Mons.
Livi, decano di Filosofia alla Pontificia Università Lateranense, interviene
sul Sinodo di ottobre
31 luglio 2015,
Sant’Ignazio di Loyola
Nel
nostro ultimo articolo sui rischi di profanazione del
Sacramento della Confessione, avevamo rilevato: “ecco il processo che sta dietro a questi
fenomeni e che è una realtà di portata ben più ampia dei punti specifici dei
“divorziati risposati” e degli omosessuali. Siamo davanti all’assalto finale
del pensiero gnostico-massonico alla Chiesa di Cristo”. Per cogliere la
portata dello scontro in atto Disputationes
Theologicae intende esaminare gli aspetti sottostanti alla scandalosa
“proposta Kasper”, o da essa implicati. In questa prospettiva Mons. Livi
analizza il fondo della “teologia eucaristica” dell’ecclesiastico tedesco.
L’Eucarestia secondo Kasper
di Antonio Livi
Walter
Kasper è nato in Germania il 5 marzo 1933, a Heidenheim (Brenz) nei pressi di
Rottemburg. Completati gli studi di Filosofia e di Teologia presso la Facoltà
teologica cattolica dell’Università di Tubinga, nel 1961 ha conseguito il dottorato con una tesi su Die
Lehre von der Tradition in der Römischen Schule, e ha ottenuto la libera docenza in Teologia quattro anni
dopo. Dal 1964 al 1970 ha insegnato nell’Università di Münster e dal 1971 è
ritornato nell’ Università di Tubinga come ordinario di Teologia dogmatica.
Ordinato sacerdote nel 1957, è stato consacrato Vescovo di Rottenburg-Stoccarda
nel 1989. Nel 1994 hanno inizio i suoi incarichi nel campo dell’ecumenismo con
la nomina come co-presidente della Commissione Internazionale di dialogo cattolica-luterana,
cui fa seguito nel marzo 1999 la nomina come segretario del Pontificio
Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e nel marzo del 2001 la
nomina come presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Nel
Concistoro del 21 febbraio 2001 Kasper è stato elevato alla porpora
cardinalizia.
La
produzione teologica di Kasper è costituita da saggi di argomento
prevalentemente ecclesiologico e pastorale; l’edizione completa delle sue
opere, programmata da Herder Verlag, prevede finora diciotto volumi[1]. La prima osservazione
da fare a riguardo di queste opere e di quelle che si sono poi aggiunte negli
ultimi anni, è che in esse risulta evidente la mancanza di una corretta
metodologia teologica.
Ogni singola tesi sostenuta da Kasper (che raramente ha i caratteri dell’originalità, visto che l’autore si accontenta di ripetere quanto già sostenuto dai suoi maestri, a cominciare da Karl Rahner), se analizzata da un punto di vista rigorosamente epistemologico, appare priva di quella consistenza epistemica che caratterizza la vera teologia; le sue ricerche teologiche non sono (e nemmeno si propongono di essere) un’ipotesi di interpretazione scientifica della fede professata dalla Chiesa attraverso la Sacra Scrittura, le formule dogmatiche e la liturgia: sono piuttosto espressioni di una ambigua “filosofia religiosa”, termine con il quale io designo quell’arbitraria interpretazione delle nozioni religiose proprie del cristianesimo che ha prodotto nell’Ottocento i grandi sistemi dell’idealismo storicistico, come quello di Hegel e quello di Schelling[2]. A questi sistemi di pensiero - che epistemologicamente sono da considerare esclusivamente filosofici ma che nell’ambiente luterano nel quale sono sorti sono considerati anche teologici - si sono ispirati nel Novecento e si ispirano oggi molti teologi cattolici, tra i quali proprio Walter Kasper, il quale si è formato presso quella scuola di Tubinga che, come egli stesso scrive compiaciuto in una sua opera prima,
