23 dicembre 2015

Misericordia, virtù ordinata o passione sregolata?

L’insegnamento di San Tommaso d’Aquino


21 dicembre 2015, San Tommaso Apostolo

 
S. Margherita da Cortona: dal concubinaggio alla santità.
La misericordia di Dio


La parola misericordia è oggi tra le più abusate e l’improprio utilizzo di un termine così legato alla Sapienza e Bontà divine ha delle conseguenze che si riflettono anche sul modo di intendere la natura di Dio. Se da una parte è vero che vi possono essere più modi d’intendere la misericordia, dall’altra è importante introdurre alcune precisazioni per non approdare a gravi errori in materia di fede e di morale.

In questo breve articolo vedremo alcune capitali distinzioni che San Tommaso fa nella Summa Theologiae ed analizzeremo principalmente la questione di come vada intesa la nozione di misericordia nell’uomo e la nozione di misericordia in Dio. Poste queste distinzioni, utili ad evitare tanto lo scoglio del panteismo che quello correlativo dell’antropomorfizzazione eccessiva di Dio, vedremo quali siano le ragioni e le condizioni della misericordia per i peccatori, seguendo il Dottore Angelico.


La misericordia è virtù “secondo ragione”

San Tommaso parla della misericordia sotto il suo aspetto più propriamente morale nella Secunda Pars e, facendo ricorso all’etimologia, ci spiega cosa sia e come la si debba definire. Si dice misericordia quando qualcuno, guardando alla miseria dell’altro, ha un “misero cuore” o meglio un cuore “commiserevole”[1]. Ovvero il cuore di chi ha misericordia si immedesima con chi è nella miseria e - a sua volta - “si fa misero”. E’ l’attristarsi con chi è triste, ci si identifica in parte con chi sta male e col suo desiderio di bene. 

Questo movimento dell’animo è in certa misura qualcosa di innato nella nostra natura, ovvero Dio nella Sua infinita Sapienza ha creato l’uomo dotato di passioni, le quali in sé concorrono a condurci al fine ultimo. Per esempio davanti ad un’ingiustizia evidente si può avere un moto di collera, che può essere santa e giusta e stimolare all’azione per proteggere la verità o chi è ingiustamente vessato. La perfezione della creazione ha previsto infatti che per un animale spirituale e sociale come l’uomo, vi fossero delle “reazioni” che in sé hanno lo scopo di stimolare la creatura sensibile al bene proprio e degli altri; tuttavia - principalmente a seguito del peccato originale - le passioni devono essere sempre dirette dalla ragione perché non diventino causa di peccato per la loro sregolatezza.

27 novembre 2015

L’ “intercomunione” coi Luterani

Riflessioni di Mons. Gherardini

26 novembre 2015, San Silvestro Abate




Negli scorsi articoli abbiamo cercato di indicare la gravità delle teorie che predicano un accesso indiscriminato all’Eucarestia, teorie che spesso sottendono una nozione di Chiesa cattolica - ma anche di Eucarestia - che a ben vedere non è più cattolica. L’intima connessione dei due dogmi fa sì che tali attacchi coinvolgano inevitabilmente l’una e l’altra verità. Nello stesso terreno dottrinale nasce la possibilità di ammettere la cosiddetta “intercomunione” coi Luterani. Su questo argomento pubblichiamo la risposta di Mons. Brunero Gherardini, il quale per anni ha tenuto la cattedra di Ecclesiologia ed Ecumenismo alla Pontificia Università Lateranense, scrivendo numerosi saggi sull’argomento ed offrendo spesso la sua consulenza su tale materia ai Dicasteri romani. Dalle sintetiche espressioni del teologo emerge quanto preoccupante sia - specialmente sul piano ecclesiologico - il diffondersi di certe tesi e della prassi del "fatto compiuto".                  

                                                                                        *** 

Cosa s’intende per “intercomunione”?

