7 dicembre 2011

Mons. Gherardini sull’importanza e i limiti del Magistero autentico

Il Coetus Internationalis Patrum in piazza S. Pietro


Disputationes Theologicae ha chiesto a Mons. Brunero Gherardini un contributo sulla nozione di Magistero autentico e sui suoi eventuali limiti. L’illustre docente emerito all’Università del Papa, decano della facoltà di teologia, che già è intervenuto su queste colonne qualificando l’insegnamento costituito dal Concilio Vaticano II, apporta ora più ampiamente, in maniera agile e profonda, alcune precisazioni,  richiamando l’attenzione su alcune distinzioni spesso omesse. Tale richiamo è in consonanza con quanto rilevato negli anni ‘70 da S. Ecc. Mons. De Castro Mayer, allora ordinario di Campos, a conclusione dello studio teologico sulla libertà religiosa da lui inviato a S.S. il Papa Paolo VI (che non lo condannò): c’è un caso specifico in cui un insegnamento non è vincolante in coscienza, pur essendo un atto di Magistero autentico, quando vi sia una dissonanza rispetto a quanto già dalla Chiesa lungamente insegnato. 

La Redazione


18 ottobre 2011

Per una caratterizzante "terza via" anche nella lettura di "Assisi III"

David, Pio VII "assiste" all'incoronazione di Napoleone


"Assisi III" è ormai alle porte. Ne parlammo già il 13 aprile, al punto 4 dell'articolo "La necessità teologica ed ecclesiale di una “terza via”: né vortice “scismatico” né conformismo “allineato” (prima parte)". In tal sede abbiamo espresso la posizione di questo «libero sito», il cui direttore «appartiene all'Istituto del Buon Pastore»; e che vede la collaborazione anche di fedeli laici che all’Istituto guardano con interesse.

5 settembre 2011

Accordo Roma-Ecône: “Abbiamo scherzato”?

Nota sugli sviluppi di una disputa teologico-ecclesiale






Sono in crescita le voci sulla possibilità di un imminente accordo tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede, collegata alla concessione di un Ordinariato personale e alla convocazione a Roma il 14 settembre del Superiore Generale della FSSPX con i suoi due Assistenti.
Naturalmente, è bene ricordare, voci e certezze non automaticamente coincidono; qualcosa tuttavia c’è. In pochissimo tempo, infatti, si sono registrati sulla materia più interventi: l’abbé Franz Schmidberger, Superiore emerito della FSSPX; Mons. Richard Williamson, uno dei quattro vescovi consacrati da Mons. Lefebvre, ha confermato il dato, ma con valutazioni assai differenti (e a suo tempo, ricordiamo a chi l’avesse dimenticato, Mons. Bernard Fellay negò l’esistenza di divisioni tra i vescovi, attribuendo ciò a malevole rappresentazioni esterne); infine il Superiore di un distretto FSSPX importante come quello italiano, don Davide Pagliarani, è intervenuto rispondendo ad alcune obiezioni. E’ soprattutto quest’ultimo intervento che ci spinge a tornare sulla questione, per il motivo che diremo. In ogni caso, l’incontro del 14 settembre è certo.

5 agosto 2011

Novus Ordo Missae: la legittimità di esprimere con franchezza il proprio pensiero teologico

Il nostro sito ha ricevuto il seguente quesito, che esterna perplessità non prive di interesse teologico :

“Secondo l’articolo 19 dell’Istruzione “Universae Ecclesiae” tutti coloro che dicono o vanno alla Messa tradizionale non devono essere contrari alla validità e legittimità della Nuova Messa, quindi non possono mettere in discussione il rito di Paolo VI. Vuol dire che secondo il documento non c’è più nessuna possibilità di critica in materia? Dove va a finire la libertà del dibattito teologico? E poi i problemi del nuovo Offertorio mi sembra che siano piuttosto seri. Non se ne può più parlare? Se ho obiezioni sulla Nuova Messa dovrei quindi, secondo l’Istruzione e per essere coerente, andare dai gruppi in rottura con Roma? Mi sono chiesto quale sia la posizione dell’Istituto del Buon Pastore… Che ne dice Disputationes?”

