti confini del presente. Con queste dottrine disseminate in lungo e in
largo, e con tale e tanta licenza d’opinare e di fare accordata dovunque, non
deve recare meraviglia che gli uomini della plebe, stanchi della casa misera e
dell’officina, anelino a lanciarsi sui palazzi e sulle fortune dei più ricchi;
non deve recare meraviglia che, scossa, vacilli ormai ogni pubblica e privata
tranquillità, e che l’umanità sia giunta quasi alla sua estrema rovina.
Ma i supremi Pastori della
Chiesa, ai quali incombe il dovere di difendere dalle insidie nemiche il gregge
del Signore, si adoperarono per scongiurare tempestivamente il pericolo e per
provvedere all'eterna salute dei fedeli. Infatti, non appena si cominciarono a
formare le società segrete, in mezzo alle quali fin d’allora covavano i germi
degli errori che abbiamo rammentato, i Romani Pontefici Clemente XII e
Benedetto XIV non omisero di scoprire gli empi disegni delle sette e
d’avvertire i fedeli di tutto l’universo della rovina che nell’oscurità si
preparava. E quando poi coloro che si vantavano del nome di filosofi vollero
concedere all’uomo una libertà sfrenata, e si prese ad inventare un nuovo
diritto e a stabilirlo contro ogni legge naturale e divina, il Papa Pio VI di
felice memoria mostrò immediatamente con pubblici documenti la malvagia indole
e la fallacia di quei principi, e contemporaneamente con Apostolica
antiveggenza vaticinò le rovine alle quali sarebbe stato tratto il popolo
miseramente ingannato. Però, non essendosi in alcun modo provveduto a che
quelle prave teorie non venissero instillate ogni giorno più nelle menti dei
popoli e non entrassero nei pubblici decreti di governo, Pio VII e Leone XII
colpirono d’anatema le sette segrete, e di nuovo ammonirono la società dei
pericoli che per opera loro incombevano. Infine è noto a tutti con quali
gravissime parole e con quanta fermezza d’animo e costanza il Nostro glorioso
Predecessore, il Papa Pio IX di felice memoria, sia con le Allocuzioni, sia con
Lettere encicliche mandate ai Vescovi di tutto il mondo, abbia combattuto
contro gl’iniqui sforzi delle sette e specificatamente contro la peste del
Socialismo, che da quelle sin da allora germogliava.
Ma per somma sventura, coloro ai
quali venne affidata la cura di promuovere i comuni vantaggi, circonvenuti con
gli artifici di perfidi uomini e spaventati dalle loro minacce, tennero sempre
in sospetto la Chiesa e l’avversarono, non comprendendo che gli sforzi delle
sette sarebbero andati a vuoto se la dottrina della Chiesa cattolica e
l’autorità dei Romani Pontefici, sia presso i Principi, sia presso i popoli,
fosse sempre rimasta nell’onore dovuto. Infatti, "la Chiesa del Dio vivente,
che è colonna e fondamento di verità" (1Tm 3,15), insegna dottrine e dà
precetti che largamente provvedono al benessere ed al quieto vivere della
società, e per i quali l’infausto germe del Socialismo è divelto dalle radici.
Sebbene i Socialisti, abusando
dello stesso Vangelo per ingannare gl’incauti, abbiano il costume di travisarlo
secondo i loro intendimenti, tuttavia è tanta la discordanza delle loro
perverse opinioni dalla purissima dottrina di Cristo, che non se ne può
immaginare una maggiore: "Infatti, quale consorzio della giustizia con
l’iniquità? o quale società della luce con le tenebre?" (2Cor 6,14).
Costoro invero non smettono di blaterare – come abbiamo già accennato – che
tutti gli uomini sono per natura uguali fra loro, e quindi sostengono non doversi
prestare alle autorità né onore, né riverenza, né obbedire alle leggi se non
forse a quelle redatte a loro piacimento. All’opposto, secondo gl’insegnamenti
del Vangelo, tutti gli uomini sono uguali in quanto avendo tutti avuto in sorte
la medesima natura, tutti sono chiamati alla medesima altissima dignità di
figliuoli di Dio; avendo tutti lo stesso fine da conseguire, dovranno essere
giudicati a norma della stessa legge, per riceverne premi o pene secondo che
avranno meritato. Tuttavia l’ineguaglianza di diritti e di potestà proviene
dall’Autore medesimo della natura, "dal quale tutta la famiglia e in cielo
e in terra prende il nome" (Ef 3,15). Gli animi poi dei Principi e dei
sudditi, secondo la dottrina e i precetti della Chiesa cattolica, sono così
legati attraverso scambievoli doveri e diritti, che ne resta temperata la
passione sfrenata del comandare, e diviene facile, costante e nobilissima la
ragione dell’ubbidienza.