Ogni singola tesi sostenuta da Kasper (che raramente ha i caratteri dell’originalità, visto che l’autore si accontenta di ripetere quanto già sostenuto dai suoi maestri, a cominciare da Karl Rahner), se analizzata da un punto di vista rigorosamente epistemologico, appare priva di quella consistenza epistemica che caratterizza la vera teologia; le sue ricerche teologiche non sono (e nemmeno si propongono di essere) un’ipotesi di interpretazione scientifica della fede professata dalla Chiesa attraverso la Sacra Scrittura, le formule dogmatiche e la liturgia: sono piuttosto espressioni di una ambigua “filosofia religiosa”, termine con il quale io designo quell’arbitraria interpretazione delle nozioni religiose proprie del cristianesimo che ha prodotto nell’Ottocento i grandi sistemi dell’idealismo storicistico, come quello di Hegel e quello di Schelling[2]. A questi sistemi di pensiero - che epistemologicamente sono da considerare esclusivamente filosofici ma che nell’ambiente luterano nel quale sono sorti sono considerati anche teologici - si sono ispirati nel Novecento e si ispirano oggi molti teologi cattolici, tra i quali proprio Walter Kasper, il quale si è formato presso quella scuola di Tubinga che, come egli stesso scrive compiaciuto in una sua opera prima,
«ha avviato un rinnovamento
della teologia e dell’intero cattolicesimo tedesco nell’incontro con Schelling
ed Hegel»[3],
il cosiddetto «incontro con Schelling ed Hegel», che i teologi
appartenenti alla scuola di Tubinga hanno ritenuto necessario per “rinnovare”
la teologia e con essa l’intera Chiesa “conciliare”, è in realtà un
incomprensibile regresso alle posizioni ideologiche di quei teologi (non a caso
anch’essi tedeschi) che nell’Ottocento erano stati condannati dalla Santa Sede
proprio per l’adozione in teologia
delle categorie filosofiche dell’idealismo hegeliano
e schellinghiano. Il fatto che nel Novecento
degli studiosi cattolici abbiano voluto combattere la loro battaglia
contro la tradizione metafisica in teologia mediante la sistematica ripresa di
una filosofia religiosa nata in ambiente luterano e sempre criticata in
ambiente cattolico, non ha altra spiegazione plausibile se non la loro sudditanza psicologica nei
confronti dei teologi luterani, la cui egemonia nella cultura tedesca è sempre
stata assoluta (si consideri che persino la critica di Hegel svolta da
Kierkegaard è sorta ed è rimasta all’interno della cultura religiosa luterana).
Tra Hegel e Schelling, Kasper predilige quest’ultimo, chiamandolo «gigante
solitario»[4]
e mostrandosi affascinato dal carattere gnostico delle sue ricerche filosofico-religiose,
senza avvertire alcun imbarazzo di fronte al loro esito chiaramente panteistico[5].
La ripresa di temi specificamente schellinghiani da parte di Kasper mi fa
pensare all’analoga scelta metodologica operata da un altro teologo cattolico
tedesco, Klaus Hemmerle, alla cui scuola si è formato poi in Italia Piero Coda,
entrambi analiticamente da me criticati per via del metodo teologico,
radicalmente incompatibile con quella della vera teologia[6].
Kasper sembra condividere senza riserve le premesse
immanentistiche dell’analisi filosofica della fede cristiana condotta da
Schelling, e nelle parole con le quali egli si dichiara convinto di dover
“rinnovare” la teologia cattolica proprio sulla base di quelle premesse si
avverte chiaramente come egli sia privo di quel senso critico che è il primo
requisito di ogni ricerca scientifica, tanto che la sua sintesi della filosofia
religiosa di Schelling è un accumulo di parole senza senso:
«Schelling non concepisce in modo statico, metafisico e
sovratemporale il rapporto tra naturale e soprannaturale, bensì in modo
dinamico e storico. L’essenziale della rivelazione Cristiana è proprio questo,
che essa è storia»[7].