Giacomo Santini



La risposta di Disputationes Theologicae (su alcuni argomenti sollevati torneremo in seguito in maniera approfondita):


L’istruzione “Universae Ecclesiae” nel suo contesto


Il Card. Ottaviani, Prefetto emerito del Sant'Uffizio
e co-autore del Breve Esame Critico sul Novus Ordo Missae

Anzitutto secondo le più elementari norme del realismo tomista un documento disciplinare si situa in un contesto storico ed in una particolare situazione della Chiesa. Con un significativo ritardo - forse anche per le innegabili opposizioni che incontra il Santo Padre, persino all’interno della Curia Romana, e che tendono a ritardarne i progetti - la Commissione Ecclesia Dei ha prodotto un testo che, nell’attuale momento, è stato molto coraggioso. E’ chiaro che il Papa, il quale ha approvato il testo, e con Lui la Commissione, vuole che si esca da quella mentalità che riduceva l’uso della Messa gregoriana ad un indulto per esteti nostalgici. Mentalità che non ha certo servito la Chiesa. Non deve più essere così e anche Roma ora lo afferma. La Messa gregoriana, come la chiama il Card. Castrillòn Hoyos, è presentata dal documento come un rito venerabile, cui si deve il più grande rispetto; essa, come ha titolato Avvenire, è un tesoro prezioso: è un riferimento essenziale in liturgia, ma anche la “medicina” che deve essere offerta il più possibile per curare un malato, le celebrazioni “desacralizzate”, sebbene questo non venga esplicitato nel testo per motivi evidenti. Tuttavia è ciò che l’attuale Santo Padre sostiene fin dagli anni ’70, da quando con dolore vide lo sfascio liturgico e dottrinale del post-Concilio. Il testo va in questo senso, specialmente per chi sa leggere fra le righe, ma, vista la delicatissima situazione in Vaticano - bisogna tenerne conto, anche questo è realismo tomista  -, il Papa  è costretto ad agire con molta prudenza, cercando di non urtare coloro, anche prelati, che sono molto ostili alla sua opera. E’ di questi giorni la notizia delle rivolte contro la Sede Apostolica, anche gravissime, di certi episcopati, del clero austriaco, di numerosi teologi tedeschi. Questi segni storici sono fra loro connessi e, realisticamente, sono già un fatto condizionante.
L’Istruzione, va detto, ha un altro grande merito : dà finalmente alla Commissione dei poteri effettivi contro i recalcitranti. Difficile sapere all’atto pratico quale sarà il modo d’esercizio, ma, in attesa di strutture canoniche più solide, il principio è affermato. Dopo questo schizzo veloce della ratio dell’Istruzione (che è forse solo il primo di una serie di documenti esplicativi) veniamo al tanto discusso art. 19, il quale va letto nel testo latino, essendo alcune traduzioni sintatticamente e grammaticalmente erronee. Vediamo dunque testualmente e con attenzione, senza lasciarci sviare da presentazioni tendenziose, cosa esso precisamente afferma, tentando poi qualche riflessione a riguardo.