E valga il vero: la Chiesa
inculca sempre nei sudditi il precetto dell’Apostolo: "Non esiste potestà
se non da Dio, e quelle che ci sono, sono ordinate da Dio. Pertanto chi si
oppone alla potestà, resiste alla disposizione di Dio, e coloro che resistono
si comprano la condanna". E di nuovo comanda "di essere soggetti,
come è necessario, non solo per timore dell’ira, ma anche per riguardo alla
coscienza, e comanda di rendere a tutti quello che è dovuto: a chi il tributo,
il tributo; a chi la gabella, la gabella; a chi il timore, il timore; a chi
l’onore, l’onore" (Rm 13,1-2.5-7). Pertanto, Colui che creò e governa ogni
cosa, nella sua provvida sapienza dispose che le infime cose attraverso quelle
di mezzo, e le cose di mezzo attraverso le altissime arrivino ciascuna al
proprio fine. Perciò, come nello stesso regno celeste volle che vi fossero cori
di Angeli distinti fra loro e gli uni agli altri soggetti; nello stesso modo
stabilì anche nella Chiesa vari gradi di ordini, ed una moltitudine di
ministeri, onde non tutti fossero Apostoli, non tutti Pastori, non tutti
Dottori (cf. 1Cor 12,28-30); così dispose del pari che nella società civile
fossero vari ordini distinti per dignità, per diritti e per potere, onde la
comunità, a somiglianza della Chiesa, rendesse l’immagine di un corpo che ha
molte membra, le une più nobili delle altre, ma insieme scambievolmente
necessarie e sollecite del bene comune.
In pari tempo, però, affinché i
capi dei popoli si servano della potestà ad essi data ad edificazione e non a
distruzione, la Chiesa di Cristo opportunamente ricorda che anche sui Principi
sovrasta la severità del Giudice Supremo. Avvalendosi delle parole della divina
Sapienza, essa grida a tutti nel nome di Dio: "Porgete le orecchie, voi
che avete il governo dei popoli e vi gloriate di dominare molte nazioni: la
potestà è stata data a voi dal Signore, e la virtù dall’Altissimo, il quale
esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri pensieri... Poiché un giudizio
severissimo si farà di coloro che sovrastano... Dio infatti non esonererà
nessuno dal giudizio, né temerà la grandezza di chicchessia, perché Egli ha
fatto il grande e il piccolo, e di tutti tiene eguale cura. Ma ai maggiori
sovrasta un maggiore tormento" (Sap 6,2-8). Tuttavia se accada talvolta
che la pubblica potestà venga dai Principi esercitata a capriccio ed oltre
misura, la dottrina della Chiesa Cattolica non consente ai privati d’insorgere
a proprio talento contro di essi, affinché non sia vieppiù sconvolta la
tranquillità dell’ordine, e non derivi perciò maggior detrimento alla società.
E quando le cose siano giunte a tal punto che non sorrida alcun’altra speranza
di salvezza, vuole che si raggiunga il rimedio coi meriti della pazienza
cristiana e con insistenti preghiere al Signore.
Se la volontà dei legislatori e
i decreti dei Principi comanderanno qualche cosa che sia contraria alla legge
divina o naturale, allora la dignità e il dovere del nome cristiano, e il
pensiero Apostolico esigono "doversi obbedire più a Dio che agli
uomini" (At 5,29).
La stessa società domestica, che
è alla base di ogni comunità e di ogni regno, sente e sperimenta
necessariamente questa benefica virtù della Chiesa che influisce
sull’ordinatissimo regime e sulla conservazione della società civile. Infatti,
ben sapete, Venerabili Fratelli, che questa società, retta secondo l’esigenza
del diritto naturale, si fonda principalmente sopra l’unione indissolubile
dell’uomo e della donna, si completa negli scambievoli doveri e diritti tra i
genitori e i figli, tra i padroni e i servi. Sapete ancora che essa va quasi a
disciogliersi secondo le dottrine del Socialismo; in quanto, perduta la
stabilità che le deriva dal matrimonio cristiano, ne consegue che venga pure ad
indebolirsi in straordinaria maniera l’autorità dei padri sopra i figli, e la
riverenza dei figli verso i genitori. Al contrario, la Chiesa insegna che il
matrimonio, "degno di essere in tutto onorato" (Eb 13,4), istituito
da Dio fin dal principio del mondo per propagare e conservare l’umana specie e
da Lui voluto indissolubile, crebbe a condizione ancora più stabile e più santa
per opera di Cristo che gli conferì la dignità di Sacramento e volle che
ritraesse in sé l’immagine della sua unione con la Chiesa. Pertanto, secondo
quanto insegna l’Apostolo (Ef 5,22-24), come Cristo è il capo della Chiesa,
così il marito è il capo della sposa; e come la Chiesa si tiene soggetta a
Cristo che nutre per lei un amore castissimo ed eterno, così conviene che le
spose siano soggette ai loro mariti, i quali a loro volta le debbono amare di
affetto fedele e costante.