Che significa che la rivelazione cristiana, nella sua “essenza”
(termine indubbiamente metafisico, ma che deve essere sfuggito a Kasper), è
“storia”? Storia di che cosa, storia di chi? Si deve forse intendere la storia
degli uomini (quello che Kasper chiama la «natura») in rapporto all’azione di
Dio (il «soprannaturale»)? In questo caso, si tratterebbe della nozione
teologica di “storia della salvezza”, ossia dell’iniziativa salvifica di Dio
Creatore e Redentore, che è rivelata all’uomo da Dio stesso, prima tramite i
Profeti e poi, definitivamente, mediante l’Incarnazione del Verbo. Questa però
non può essere la concezione di Kasper, perché corrisponde pienamente alla
dottrina teologica tradizionale, che per Kasper sarebbe da rigettare in quanto
presupporrebbe un «modo statico,
metafisico e sovratemporale» di concepire «il rapporto tra naturale e
soprannaturale». Ora, tenendo conto del fatto che, parlando di un «rapporto tra
naturale e soprannaturale», Kasper ammette (involontariamente) la distinzione tra
il mondo (la creazione) e Dio (il Creatore), uno dei due termini del rapporto,
Dio, non può essere identificato con la “Storia”: a meno che non si voglia, in
definitiva, escludere Dio dal discorso teologico e parlare solo del mondo e
delle sue vicissitudini, anche quando si tratta della vita religiosa e della
Chiesa. Il che è proprio quello che intende Kasper, come ben presto si vedrà.
In un’ecclesiologia immanentistica il
mistero eucaristico non trova più il proprio spazio teologico.
I frequenti cambiamenti di tesi
teologiche che hanno caratterizzato la produzione scientifica e la
pubblicistica divulgativa di Kasper fanno pensare che il criterio (i target, la
finalità, lo scopo finale) dei suoi discorsi non sia tanto una valida proposta
di interpretazione del dogma, animata dallo
zelo per la sua applicazione salvifica alla vita dei fedeli, quanto
piuttosto l’ansia di imporsi nell’opinione pubblica come figura di rilievo
dell’ala progressista della teologia contemporanea, soprattutto in rapporto
all’ecumenismo, ossia al “dialogo” con i protestanti in vista di un
“riavvicinamento” rituale e dottrinale tra loro e la Chiesa cattolica. In ogni
caso, va detto che, nelle opere di
Kasper, la continua proposta di “riforme” della Chiesa - riforme istituzionali, liturgiche,
pastorali - ignora il necessario riferimento alla fondamentale “forma” che la
Chiesa ha per istituzione divina; e ciò dipende dalla svalutazione dei principi
propriamente teologici dell’ecclesiologia, a cominciare dal riconoscimento
esplicito della natura divina di Cristo come Verbo Incarnato che ha affidato
alla Chiesa da Lui fondata la prosecuzione della sua missione salvifica con il
fedele annuncio dei misteri soprannaturali e la grazia santificante dei
sacramenti. I principi propriamente teologici dell’ecclesiologia erano stati
giustamente connessi con il dogma cristologico (e anche a quello mariologico)
negli anni precedenti il Concilio da un altro teologo del Novecento, lo
svizzero Charles Journet, il quale aveva saputo
ripresentare e sviluppare
coerentemente i principi essenziali della tradizione dogmatica su Cristo, Maria
e la Chiesa nel suo trattato su L’Église
du Verbe Incarné[8], la cui dottrina
risulta in gran parte recepita nella
costituzione dogmatica Lumen gentium,
specie nell’ottavo capitolo, lì dove il
Concilio parla di Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa[9]. Ma Kasper, che pure
si presenta come “teologo conciliare”, ignora sistematicamente le nozioni
propriamente teologiche dell’ecclesiologia, anzi pretende di “purificare” la
fede cattolica dalle «forme e formule» che pure erano state riconfermate
solennemente dal Vaticano II, in quanto proprio queste «forme e formule» assicurano il carattere soprannaturale
(trascendente) delle realtà divine e giustificano il culto di adorazione che la