23 luglio 2011

I rapporti fra Chiesa e Stato: un punto di vista teologico e documentario

Il dibattito teologico recente, quando deve misurarsi alla complessa questione dei rapporti fra il Papato e il Regno, si nasconde dietro un assai poco credibile evoluzionismo dottrinale ed evita spesso la trattazione metodica. Il potere esercitato dai Romani Pontefici sarebbe il mero prodotto di un’epoca, la “medievale”, che di fatto e a torto avrebbe tollerato tali “ingerenze ecclesiastiche”.  Al Papa, seguendo tale logica, spetterebbe solo un ruolo di “guida spirituale” dei governanti, un “potere direttivo”, un ruolo sì di “speciale consigliere”, ma che non interferisca su quella sovranità indipendente, “regia” un tempo, “popolare” oggi. Le pretese di Filippo il Bello e il già condannato Gallicanesimo politico di fine ‘600 sono ormai dottrina comune della teologia rinnovata, la quale si trova riconfortata da un universo politico e sociale che si abbevera alle fonti della filosofia kantiana e che ha da tempo evacuato la finalità soprannaturale (ed ultima) dell’uomo. Non è questo il pensiero della Chiesa i cui figli, San Tommaso in primis, quando hanno trattato la questione in termini teologici, convengono nel riconoscere al Papa una vera potestas sui governi temporali di questo mondo, sia essa - seguendo una distinzione di scuola ormai classica - directa o indirecta. La materia su quest’ultimo punto è libera e, se non è lecito tenere la gallicana teoria del citato “potere direttivo” e pur essendo la teoria della potestas indirecta ampiamente diffusa e maggioritaria fino ad epoca recente, è lecito - e doveroso per lo studioso - prendere in considerazione anche le ragioni degli assertori della potestas directa. E’ tuttavia nostro avviso e ci ripromettiamo di tornare sull’argomento, che quando si traducono le due teorie in termini pratici, le conclusioni non differiscano in maniera sostanziale. Il collaboratore della nostra rivista il Dott. Samuele Cecotti ci propone una trattazione teologico-documentaria di grande interesse, preziosa la recentissima bibliografia in nota.





La potestas in temporalibus del Papa:
un contributo alla riflessione


Samuele Cecotti




Raffaello Sanzio e aiuti, La translatio Imperii operata da Papa Leone III in favore di Carlo Magno, Stanze del Raffaello



Nel dibattito teologico contemporaneo non è molto frequente il tema della Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo o della potestas in temporalibus del Papa, generalmente in conseguenza di un prevalente mutamento di clima culturale negli studi degli ultimi cinquanta anni, particolarmente nel torno di tempo successivo al Concilio Ecumenico Vaticano II.

6 giugno 2011

Libertà religiosa: la chiara posizione di Mons. De Castro Mayer

“Il 15 ottobre scorso, ho avuto l'onore di scrivere a Vostra Santità affermando il mio filiale rispetto a tali ordini.
Tra questi c'era quello per cui, nell'eventualità che "in coscienza io non fossi d'accordo con gli atti dell'attuale Magistero Ordinario della Chiesa", "manifestassi liberamente alla Santa Sede" il mio parere. È quel che faccio, con tutta la riverenza dovuta all’Augusto Vicario di Gesù Cristo, consegnando a Vostra Santità i tre studi allegati.”

Mons. Antonio de Castro Mayer

Il nodo teologico della “libertà religiosa”, così come descritta nel documento conciliare Dignitatis Humanae - al n. 2 in particolare - ha suscitato innumerevoli studi e proposte interpretative nella linea oggi ribattezzata “della continuità ermeneutica”. Finora i tentativi, benché di estrema erudizione teologica, si sono rivelati poco convincenti. 
Il Vescovo della diocesi di Campos, Mons. De Castro Mayer - oggi ingiustamente dimenticato - si rivolse rispettosamente al Papa Paolo VI, in qualità di membro della Chiesa docente; i Vescovi infatti, prima d’ammaestrare il proprio gregge, ricevono un insegnamento dal Sommo Pontefice ed è prassi che ad Esso facciano appello per sapere quale sia l’interpretazione autentica di un testo loro proposto. Nello studio e nella supplica del Vescovo brasiliano, la schiettezza teologica si unisce al filiale - ed altrettanto teologico - rispetto verso il Successore di Pietro. Da figlio devoto della Chiesa, ma senza nascondere la verità, il presule conduce uno studio teologico di una disarmante semplicità, ripercorrendo il pensiero costante della Chiesa; non riuscendo a trovare una soluzione alla questione e vedendo la pericolosità della situazione si rivolge a Chi da Cristo ha ricevuto le chiavi, perché - per parafrasare il padre greco Teodoro Studita - la Sua parola, il Suo “calamo divino”, i suoi scritti, hanno il potere di dissipare i branchi di lupi che infestano la casa di Dio: “Lupi graves irruerunt in aulam Domini (…) habes potestatem a Deo… Terreto, supplicamus, haereticas feras calamo divini verbi tui”.

