21 dicembre 2016

Immigrazione e ordine nella carità

L'"accoglienza" indiscriminata è la negazione dell'amore di Dio


21 dicembre 2016, San Tommaso Apostolo


Raffaello, San Leone Magno coi Santi Pietro e Paolo ferma gli Unni

“Obbligo d’accoglienza” dello straniero a qualsiasi costo anche contro il bene comune. E’ il nuovo dogma, non rivelato da Dio, ma propagandato pressoché senza distinzioni da tutte le centrali del potere massonico. E’ evidente che un cuore cristiano, potendolo, presta soccorso a chi si trova in grave difficoltà, ma la “religione dell’uomo” - che sembra ormai aver conquistato la quasi totalità dei presidi cattolici - impone quello dell’accoglienza come un “imperativo categorico” al quale si può solo “obbedire”. Quasi non è lecito riflettere alle circostanze e all’opportunità di talune azioni che ufficialmente si presentano come caritative, sotto pena di “scomunica mediatica”. Nolite cogitare.

Lo smarrimento è poi alimentato dalle dichiarazioni di certe autorità ecclesiastiche che spesso propagandano la confusione, predicando come dottrina cattolica concetti che sembrano piuttosto i frutti maturi del peggior mondialismo che non della dottrina di Gesù Cristo.

Intorno alla singolare tipologia d’immigrazione dei nostri giorni si aprono certo più questioni, che partono dal serio discernimento sulla natura di questi flussi, all’aiuto doveroso verso i fratelli, in primis verso i cristiani d’Oriente; dalla necessità, per alcune realtà precise, di un possibile sostegno in loco - anche militare -, alla seria valutazione della presenza tra gli immigrati di molti lupi vestiti d’agnelli. Né è da dimenticare la questione fondamentale che ruota attorno alla nozione di “sovranità”, specie davanti a quella che si profila essere una vera e propria  “immigrazione di sostituzione”. Di qui il problema di determinare se la questione vada trattata sotto il profilo della mascherata invasione (più o meno islamica e più o meno violenta) - ed in quel caso la trattazione imporrebbe una prospettiva di analisi sulla liceità di far ricorso alla violenza per respingere la violenza, fino alla trattazione della guerra giusta - oppure se la questione sia solo relativa a quella che oggi con enfasi si chiama “accoglienza” e che si vorrebbe un’emanazione alla carità cristiana.

Su quest’ultimo punto concentreremo l’attenzione in quest’articolo, senza escludere di trattare del giusto ricorso alla forza in un successivo intervento. Appare infatti urgente fare dapprima chiarezza su un punto tra i più esposti alla contraffazione : l’esercizio (ordinato) della carità cristiana.

Dopo un breve suggerimento di buon senso ai governanti, tratto dalla riflessione scolastica, ripercorreremo rapidamente alcune indicazioni sull’esercizio della carità ordinata, date da San Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae, particolarmente nella questione 26 della Secunda Secundae, per cercare di trarne qualche conclusione anche d’ordine pratico. Qual è infatti l’esercizio della vera carità in materia d’immigrazione?     


La presenza di stranieri in patria, una semplice riflessione sulla scorta di Aristotele

Prima di entrare in materia di virtù soprannaturali e particolarmente di “carità ordinata” è utile riproporre un breve passaggio del De Regno, che ha il merito di chiarire in poche righe la problematica dal punto di vista naturale. Nel XIII secolo la questione degli stranieri, sebbene non diversa nella sostanza, si poneva in altra forma e nel citato opuscolo San Tommaso, consigliando i governanti, dà indicazioni al re su come debba comportarsi in merito alla “presenza di stranieri”, che all’epoca era impersonata principalmente da commercianti. La questione di fondo è se la moltitudine di stranieri è un bene o un male per la Civitas [1].

3 novembre 2016

Notizie dalla Comunità San Gregorio Magno dopo il terremoto di Camerino e Norcia


3 novembre 2016, nell’Ottava dei Santi

Domenica scorsa, le Sante Messe della Comunità dette all'aria aperta



Molti amici e lettori ci hanno scritto o hanno cercato di contattarci a seguito delle scosse di terremoto che hanno distrutto o gravemente danneggiato tanti edifici della nostra regione. Grazie anzitutto a quanti hanno avuto questo pensiero e stanno già pregando per noi, per tutta la popolazione colpita e per questa terra. Non potendo raggiungere ciascuno singolarmente diamo alcune informazioni sul nostro sito e proporremo qualche riflessione di carattere più generale perché “non si muove foglia che Dio non voglia” e perché sappiamo anche che Dio parla con gli avvenimenti. 