“Per rispondere in maniera adeguata analizzando anche i documenti più recenti ci vorrebbe non un articolo, non più articoli, ma un’intera monografia. Si rilevi anzitutto l’improprietà del termine, non solo perché l’idea d’intercomunione già di per sé contiene un chiaro riferimento all’idea di partecipazione e non ha quindi bisogno di sottolinearla con il prefisso inter, ma anche perché il suo ambito semantico s’estende, secondo la tradizione cristiana più antica, dal sacramento eucaristico alle singole chiese, colorandosi d’una forte tonalità ecclesiologica. Il termine insomma indica non solo la consumazione delle offerte sacramentali, ma anche un rapporto tra chiesa e chiesa o tra confessione e confessione”. 


Cosa comporta tale teoria e cosa vuol significare?

“Dirò subito che per intercomunione deve intendersi la traduzione sintetica anche se non onnicomprensiva dell’espressione classica communicatio in sacris. Coloro che son separati dall’unità visibile della Chiesa o per scisma o per eresia, son per ciò stesso impediti, o tagliati fuori dalla comunione ecclesiale, e di conseguenza anche dalla comunione eucaristica; come tali né posson partecipare alla liturgia dei cattolici, né posson comunicarsi alla loro mensa eucaristica, così come i cattolici sono impediti di partecipare ai culti di scismatici ed eretici. A fronte di tale dottrina e relativa prassi, sta la situazione odierna, fiorita in ambienti ecumenici e tendenzialmente avversa ai limiti della communicatio in sacris. La tendenza non raramente scioglie le briglie della “scapigliatura” ecumenica e l’intercomunione, con scandalo negli uni ed entusiasmo negli altri, diventa cosa fatta: quasi il segno dell’auspicata ed in tal modo iniziata unità”.   



E’ possibile l’intercomunione coi Luterani?

“In merito alla comunione fra i cattolici e i fratelli separati come eredi della Riforma o di chiese ad essa ispirate, il loro rifiuto dei sacramenti e della teologia della transustanziazione e quindi delle presenza sostanziale rende illecita ed insulsa ogni communicatio in sacris coi cattolici”. 



Il sentimento prende forse il posto della dottrina?

“In materia tanto delicata, la pressione emotiva non è buona consigliera. Apprezzo Von Allmen quando, sottraendosi all’emozione, vuol trattarne “una buona volta per tutte senza sotterfugi e mezze parole”. Anche a costo di una chiarezza brutale. Ecumenicamente parlando, proprio questa sembra mancare ai protagonisti del dialogo interconfessionale. So bene anch’io che la testimonianza di cristiani, divisi sui fondamenti della loro stessa fede, è meno credibile, oltre che meno efficace. Ma non sarà un’intercomunione “ad ogni costo” il motivo d’una loro maggiore credibilità ed efficacia”.


La Redazione di Disputationes Theologicae

17 ottobre 2015

“Progetto Kasper” e attacco alla divina costituzione della Chiesa


Verso una “Nuova Chiesa”, passando dal matrimonio? 


17 ottobre 2015, Santa Margherita Maria Alacoque




Fra la nozione di matrimonio e quella di Chiesa intercorre un nesso profondo che la Scrittura sancisce a chiare lettere. Osservando quindi attentamente le tesi “kasperiane” si scopre che esse non hanno solo una dimensione di destrutturazione della morale, ma comportano un aspetto - ancora non sufficientemente messo in luce - che finisce per corrompere più o meno indirettamente la stessa nozione di Chiesa cattolica. Walter Kasper non per nulla è un ecclesiologo[1].


Il Matrimonio è anzitutto un istituto di diritto naturale, voluto espressamente dal Creatore “fin dal principio” e iscritto in perpetuo nel cuore degli uomini come tutta la legge naturale. Basterebbe questo per rendere sacra per sempre l’unione familiare tra un uomo e una donna in vista della procreazione. E tale “sacralità naturale” che deriva dall’onore dovuto alla legge eterna, è non solo comprensibile con la sola ragione, ma anche contenuta nel Decalogo, oltre ad essere il modello che San Paolo utilizza per parlarci della società soprannaturale voluta da Cristo.