Chiesa tributa a Cristo, che è Dio, il Verbo eterno che nel tempo si è fatto
carne ed è realmente presente nell’Eucaristia, così come giustificano la
venerazione nei confronti di Maria, riconosciuta come Madre di Dio in quanto è la vera Madre di Cristo che è Dio[10]. La battaglia per
l’abolizione di termini teologici dal sapore “metafisico”, presentata come mera
esigenza pastorale (la solita pretesa necessità di abbandonare un linguaggio
che risulterebbe incomprensibile e inaccettabile per l’uomo di oggi), è
indirizzata in realtà a eliminare dalla “predicazione” tutti i principi di base
dell’ecclesiologia cattolica, sottomettendoli a una sistematica critica
razionalistica, a cominciare proprio dalla nozione di “Verbo Incarnato”. Questa
infatti è ridotta in termini immanentistici nella sua opera più nota, Jesus der
Christus[11], dove Kasper propone la “sua” cristologia in
chiave antimetafisica: si tratta in realtà di una riformulazione del dogma
cristiano attraverso l’adozione delle categorie immanentistiche proprie della
filosofia religiosa di Schelling, il quale riduce le tre Persone divine a tre
“modi di sussistenza” di un’unica realtà divina, la cui natura si risolve nella
storia del suo manifestarsi al mondo. Nell’orizzonte di questa Selbstoffenbarung Gottes, Cristo non è
più creduto e adorato come Mediatore tra Dio e gli uomini[12],
ma è ridotto alla manifestazione storica della Trinità “economica”[13].
Kasper non riesce a emanciparsi dalla filosofia della rivelazione
schellinghiana, come invece aveva fatto nel suo stesso ambiente tedesco Romano
Guardini[14],
e così, da teologo cattolico finisce per ostinarsi in un’opera insensata di decostruzione
del dogma cristologico tradizionale; persino le prove storiche della divinità
di Cristo - ossia i miracoli da Lui operati con l’esplicita intenzione di
mostrare la sua onnipotenza e sostenere così la fede dei discepoli - vengono
sottoposti da Kasper al dubbio sulla
loro effettiva verità fattuale e sul loro significato teologico in rapporto
alla fede, sicché in definitiva vengono a essere negate per quello che
essenzialmente sono, cioè l’evidenza empirica dell’intervento di Dio, facente
parte dei motivi di credibilità. Dalla negazione implicita della
divinità di Cristo deriva l’uso insistito che Kasper fa dell’espressione «il
Dio di Gesù Cristo», espressione che
appare anche come titolo di una delle sue opere dianzi citate (Der Gott Jesu Christi) e che, in quanto separa
il nome di Dio dal nome di Cristo, insinua semanticamente la negazione della
divinità di Gesù, non riconosciuto come l’unigenito Figlio di Dio,
consustanziale al Padre[15]. In realtà, Kasper partecipa in pieno a quella
corrente ideologica che fa capo a Hans Küng e a Kar Rahner e che intende la
teologia come antropologia, suggerendo alla Chiesa di parlare non tanto di Dio
quanto dell’uomo[16]; in conformità a questo preciso indirizzo
speculativo, Kasper mette da parte il discorso sulla duplice natura di Cristo,
Verbo eterno (discorso che logicamente ha senso solo se si ammettendo che le
categorie metafisiche di “persona” e di “natura” siano adeguate alla necessaria
formulazione dogmatica del mistero soprannaturale contenuto nella Rivelazione)
e riduce la cristologia a un discorso di stampo fenomenologico sulla coscienza
di Gesù come “uomo che parla di Dio”.
CONTINUA
[1] Vol. 1: Die
Lehre von der Tradition in der Römischen Schule; vol. 2: Das
Absolute in der Geschichte; Vol. 3: Jesus der Christus; vol. 4: Der Gott Jesu Christi; vol. 5: Das
Evangelium Jesu Christi; vol. 6: Theologie und Wissenschaft; vol. 7: Grundlagen
der Dogmatik; vol. 8: Gott, der Schöpfer und Vollender;
vol. 9: Jesus Christus, das Heil der Welt; vol. 10: Die
Liturgie der Kirche; vol. 11: Die Kirche Jesu Christi; vol. 12: Die
Kirche und ihre Ämter; vol. 13: Katholische Kirche; vol. 14: Wege
zur Einheit der Christen; vol. 15: Einheit in Jesus Christus: vol.