16 aprile 2011

La necessità teologica ed ecclesiale di una “terza via”: né vortice “scismatico” né conformismo “allineato”

[Seconda parte]



Papa Gregorio IX riceve le decretali


Risposta alle obiezioni d’ordine pratico-politico:


5) Non abbiamo mai sostenuto che tale Fraternità sia scismatica o che lo sia stata: abbiamo detto che nel suo interno ci sono tendenze in tal senso, che non sembrano affatto diminuire, e che questo dato avrebbe dovuto consigliare mons. Fellay ad accettare, anni fa, l’accordo offerto da Roma. Accordo che non era “inaccettabile” e che avrebbe lentamente stemperato gli eccessi da “pétite église” nella società religiosa. Che al suo interno vi siano esponenti che già si esprimono con attitudine gravemente scismatica è invece un dato di fatto. In generale rinviamo allo studio C. Héry, “Non lieu sur un schisme” (2005), le cui conclusioni ci paiono più che condivisibili.


6) Gli accordi dottrinali così come erano stati illustrati da S. Ecc.za Mons. De Galarreta, capo della delegazione della Fraternità, sono falliti. L’autorevole ecclesiastico il 19 dicembre 2009 nel corso della nota omelia a la Reja disse che la delegazione andava «semplicemente a dare una testimonianza di fede» o ancora «andiamo fin là (a Roma ndr) per predicare, così come sto predicando a voi» (!). Questi non condivisibili toni s’univano alla perentoria dichiarazione: «noi sappiamo molto chiaramente quello che non abbiamo assolutamente l’intenzione di fare : primo, cedere sulla dottrina e secondo, fare un accordo puramente pratico». Se Econe non ha ceduto sulla dottrina, di per sé ha fatto bene; se passasse all’accordo cosiddetto pratico, o meglio sostanzialmente canonico (ammesso che sia ancora fattibile, viste le resistenze esterne e interne maggiormente sviluppatesi), di per sé farebbe bene. Ma fare un “accordo pratico” significherebbe che c’è stato un ripensamento rispetto ai proclami sopracitati fatti a la Reja, all’omelia di Mons. Fellay a Flavigny il 2 febbraio 2010, ai contenuti del libro di Mons. Tissier, “L’etrange théologie de Benoit XVI”, sul quale è meglio stendere un velo pietoso, all’asserita impossibilità di “communicatio in sacris” con chi è sottomesso al Papa e ai Vescovi territoriali, sostenuta dal superiore di Francia abbé de Caqueray (link all'articolo), e soprattutto alla più che ufficiale dichiarazione dell’ultimo Capitolo della FSSPX (2006), che testualmente definiva un accordo pratico, senza preliminare conversione di Roma, “impossibile”. Se tale cambiamento ha avuto luogo ce ne rallegriamo, ma sarebbe serio e onesto dichiararlo.

13 aprile 2011

La necessità teologica ed ecclesiale di una “terza via”: né vortice "scismatico" né conformismo "allineato"


Giotto, San Francesco si rivolge al Papa

Nel quadro della disputa sollevata dal nostro recente editoriale siamo in dovere, come la nostra rivista si prefigge, di dare risposta ad alcuni interrogativi ed ad alcune obiezioni, violente, violentissime a volte - probabile segno che il problema denunciato era reale -, ma sempre prive di nome e cognome. Infatti né l’amor di verità degli strenui difensori di un tradizionalismo “duro”, né il desiderio d’ unità dei fautori d’un liberale “ecumenismo della Tradizione” sono stati capaci d’infondere il coraggio d’una firma. Si noti anche la strana convergenza dei due poli apparentemente opposti, ma in realtà uniti dall’avversione alla linea teologico-ecclesiale, chiara e dichiarata, da noi espressa. Davanti a questa strana attitudine vogliamo attirare l’attenzione su una “terza via”. Si può essere “romani”, e nutrire un rispetto – anche verbale – nei confronti dell’autorità ecclesiastica, ma al tempo stesso esprimere anche pubblicamente il proprio dissenso quando un pericolo per la dottrina della fede lo richieda.