L’importantissima battaglia per la famiglia e per il matrimonio, già in corso al Sinodo e i cui prolungamenti futuri sono ormai evidenti, comporta quindi la difesa del “diritto naturale” ed implica un altro aspetto strettamente ad essa connesso: la difesa del dogma della divina costituzione della Chiesa, eterno bersaglio dei modernisti.


Non a caso è di questi giorni la notizia di proposte sinodali di allargamento indiscriminato della comunione eucaristica non solo ai pubblici concubini, ma anche agli eretici e agli scismatici, in coerente logica con la liquefazione della stessa nozione di “Chiesa cattolica”. 

Non esiste infatti una pastorale indipendente dalle verità rivelate, ancor meno una teologia morale avulsa dalla dogmatica. Tutte le verità sono connesse in quella che è scientia Dei, siano esse di carattere più propriamente rivolto alla contemplazione di Dio o siano esse maggiormente rivolte a descrivere la giusta via che a Dio conduce[2]. Sempre di Dio si tratta e un’unità profonda le pervade tutte, al punto che ogni mutamento sostanziale nel campo morale sottende un’altra teologia dogmatica: simul stabunt aut simul cadent.


L’impressione fondata è che ci troviamo davanti ad un unico grandioso progetto di Antichiesa di cui non si è reso visibile per ora che un solo aspetto, seppur importantissimo.

Analizzeremo in questo articolo come le cosiddette “tesi Kasper” (e il correlativo, anche se più sfuggente, “progetto Tagle”) comportino di fatto, non solo una contraddizione flagrante con la legge naturale e le parole di Cristo sul matrimonio, ma anche il germe di un attacco alla dottrina tradizionale sulla natura della Chiesa cattolica. 

29 settembre 2015

Un nuovo sacerdote alla Comunità San Gregorio Magno

Intervista all’abbé Jean Pierre Gaillard 

                                                                    29 settembre 2015, San Michele Arcangelo

Pellegrinaggio dei sacerdoti della Comunità San Gregorio Magno alla Grotta della Maddalena

Padre, potrebbe presentarsi ai nostri lettori?

            Abbé Jean Pierre Gaillard: Sono nato in Francia nella regione del Massiccio Centrale; dopo il servizio militare, mi sono seriamente posto la domanda della vocazione e sono entrato nel seminario di Wigratzbad dove ho ricevuto una parte della mia formazione. Nel luglio 2006, prima dell’erezione dell’Istituto del Buon Pastore, sono arrivato a Bordeaux dove ho partecipato al restauro della chiesa di Saint Eloi. Nel mese di settembre dello stesso anno ero presente alla fondazione di questo Istituto di cui condividevo gli ideali fondatori iniziali. Sono stato ordinato sacerdote il 22 settembre 2007 dal Cardinal Castrillon Hoyos. Nel 2008 ho cominciato il mio apostolato presso la scuola parrocchiale nella quale sono rimasto fino alla fine dell’anno scolastico 2015.

            Dopo i ben noti eventi del 2012-2013 e la cosiddetta « elezione », a causa dei metodi impiegati ho preso le distanze, ma ho fatto la scelta di continuare a preservare il bene comune della scuola continuando nelle mie funzioni di direzione. Il tempo tuttavia ha rivelato che non era più possibile restare in una simile situazione, soprattutto in ragione della posizione che assumevo apertamente. Ho allora valutato quel che potevo fare. Dopo un tempo di riflessione e di preghiera, visti i chiari segni della Provvidenza, ho capito che ostinarsi su questa via non era la volontà di Dio. Ho dunque fatto la scelta di raggiungere la Comunità San Gregorio Magno.       


Potrebbe spiegarci quel che l’ha determinata a fare questa scelta? 

            Da un certo tempo mi interrogavo sulle conseguenze della strada che aveva imboccato l’IBP, ma ho aspettato per veder più chiaro. In seguito sono stato particolarmente indignato dalla costatazione del silenzio sulle grandi questioni in cambio di concessioni – penso tra l’altro al grave problema della comunione ai “divorziati risposati”. Non si vedeva più la determinazione nel denunciare pubblicamente i problemi, nemmeno su un argomento così evidente come quello della famiglia. Questa rinuncia ad ogni critica pubblica in rapporto alle questioni cruciali di oggi (che era l’ideale dell’IBP), andava di pari passo con la durezza di posizioni nelle discussioni private ed addirittura con la severità nei confronti dei fedeli che esprimevano la minima critica su questa inversione di rotta. Sono anche stato testimone involontario della strumentalizzazione dell’assoluzione sacramentale. 