16: Kirche und Gesellschaft; vol. 17: Pastoral;
vol. 18: Predigten.
[2] Vedi Antonio
Livi, Vera e falsa teologia. Come
distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia
religiosa”, Leonardo
da Vinci, Roma 2012.
[3] Walter Kasper, Das Absolute in der
Geschichte. Philosophie und Theologie der Geschichte in der Spätphilosophie
Schellings, Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz
1965; trad. it.: L’assoluto nella
storia nell’ultima filosofia di Schelling,
Jaca Book, Milano 1986, p. 53.
[4] Walter Kasper, Das
Absolute, trad. it. cit., p. 90.
[5] La metafisica storicistica di Friedrich Schelling
(1775-1854), eliminata la trascendenza di un Dio creatore e provvidente, elabora
alla fine una nozione di Storia (Geschichte)
che figura come unico agente universale di ogni evento, con le caratteristiche
dell’«anima mundi» degli Stoici e del «Deus sive natura» di Spinoza. Nella sua
ultima opera, Philosophie der Offenbarung (1858), Schelling contrappone al
cristianesimo “dogmatico” il cristianesimo “della storia”, e riduce la nozione
realistica di “rivelazione” a quella immanentistica di autocoscienza (Selbsbewußtsein) dello Spirito nel suo
sviluppo storico.
[6] Vedi
Antonio Livi, Vera e falsa teologia, cit., pp. 246-255. Dello stesso avviso è un
storico della Chiesa, il quale ha parlato di «quei
teologi - ed oggi son i più - che si son formati non sulla Summa di san Tommaso d'Aquino e nemmeno su quei "loci"
che Melchior Cano individuò soprattutto nella Rivelazione, nella Chiesa e nella
Tradizione, ma sui testi di rinomati maîtres-à-penser,
preferibilmente postconciliari, quasi tutti sensibili alla suggestione d'un
hegelismo vagamente cristianizzato, che ciò nonostante imprigiona il messaggio
evangelico nelle maglie del divenire, lo spoglia d'ogni sua componente
soprannaturale e lo riduce ad un dato
sempre cangiante dell'immanenza» (Roberto de Mattei, “Pasticcio Kasper”,
in Il foglio, 1° ottobre 2014, pp.
1-3).
[7] Walter
Kasper, Das Absolute, trad. it. cit.,
p. 206.
[8] Cfr Charles Journet, L’Église du Verbe Incarné. Essai de théologie speculative, tomo I: La hiérarchie apostolique, Téqui, Paris 1941; tomo II: Sa structure interne et son unité catholique, Desclée de Brouwer, Paris 1952. Nuova edizione riveduta: Charles Journet, L’Église du Verbe Incarné, 5 voll., Editions Saint-Augustin, Saint-Maurice 1998-2005. Vedi Antonio Livi, “Presentazione”, in Charles Journet, Maria corredentrice, Edizioni Ares, Milano 1989, pp. 6-10; Idem, Marian Coredemption in the Ecclesiology of Cardinal Charles Journet, in Mary at the Foot of the Cross, VII: Corredemptrix, therefore Mediatrix of All Graces, a cura di Alessandro Apolloni, Academy of the Immaculate, New Bedford, Massachusetts 2008, pp. 355-366.
[9] Cfr Concilio Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, §§ 52-69.
[10] Vedi Concilio Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, § 61: «La beata Vergine, predestinata fino dall'eternità, all'interno del disegno d'incarnazione del Verbo, per essere la madre di Dio, per disposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l'alma madre del divino Redentore, generosamente associata alla sua opera a un titolo assolutamente unico, e umile ancella del Signore, concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore, coll'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell'ordine della grazia». Si noti in particolare l’espressione «vita soprannaturale delle anime», che costituisce la più formale smentita delle pretese di certa esegesi dei testi conciliari (penso a Yves-Marie Congar, a Henri de Lubac, e infine a Karl Rahner, maestro di Kasper) nei quali non si troverebbero più né il sostantivo “anima” né l’aggettivo “soprannaturale”, considerati residui della teologia scolastica.