Analogamente la Chiesa tempera
in tal modo la potestà dei padri e dei padroni i quali, senza trascendere la
giusta misura, riescono a contenere dentro i confini del rispetto i figli ed i
servi. Stando infatti agli insegnamenti cattolici, nei genitori e nei padroni
si trasfonde l’autorità del Padre e del Padrone celeste; perciò essa non solo
trae da Lui origine e forza, ma ne mutua anche necessariamente la natura e
l’indole. Conseguentemente l’Apostolo esorta i figli "ad obbedire ai loro
genitori nel nome del Signore, ad onorare il padre e la madre: è questo il primo
comandamento associato a una promessa" (Ef 6,1-2). Ai genitori poi
ingiunge: "E voi, padri, non provocate ad ira i vostri figli, ma
allevateli nella disciplina e nell’istruzione del Signore" (Ef 6,4). Di
nuovo poi ai servi ed ai padroni dallo stesso Apostolo viene inculcato il
comandamento divino: obbediscano "ai padroni carnali come alla persona di
Cristo... servendo con amore come al Signore"; questi alla loro volta
"mettano da parte l’asprezza, ben sapendo che il Signore di tutti è nei
cieli, e che presso di Lui non v’è preferenza di persone" (Ef 6,5-7). Se
tutte queste cose fossero diligentemente compiute secondo il volere divino da
tutti coloro che ne hanno il dovere, sicuramente ogni famiglia presenterebbe
una certa somiglianza con la dimora celeste, e i preclari benefìci che ne
seguirebbero non sarebbero solo ristretti entro i confini delle pareti
domestiche, ma si riverserebbero altresì in abbondanza a vantaggio degli Stati
medesimi.
Inoltre la sapienza cattolica,
costruita sui precetti della legge naturale e divina, mirabilmente provvide
alla pubblica e domestica tranquillità anche con le dottrine che professa ed
insegna intorno al diritto di proprietà e alla divisione dei beni, che sono
fatti per le necessità ed i comodi della vita. Pertanto, mentre i Socialisti
rappresentano il diritto di proprietà come un ritrovato umano contrario alla
naturale eguaglianza degli uomini, ed anelando alla comunanza dei beni
ritengono non doversi sopportare di buon animo la povertà, e potersi
impunemente violare i beni e i diritti dei più ricchi, la Chiesa molto più
saggiamente ed utilmente anche nel possesso dei beni riconosce disuguaglianza
tra gli uomini, naturalmente diversi per forze fisiche ed attitudine d’ingegno,
e vuole intatto ed inviolabile per tutti il diritto di proprietà e di possesso
che dalla stessa natura deriva. Infatti sa che Iddio, autore e vindice di ogni
diritto, vietò il furto e la rapina in modo che neppure è lecito desiderare
l’altrui: gli uomini ladri e rapaci, non altrimenti che gli adulteri e gli
adoratori degli idoli, sono esclusi dal regno dei cieli. Tuttavia non dimentica
per questo la causa dei poveri, né avviene che la pietosa Madre trascuri di
provvedere alle loro indigenze: ché anzi, con materno affetto, se li stringe al
seno, e ben sapendo che essi impersonano Cristo, il quale considera come fatto
a se stesso il beneficio elargito anche all’ultimo dei poveri, li tiene in
grande onore, con ogni mezzo possibile li solleva; si adopera con ogni
sollecitudine affinché in tutte le parti del mondo s’innalzino case ed ospedali
destinati a raccoglierli, a mantenerli, a curarli, e prende quegli asili sotto
la propria tutela. Incalza poi i ricchi col gravissimo precetto di dare ai
poveri il superfluo, e li spaventa intimando loro il giudizio divino, secondo
il quale se non verranno in aiuto dell’indigenza saranno puniti con eterni
supplizi. Da ultimo ricrea e conforta considerevolmente gli animi dei poveri
sia proponendo l’esempio di Cristo "il quale, essendo ricco, si fece
povero per noi" (2Cor 8,9), sia ripetendo quelle parole di Lui, con le
quali chiama i poveri beati, e comanda loro di sperare i premi dell’eterna
beatitudine. Ora, chi non vede come questa sia la più bella maniera di comporre
l’antichissimo dissidio tra i poveri ed i ricchi? Come infatti dimostrano la
natura delle cose e l’evidenza dei fatti, esclusa o accantonata quella maniera
di componimento, è necessario che accada una delle due: o che la massima parte
dell’umanità ricada nella turpissima condizione di schiavi che fu lungamente in
uso presso i Gentili; ovvero che la società umana rimanga in balìa di continui
rivolgimenti e sia contristata da rapine e da latrocini, come deploriamo essere
avvenuto anche in tempi recenti.