            Non era più possibile avallare una simile attitudine. Era ben venuta l’ora di fare la scelta che la Provvidenza m’indicava. Vedevo che alla Comunità San Gregorio non c’era questa doppiezza d’espressione e, sinceramente, è forse ciò che mi ha toccato maggiormente.

           
Potrebbe parlarci della vita quotidiana alla Comunità San Gregorio Magno?

            Fin dal mio arrivo qui a Camerino, ho prima di tutto trovato i benefici della vita in comunità. Orari regolari, preghiera e ufficio in comune, pasti fraterni nel corso dei quali possiamo parlare apertamente, discutere sulla vita della Chiesa e, più in generale, sulla situazione odierna. Tutto ciò permette di riflettere tra sacerdoti sulle grandi questioni della società e soprattutto di sostenersi reciprocamente. La giornata si articola in tempi d’approfondimento, di lettura e in piccoli lavori manuali, classici in ogni fondazione. I miei confratelli già dicono che sono un esperto del bricolage

19 agosto 2015

L’Eucarestia secondo Kasper



di Antonio Livi


(II)

Mons. Antonio Livi
 

 Per leggere la prima parte dell’articolo cliccare QUI.

Alcuni esempi di come Kasper, ricorrendo a categorie filosofiche inadeguate, non riesca mai a interpretare correttamente il dogma eucaristico.

In seguito alla pubblicazione dell’enciclica Ecclesia de Eucharistia di papa Giovanni Paolo II[18], Walter Kasper volle commentarla in lunga intervista alla rivista italiana Trentagiorni per valutarne gli “effetti” nei confronti del dialogo ecumenico[19]. Leggendo le sue risposte si comprende come egli guardi all’Eucaristia in un’ottica umanistica e sociologica, che è l’ottica con la quale egli crede di dover affrontare da teologo i temi dell’ecclesiologia. In effetti, l’argomento pressoché unico di tutti gli scritti e i discorsi di Kasper è la Chiesa, vista però non come mistero soprannaturale intrinsecamente connesso ai dogmi della Trinità e dell’Incarnazione, bensì come una realtà umana sociologicamente rilevabile,  che dal teologo tedesco viene identificata con la comunità di quanti professano la fede in Cristo, una comunità che è dinamicamente proiettata verso l’avvento del “Regno” e che oggi è chiamata a superare le divisioni confessionali del passato tra cattolici, ortodossi  e  protestanti. Al fine ultimo dell’azione ecumenica Kasper riduce ogni altro aspetto della Chiesa e dell’Eucaristia nella vita della Chiesa; l’Eucaristia come sacramento in senso proprio resta in un secondo piano, mentre in primo piano viene collocata la Chiesa, la cui “sacramentalità”, enunciata dal Concilio, è però da intendersi in senso soltanto improprio, cioè derivato per analogia. Sicché l’inevitabile ammissione della natura sacrificale della santa Messa (inevitabile in un commento all’enciclica, che di questo principalmente tratta) va di pari passo, nel discorso di Kasper, con la mancanza di ogni riferimento alla “presenza reale” di Cristo nell’Eucaristia, e quindi al culto di adorazione che la Chiesa le tributa, sia nella liturgia che nella pietà individuale dei fedeli. Ecco in proposito le parole di Kasper:

«Nel nostro tempo si assiste a tutta una fioritura di rituali prodotti quasi a ritmo commerciale, ma sembra perdersi la percezione stessa della specificità storica dei sacramenti cristiani. Per riprendere un’immagine usata una volta dal cardinale Danneels, si assiste a una sorta di atrofizzazione, di "accecamento", per cui non si percepisce più la sacramentalità della Chiesa stessa, soprattutto nelle terre di antica evangelizzazione. Già il Concilio Vaticano II, con la costituzione Lumen gentium e con quella sulla liturgia, ha richiamato la natura sacramentale della Chiesa. Ma dopo si sono registrati una banalizzazione, un appiattimento, che certo non possono essere imputati al Concilio. Anche grazie al dialogo coi fratelli protestanti abbiamo imparato l’importanza del ministero della Parola. Ma intanto i sacramenti rischiano di non essere più il punto di gravità della pastorale cattolica»[20].