[11] Cfr Walter Kasper, Jesus der Christus, Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 1974; trad. it.: Gesù il Cristo, Editrice Queriniana, Brescia 1974.
[8] Cfr Charles Journet, L’Église du Verbe Incarné. Essai de théologie speculative, tomo I: La hiérarchie apostolique, Téqui, Paris 1941; tomo II: Sa structure interne et son unité catholique, Desclée de Brouwer, Paris 1952. Nuova edizione riveduta: Charles Journet, L’Église du Verbe Incarné, 5 voll., Editions Saint-Augustin, Saint-Maurice 1998-2005. Vedi Antonio Livi, “Presentazione”, in Charles Journet, Maria corredentrice, Edizioni Ares, Milano 1989, pp. 6-10; Idem, Marian Coredemption in the Ecclesiology of Cardinal Charles Journet, in Mary at the Foot of the Cross, VII: Corredemptrix, therefore Mediatrix of All Graces, a cura di Alessandro Apolloni, Academy of the Immaculate, New Bedford, Massachusetts 2008, pp. 355-366.
[9] Cfr Concilio Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, §§ 52-69.
[10] Vedi Concilio Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, § 61: «La beata Vergine, predestinata fino dall'eternità, all'interno del disegno d'incarnazione del Verbo, per essere la madre di Dio, per disposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l'alma madre del divino Redentore, generosamente associata alla sua opera a un titolo assolutamente unico, e umile ancella del Signore, concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore, coll'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell'ordine della grazia». Si noti in particolare l’espressione «vita soprannaturale delle anime», che costituisce la più formale smentita delle pretese di certa esegesi dei testi conciliari (penso a Yves-Marie Congar, a Henri de Lubac, e infine a Karl Rahner, maestro di Kasper) nei quali non si troverebbero più né il sostantivo “anima” né l’aggettivo “soprannaturale”, considerati residui della teologia scolastica.
[11] Cfr Walter Kasper, Jesus der Christus, Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 1974; trad. it.: Gesù il Cristo, Editrice Queriniana, Brescia 1974.
[12] Cfr Prima
Lettera a Timoteo, 2, 5:
«C’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo
Gesù uomo».
[13] Per una sintesi
aggiornata delle diverse interpretazioni teologiche delle relazioni intra-trinitarie e del rapporto della Trinità
con il mondo (creazione, missione del Figlio e dello Spirito Santo), vedi Antonio Livi, I presupposti logico-aletici delle diverse
ipotesi teologiche sulle relazioni intratrinitarie, in Il “Filioque”. A mille anni dal suo
inserimento nel Credo a Roma (1014-2014), a cura di Mauro Gagliardi, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2015, pp. 325-342.
[14] Vedi Josef Kreiml, Die Selbstoffenbarung Gottes
und der Glaube des Menschen: Eine Studie zum Werk Romano Guardinis, EOS Verlag, Sankt Ottilien 2002.
[15] Vedi Brunero Gherardini, “Il Dio di Gesù
Cristo”, in Divinitas, 2004.
[16] Vedi Cornelio Fabro,
La svolta antropologica di
Karl Rahner, Editore Rusconi, Milano 1970; Antonio Livi, “Il metodo teologico di Karl Rahner.
Una critica del punto di vista epistemologico”, in Fides catholica, n.
2, II, 2007, pp. 269-276; Idem, Il
metodo teologico di Karl Rahner. Una critica del punto di vista epistemologico,
in Karl Rahner. Un’analisi critica, a cura di Serafino M.
Lanzetta, Edizoni Cantagalli,
Siena 2009, pp. 13-27; Idem, Vera e falsa teologia, cit., pp. 222-227.