Stando così le cose, Venerabili
Fratelli, Noi a cui presentemente è affidato il governo di tutta la Chiesa,
come fin dall’inizio del Nostro Pontificato mostrammo ai popoli ed ai Principi
sbattuti da violenta procella il porto ove riparare, così adesso, preoccupati
dall’estremo pericolo che sovrasta, di nuovo indirizziamo loro l’Apostolica
voce; ed in nome della loro salvezza e di quella dello Stato di nuovo li
preghiamo insistentemente e li scongiuriamo di accogliere ed ascoltare come
maestra la Chiesa, tanto benemerita della pubblica prosperità dei regni, e si
persuadano che le ragioni della religione e dell’impero sono così strettamente
congiunte che di quanto viene quella a scadere, di altrettanto diminuiscono
l’ossequio dei sudditi e la maestà del comando. Anzi, conoscendo che la Chiesa
di Cristo possiede tanta virtù per combattere la peste del Socialismo, quanta
non ne possono avere le leggi umane, né le repressioni dei magistrati, né le
armi dei soldati, ridonino alla Chiesa quella condizione di libertà, nella
quale possa efficacemente compiere la sua benefica azione a favore dell’umano
consorzio.
E Voi, Venerabili Fratelli, che
ben conoscete l’origine e la natura delle imminenti sciagure, rivolgete tutte
le forze dell’animo Vostro a che la dottrina cattolica sia accolta negli animi
di tutti e vi penetri fino in fondo. Procurate che fin dalla prima età tutti si
avvezzino ad amare Dio con tenerezza filiale e a riverirne la maestà; che
prestino ossequio all’autorità dei Principi e delle leggi, e che, frenate le
cupidigie, custodiscano gelosamente l’ordine stabilito da Dio nella civile e
nella domestica società. Inoltre ponete ogni studio affinché i figli della
Chiesa Cattolica non aderiscano né diano alcun favore alla detestabile setta;
anzi, con azioni egregie e con un contegno assolutamente lodevole, dimostrino
quanto prospera e felice sarebbe la società, se tutte le sue membra si
abbellissero dello splendore di opere compiute correttamente, e di virtù.
Infine, siccome i seguaci del
Socialismo principalmente vengono cercati fra gli artigiani e gli operai, i quali,
avendo per avventura preso in uggia il lavoro, si lasciano assai facilmente
pigliare all’esca delle promesse di ricchezze e di beni, così torna opportuno
di favorire le società artigiane ed operaie che, poste sotto la tutela della
Religione, avvezzino tutti i loro soci a considerarsi contenti della loro
sorte, a sopportare la fatica e a condurre sempre una vita quieta e tranquilla.
Iddio, a cui siamo tenuti a
riferire il principio ed il fine di ogni santa impresa, assecondi i Nostri e i
Vostri intendimenti, Venerabili Fratelli. Del resto, la stessa ricorrenza di
questi giorni, nei quali si celebra solennemente il giorno natalizio del
Signore, Ci solleva alla speranza di opportunissimo aiuto. Infatti Cristo fa
sperare anche a noi quella salutare salvezza che Egli nascendo portò al mondo
invecchiato e corrotto da tanti mali, e ci promette quella pace che allora per
mezzo degli Angeli fece annunziare agli uomini. Infatti "né la mano del
Signore si è accorciata così che non possa salvare, né le sue orecchie sono
chiuse sicché non possa sentire" (Is 59,1). Pertanto, in questi
faustissimi giorni, augurando a Voi, Venerabili Fratelli, ed ai fedeli delle
Vostre Chiese ogni più lieto e prospero evento, insistentemente preghiamo il
Datore di ogni bene affinché nuovamente "appaiano agli uomini la benignità
e l’amore del Salvatore nostro Dio" (Tt 3,4), il quale, sottrattici dalla
potestà dell’implacabile nostro nemico, ci sollevò alla dignità nobilissima di
figli.
Affinché più presto e più
pienamente conseguiamo il nostro desiderio, innalzate Voi stessi, Venerabili
Fratelli, insieme con Noi fervide preci a Dio ed interponete presso di Lui il
patrocinio della Beata Vergine Maria, Immacolata fin dall’origine, del di Lei
Sposo Giuseppe e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, nell’intercessione dei
quali poniamo la massima fiducia.
Intanto, auspice delle divine
grazie, con tutto l’affetto del cuore a Voi, Venerabili Fratelli, al Vostro
Clero ed a tutti i popoli fedeli impartiamo nel Signore l’Apostolica
Benedizione.
Dato a Roma, presso San
Pietro, il 28 dicembre 1878, anno primo del Nostro Pontificato.
LEONE PP. XIII