31 luglio 2015

Il fondo inquietante della proposta kasperiana

Mons. Livi, decano di Filosofia alla Pontificia Università Lateranense, interviene sul Sinodo di ottobre
                                                                  
31 luglio 2015, Sant’Ignazio di Loyola



Nel nostro ultimo articolo sui rischi di profanazione del Sacramento della Confessione, avevamo rilevato: “ecco il processo che sta dietro a questi fenomeni e che è una realtà di portata ben più ampia dei punti specifici dei “divorziati risposati” e degli omosessuali. Siamo davanti all’assalto finale del pensiero gnostico-massonico alla Chiesa di Cristo”. Per cogliere la portata dello scontro in atto Disputationes Theologicae intende esaminare gli aspetti sottostanti alla scandalosa “proposta Kasper”, o da essa implicati. In questa prospettiva Mons. Livi analizza il fondo della “teologia eucaristica” dell’ecclesiastico tedesco.



L’Eucarestia secondo Kasper

di Antonio Livi


Walter Kasper è nato in Germania il 5 marzo 1933, a Heidenheim (Brenz) nei pressi di Rottemburg. Completati gli studi di Filosofia e di Teologia presso la Facoltà teologica cattolica dell’Università di Tubinga, nel 1961 ha conseguito il  dottorato con una tesi su Die Lehre von der Tradition in der Römischen Schule, e ha ottenuto  la libera docenza in Teologia quattro anni dopo. Dal 1964 al 1970 ha insegnato nell’Università di Münster e dal 1971 è ritornato nell’ Università di Tubinga come ordinario di Teologia dogmatica. Ordinato sacerdote nel 1957, è stato consacrato Vescovo di Rottenburg-Stoccarda nel 1989. Nel 1994 hanno inizio i suoi incarichi nel campo dell’ecumenismo con la nomina come co-presidente della Commissione Internazionale di dialogo cattolica-luterana, cui fa seguito nel marzo 1999 la nomina come segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e nel marzo del 2001 la nomina come presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Nel Concistoro del 21 febbraio 2001 Kasper è stato elevato alla porpora cardinalizia.

La produzione teologica di Kasper è costituita da saggi di argomento prevalentemente ecclesiologico e pastorale; l’edizione completa delle sue opere, programmata da Herder Verlag, prevede finora diciotto volumi[1]. La prima osservazione da fare a riguardo di queste opere e di quelle che si sono poi aggiunte negli ultimi anni, è che in esse risulta evidente la mancanza di una corretta metodologia teologica.

31 maggio 2015

Missionari della Misericordia o della profanazione della Confessione?

Riflessioni a margine di un intervento del “papabile” Card. Tagle

                                                                                                         
31 maggio 2015, Maria Regina




Quali sono le manovre in vista del prossimo Sinodo d’ottobre e del post-Sinodo? Si concederà apertamente la Comunione ai pubblici peccatori o la sovversione prenderà forme meno vistose, ma non meno efficaci? Alcune recenti dichiarazioni del Card. Tagle ci mettono sulla pista che il partito progressista - memore della scottante bocciatura della “linea Kasper” al Sinodo dell’ottobre 2014 - potrebbe percorrere se dovesse andargli male anche quello del 2015. Manovre in cui una certa scaltrezza gesuitica potrebbe sommarsi all’ambiguità sfuggente del modernismo.