Nell’intento di essere sintetici, riassumeremo i differenti interventi, alcuni d’ordine teologico, altri di tipo pratico-politico, ma con connessioni teologiche, cercando al tempo stesso di illustrare questa “terza via” di cui nel titolo di fa menzione.

29 marzo 2011

Il fallimento dei colloqui dottrinali della Fraternità San Pio X e la questione "ordinariato tradizionale"



A cura della Redazione di “Disputationes Theologicae”



La commissione teologica della FSSPX affacciata al balcone del S. Uffizio



I colloqui dottrinali tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X, non é più un mistero nemmeno per gli ostinati, non vanno nel senso sperato. I toni entusiasti si sono spenti e le belle speranze sembrano infrante, da un lato e dall’altro. Oltretevere sono tornate in voga espressioni che non si sentivano più da qualche tempo: alcuni dicono a chi orecchie per intendere che “la Fraternità San Pio X è allo scisma, è fuori della Chiesa”. Eppure dopo due anni di regolari discussioni bisognerà pur trovare il modo di uscirne decorosamente. Le soluzioni possibili non sono moltissime, secondo la più plausibile Roma prima dell’estate dovrebbe proporre a Mons. Fellay la sottoscrizione di un documento e con esso si offrirà la struttura canonica ideale, quella dell’Ordinariato personale con l’esenzione dai Vescovi diocesani.

16 febbraio 2011

L’Osservatore Romano attacca la “Dominus Jesus” e l’ “Ecclesia Dei”?

Tra impliciti inviti al sincretismo religioso e velate accuse al rito tradizionale





L’Osservatore Romano degli ultimi tempi sembra uscire dalla sua tradizionale prudenza e dal deferente omaggio alla Sede Apostolica, per darsi ad iniziative di taglio variegato, ma a ben vedere tutte sulla stessa linea editoriale. In un articolo del 2 febbraio 2011, dal titolo “Una più avvertita esigenza di trasparenza e di semplificazione”, interviene addirittura il vice redattore del giornale Carlo di Cicco. Commentando e apprezzando uno studio recente sulla materia, si intrattiene su alcune meditazioni canoniche quanto alle strane situazioni di alcuni nuovi Istituti di vita consacrata. Dopo lunghe circonvoluzioni verbali su certe società religiose, alcune delle quali poco note e dallo stile di vita veramente singolare, si arriva a quello che sembra essere il vero bersaglio: le famigerate società dipendenti da quello “strano organismo” meglio noto col nome d’ “Ecclesia Dei”. Qual è il messaggio che resta nel lettore dell’articolo, abilmente redatto in forma di recensione dal vice direttore? L’ “Ecclesia Dei” sarebbe una singolare commissione, con poteri canonici sui generis, che necessiterebbe di seria regolamentazione in tutti i campi, non ultimo quello dottrinale. Essa di fatto erigerebbe alcuni istituti e ne dirigerebbe il funzionamento; Istituti che, secondo il codice (promulgato nel 1983, quindi prima che Giovanni Paolo II decidesse l’attuale struttura della Commissione), dovrebbero dipendere dalla Congregazione dei Religiosi. Sorvoliamo sui toni da legalismo kantiano, che sembra non tenere in alcun conto il primato della realtà sul diritto positivo, peccato veniale per i giuristi dei tempi nostri. Meno ammissibile invece è il velato rimprovero alla Santa Sede, che non si lascerebbe imbrigliare dai canoni del diritto. Quasi a scordare che i Romani Pontefici godono di una giurisdizione “estensive universalis et intensive summa” e che il Papa, erigendo la Commissione “Ecclesia Dei” e affidandole poteri straordinari, non sta facendo altro che esercitare il Suo primato. Primato che, non dispiaccia ai canonisti, non è sottomesso al codice, potendo Egli domani stesso potenziare l’Ecclesia Dei, come da più parti invocato, senza che sia il codice a limitarne le azioni. Ma in tempi di gallicanesimo episcopalista questo concetto sembra poco permeabile nelle menti dei giornalisti cattolici. E’ teologicamente, quindi canonicamente, ridicolo discutere del modo migliore di piegare le scelte del Papa all’uniformità del diritto ecclesiastico positivo, il quale trae la sua efficacia dalla promulgazione papale e non dalle urne dei parlamenti. L’articolista non si è spinto fino a tal punto, ma nel suo “giuridismo” avulso dalla realtà, arriva quasi ad insinuare, facendo proprie le conclusioni di alcuni studi, che le approvazioni canoniche dell’Ecclesia Dei sarebbero da riesaminare. Quel che sarebbe da riprendere in considerazione sarebbero gli effettivi poteri della Commissione, nel passato e nel presente, prospettando addirittura una riesamina retroattiva. L’articolista poi - non si capisce bene se parlando ex abundantia cordis o facendo sue le conclusioni dei canonisti citati - non senza una certa audace sfrontatezza, scrive che gli Istituti che dipendono dalla citata Commissione sarebbero ancora passibili di un esame di controllo sulla loro ortodossia (!). Per comprendere a che punto la realtà oltrepassi la fantasia riportiamo le parole testuali: “Per quanto riguarda gli istituti approvati dalla “Ecclesia Dei”, si potrebbe studiare se, una volta esaminato che tutto sia in ordine sotto l'aspetto dottrinale, l'approvazione non possa essere concessa dalla stessa Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, un po' come quando si chiedeva il nulla osta del Sant'Uffizio per l'approvazione degli istituti religiosi”. 