Nella realtà dei fatti già la pretesa alla ricezione indegna della Santissima Eucarestia - come ha detto coraggiosamente il Card. Burke - ha ricevuto un incremento esponenziale, a causa delle aspettative ingenerate dalla scandalosa Relazione introduttiva al Concistoro del febbraio 2014, affidata al Card. Kasper, e della generale percezione che questa linea abbia il sostegno di più alta autorità.  Per dar l’idea delle tendenze in crescita si pensi al recente intervento di un Vescovo della Colombia, Mons. Cordoba, che in occasione di un forum, pur dicendo che “la Chiesa non riconoscerà mai come famiglia l’unione tra persone dello stesso sesso”, ha anche detto : “nessuno ha scelto di essere omosessuale o eterosessuale. Semplicemente si sente, si ama, si sperimenta, ci si attrae. E nessuna attrazione di per sé è cattiva (…) il peccato è un’altra cosa. E’ semplicemente il non rispettare la dignità degli altri (…). Fratelli omosessuali, nel caso vi sposaste, abbiate belle famiglie, basate sulla fedeltà, ed educate i figli con amore” (Cfr. Semana, 14 maggio 2015). Non risulta che questo Vescovo sia stato commissariato o destituito, come ben poco misericordiosamente è stato fatto con altri di linea opposta…

Ma particolarmente emergono le dichiarazioni del Card. Tagle. Un prelato il cui nome circola insistentemente come “papabile” (forse anche per certi problemi di salute di Papa Bergoglio, noti ai Cardinali elettori solo dopo l’elezione). Cercheremo in questa sede d’analizzare tali affermazioni, soprattutto perché non ci si riduca unicamente ad aspettare il nemico ad un varco dal quale potrebbe non passare e perché non ci si lasci ostinatamente illudere.


30 aprile 2015

Il rapporto tra croce e altare nell'antichità cristiana

Testimonianze storiche ed archeologiche

(II)


Segue; qui la prima parte dell’articolo.





Un elemento mobile

Nel Vaticanus Reginensis 316, noto anche come Sacramentario Gelasiano, databile al 750 circa, nelle pagine che descrivono il rito del Venerdì Santo, si legge: “hora nona procedunt omnes ad ecclesiam; et ponitur crux super altare”; non è chiaro se sia un resto di riti gerosolimitani o il ritorno della croce, celata durante la quaresima, ma è certo che la croce è messa sull’altare subito dopo l’ingresso; dopo alcune orazioni “ ingrediuntur diaconi in sacrario. Procedunt cum corpore et sanguinis Domini quod ante die remansit, et ponunt super altare. Et venit sacerdos ante altare adorans crucem Domini et osculans[47]. L’identificazione tra altare e Calvario è palese anche nei suoi aspetti di mistica e didattica eucaristica, non senza analogie col sermone di S. Agostino: “accostatevi a prendere da questo altare con timore e tremore; sappiate riconoscere nel pane ciò che pendette dalla croce e nel calice ciò che sgorgò dal costato”[48]. Il testo del Sacramentario parla inoltre chiaramente di croce sull’altare prima del dispiegamento delle tovaglie per accogliere le  specie eucaristiche; la croce doveva essere sull’altare, ma in posizione distaccata dalla mensa, per non intralciare la disposizione delle sacre specie.

In Occidente fonti più tarde attestano che la croce veniva portata sull’altare solo nel momento della celebrazione eucaristica; Innocenzo III riferisce nel De Sacro Altaris Mysterio: “inter duo candelabra in altari crux collocatur media[49]; nell’Ordo Bernhardi si specifica che durante il canto della Messa “crux a mansionariis super altare maius ponitur[50]. Abbiamo inoltre l’attestazione che in alcune diocesi di Francia fino al secolo XVI vigeva la norma che fosse il celebrante a portare la croce sull’altare[51]. Il grande numero di croci astili realizzate nel Medioevo in modo da poter essere staccate dall’asta e che presentano la possibilità di essere infisse su un piedistallo trova forse una ragione anche in questa logica[52]; in proposito il Cӕremonialis Episcoporum fa fede di un utilizzo che prevede una croce mobile, indipendente dall’elemento che la sorregge, allorquando per l’adorazione del Venerdì Santo parla di “staccare la croce dal piedistallo”[53]