21 gennaio 2011

Posizioni contraddittorie ed ambigue nella Fraternità San Pio X


a cura della Redazione di “Disputationes Theologicae”

L’augurio 2011 dell’abbé de Cacqueray : “Non andate alla Messa del motu proprio
Con un certo scandalo leggiamo i recentissimi propositi dell’abbé Régis de Caqueray (il superiore del distretto di Francia, il più grande e prestigioso della Fraternità San Pio X), sull’assistenza alla Messa di San Pio V, celebrata da sacerdoti canonicamente riconosciuti dalla Santa Sede. L’influente sacerdote, stimatissimo dai suoi superiori, al punto che ricopre uno dei ruoli più importanti nel sodalizio, si esprime, nel suo testo d’auguri per il nuovo anno 2011, con i termini che seguono : “Per essere completi su questo argomento (parlava dell’importanza dell’assistenza alla Messa tradizionale anche se essa è difficile da trovare), dobbiamo ancora citare le altre Messe di San Pio V celebrate col favore degli indulti successivi, e in ultimo col motu proprio. E’ vero che noi ve ne sconsigliamo la frequentazione »[1]. Non si dovrebbero, a suo dire, frequentare i sacramenti distribuiti da coloro che sono su posizioni diverse da quelle della Fraternità, ma in questo apparente clima d’accordi canonici, si afferma anche che sarebbe opportuno che i preti diocesani si avvicinassero al rito tradizionale, senza poter contare però - vista la severa ammonizione - sulla presenza dei fedeli della Fraternità.

E’ difficile dire quanto vi sia di “teologico”, in tali affermazioni, e quanto di “ideologico” o di “partigiano”. Qualunque sia l’intenzione dell’abbé de Cacqueray, il problema resta quello, come affermato in concomitanza dell’annuncio della riunione d’Assisi per il prossimo ottobre, “il pericolo che seguirebbe per le anime”. Va osservato che la frase dell’abbé de Caqueray, benché gravemente scandalosa, non è accompagnata da alcuna giustificazione teologica, e ancor meno da una rigorosa esposizione dei presupposti di una tale affermazione, né delle conseguenze ad essa connesse. Tuttavia i contorni da “Pétite Eglise” non sfuggono al lettore attento.