19 marzo 2015

Il rapporto tra croce e altare nell'antichità cristiana


Testimonianze storiche ed archeologiche

(I)


19 marzo 2015, San Giuseppe



Lo studio della liturgia antica, in particolare romana, si scontra fin dal suo delinearsi, con la difficoltà a ricostruire con precisione la disposizione dello spazio presbiterale dei primi otto secoli dell’era cristiana. Non è sempre facile ricostruire con precisione lo spazio absidale e la stessa posizione dell’altare con i relativi arredi pone ancor oggi dei problemi in parte irrisolti. Sappiamo con certezza che in epoca medievale e moderna la prescrizione della presenza della croce in corrispondenza della mensa è raccomandata come fondamentale dai messali e dalla tradizione dei diversi riti. Siamo anche certi che già a partire dai primi secoli del secondo millennio, nelle differenti famiglie liturgiche dell’orbe cristiano, la rappresentazione nello spazio d’altare della croce è ormai generalizzata: la sua presenza ricorda il sacrificio del Venerdì Santo e sottolinea il significato teologico della Messa. Più discussa fra gli studiosi è l’epoca dell’introduzione di tale elemento come arredo centrale dell’altare, soprattutto se il dibattito storico riguarda il primo millennio dell’era cristiana.

Nell’analisi che segue si tenterà di approfondire il legame simbolico-liturgico tra la celebrazione eucaristica, l’altare e la croce. Si cercherà, a seconda dei territori analizzati e con particolare riferimento alla penisola italiana, di verificare se sia possibile proporre una datazione relativa alla sicura presenza della croce in ambito cultuale, quale elemento fondamentale e centrale nella disposizione dell’altare.

E’ bene premettere che le fonti letterarie e i ritrovamenti archeologici in proposito sono di una disarmante esiguità e che i ritrovamenti locali e sporadici - tenendo conto anche del particolarismo liturgico dell’orbe cristiano antico - mal si prestano a generalizzazioni troppo affrettate. E’ noto che nel campo della storia della liturgia la prudenza deve essere particolare preoccupazione del ricercatore, non solo per la delicatezza dell’argomento, ma anche perché le molte ricostruzioni accademiche fatte “a tavolino”, hanno col tempo rivelato le incertezze e le incongruenze di tesi audaci e a volte infondate. Per converso è noto quanto il conservatorismo rituale incida sulla liturgia, al punto che, almeno fino ad epoca recente, è più facile incontrare usi di cui si fosse persa la ragione che assistere ad introduzioni ex nihilo. Nel caso di una tradizione nota e ricorrente - come la presenza della croce sull’altare - è metodologicamente più corretto dimostrare l’epoca della sua introduzione, piuttosto che negarne l’esistenza in epoca antica sulla base di silenzi delle fonti, giacchè l’assenza di prove non è sempre prova di un’assenza[1].

Per inciso giova anche rammentare che la storia della liturgia si trova, per più ragioni, esposta a interpretazioni spesso arbitrarie; la proiezione nell’antichità di dibattiti teologici recenti ha spesso  falsato la panoramica e un primitivismo dalle utopie retrospettive ha attribuito ai cristiani della tarda antichità problemi molto lontani dalle loro menti. 

27 febbraio 2015

La coraggiosa lettera aperta di Mons. Lenga


La Fraternità San Pietro e l’Istituto del Buon Pastore, coi loro sostenitori, cosa dicono? Hanno forse venduto la libertà di dire la verità per assicurarsi (Es. 16, 1) “le pentole della carne” ?

Nicolas Fulvi

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Riflessioni su vari temi di attualità 
legati alla crisi della Chiesa cattolica



Ho conosciuto personalmente molti sacerdoti internati in campi di prigionia staliniani, ma rimasti fedeli alla Chiesa. Al tempo della persecuzione essi hanno esercitato con amore il loro dovere sacerdotale di predicare la dottrina cattolica conducendo una vita dignitosa nella sequela di Cristo, loro maestro divino.

Io stesso ho fatto tutti i miei studi in un seminario clandestino dell'Unione Sovietica lavorando con le mie mani per guadagnarmi il pane quotidiano. Sono stato ordinato in segreto, di notte, da un vescovo che aveva anche lui sofferto per la sua fede. Nel mio primo anno di sacerdozio sono stato espulso dal Tagikistan dal KGB.

Più tardi, durante i miei 30 anni di soggiorno in Kazakistan, ho servito per 10 anni come sacerdote per seguire i fedeli di 81 parrocchie. Poi sono stato nominato vescovo, dapprima come guida dei cinque paesi dell'Asia centrale che si estende su una superficie di circa quattro milioni di chilometri quadrati.
Come vescovo sono stato in contatto con il santo Papa Giovanni Paolo II, con molti vescovi, sacerdoti e fedeli provenienti da diversi paesi nelle più diverse circostanze. Ero un membro dei Sinodi dei Vescovi in ​​Vaticano, sui temi «Asia» e «Eucaristia».

Tutto ciò - e molte altre cose - mi permette di esprimere la mia opinione sulla crisi attuale della Chiesa cattolica. Queste mie personali convinzioni sono dettate dal mio amore per la Chiesa e dal desiderio del suo vero rinnovamento in Cristo. Sono costretto a scegliere la forma di una lettera aperta, poiché a qualsiasi altro metodo di comunicazione si opporrebbe un muro di silenzio totale e la volontà di ignorare.

Sono pienamente consapevole delle possibili reazioni alla mia lettera aperta. Ma la voce della mia coscienza non mi permette di tacere quando l'opera di Dio è oltraggiata. È Gesù Cristo che ha fondato la Chiesa e ha mostrato in parole e azioni il modo in cui la volontà di Dio deve essere compiuta. Gli apostoli ai quali ha trasmesso l'autorità nella Chiesa hanno portato avanti con zelo il compito loro affidato soffrendo per la verità da proclamare, perché essi hanno «obbedito a Dio piuttosto che agli uomini ».

29 gennaio 2015

L’interessata riesumazione del Père Dupuis

Prove generali del Vaticano III, contro la Dominus Jesus


29 gennaio 2015, San Francesco di Sales



Alberto Melloni con Enzo Bianchi



Non è un caso che da qualche tempo, nell’attuale complesso quadro dottrinale ed ecclesiale, sia in atto - unitamente ad una vera e propria “liquidazione” organizzata della Dominus Jesus - un’opera di rivalutazione delle teorie del gesuita Jacques Dupuis, la cui condanna, sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II, fu un evento di portata non secondaria. In nome del famoso “Spirito del Concilio” (ormai Vaticano III o IV) sono state anche avanzate delle aperte accuse all’allora Card. Ratzinger - Benedetto XVI -, affermando che l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede non sarebbe stato in sintonia con Giovanni Paolo II[1]. Quest’ultimo - non senza una buona dose di spregiudicatezza politica - viene dipinto in quest’operazione come vicino nientemeno che alle teorie (ereticali) del Dupuis. Si misconosce che Papa Giovanni Paolo II dedicò l’Angelus del 1 ottobre 2000 alla Dichiarazione Dominus Jesus, e già rispondeva: “che l’ho voluta io, che è perfettamente conforme al mio pensiero[2], come riportato anche nella testimonianza resa dal Card. Tarcisio Bertone, allora Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Nella stessa sede (il libro “L’ultima veggente di Fatima”) il porporato testimonia anche l’interessante genesi del suddetto documento: al medesimo Pontefice erano pervenute numerose testimonianze da missionari di tutto il mondo, secondo le quali la marea ecumenista stava provocando un danno al vigore missionario[3].

I fautori del Vaticano Terzo infatti hanno in speciale antipatia la Dichiarazione Dominus Jesus, vista come un testo che volle porre, pur coi limiti dei testi di compromesso, un freno ai loro progetti di estrema dissoluzione dei contenuti della fede. Il dissenso non si limita a parti accidentali o a ciò che potrebbe in certa misura essere ancora una questione aperta, ma si scatena proprio