Le scosse tra Camerino e Norcia sono state violente e continuano, l’ultima stamattina di magnitudo 4.8 con epicentro a meno di venti chilometri da noi, all’una di notte ha svegliato e impaurito anche chi dormiva in macchina o nelle tende. Già l’evento della mattina di Domenica scorsa aveva incrementato i danni della scossa del 26 ottobre e ne aveva causati di nuovi, il ripetersi dei movimenti tellurici causa nuovi crolli e fa sì che non ci siano posti veramente sicuri. Nel mondo di oggi in cui l’uomo quasi si crede Dio, si sperimenta l’impotenza della creatura e le certezze mondane si sgretolano. Letteralmente.

A Camerino si venera da sempre come protettrice dai terremoti l’icona miracolosa di Santa Maria in Via, ed anche stavolta l’intercessione della Madonna ci ha protetto. Non ci sono state vittime, noi siamo tutti illesi e l’edificio che utilizzava la Comunità per il momento non ha subito gravi danni e può in parte essere utile come punto d’appoggio per chi abita vicino e, avendo la casa lesionata, non può entrarci nemmeno per prendere un caffè.

7 ottobre 2016

Un Rosario per Roma

7 ottobre 2016, Madonna del Rosario Regina delle Vittorie


Primo ottobre 2016. Quattro chiese assaltate a Roma. Nella foto la profanazione di San Vitale.


Il Santo Padre (…) attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino” (Dalla parte rivelata de Terzo Segreto di Fatima).


La recita frequente del Rosario o di una parte di esso per la preservazione della santa città di Roma. Il 7 ottobre 1571 il Cielo benediceva le preghiere del Papa e salvava la Cristianità dall’Islam, la mattina del 7 ottobre 2016 un fulmine dal cielo colpiva la Cupola della Basilica di S. Pietro. Un segno dei tempi?


Vede, padre, la Santissima Vergine ha voluto dare, in questa fine dei tempi in cui viviamo, una nuova efficacia alla recita del Santo Rosario. Ella ha talmente rinforzato la sua efficacia, che non esiste problema, per quanto difficile, di natura materiale o, soprattutto, spirituale, nella vita privata di ognuno di noi, o in quella delle nostre famiglie, delle famiglie del mondo, delle comunità religiose o addirittura nella vita dei popoli e delle nazioni che non possa essere risolto dalla preghiera del Santo Rosario. Non c’è problema, vi dico, per quanto difficile, che non possa essere risolto dalla recita del Santo Rosario.


Con il Santo Rosario ci salveremo, ci santificheremo, consoleremo il nostro Signore e otterremo la salvezza di molte anime” (Suor Lucia al Padre Fuentes).


Invitiamo tutti ad unirsi in una “catena” di preghiere per Roma.


Gesù mio misericordia per Roma.


La Redazione di Disputationes Theologicae

                                                       

3 settembre 2016

Mons. Fellay e il ruolo della Fraternità bergogliana

Verso la “legittimazione reciproca”?

 3 settembre 2016, San Pio X



Nella scorsa primavera ci sono state due notizie di grande rilevanza ecclesiale che hanno avuto, come giusto, la nostra prioritaria attenzione: l’Esortazione “Amoris Laetitia” e le dichiarazioni esplicative sulla rinuncia di Sua Santità Benedetto XVI. In questa primavera tuttavia c’è stato un altro avvenimento meritevole di riflessione: il nuovo incontro tra Mons. Fellay, Superiore Generale della FSSPX e Papa Bergoglio. Alcuni recentissimi sviluppi sono stati resi noti tra fine luglio e inizio agosto da un’intervista a Mons. Pozzo, il quale ha dichiarato a proposito della Prelatura personale: “Mons. Fellay ha accettato questa proposta, anche se alcuni dettagli saranno chiariti nei prossimi mesi[1]. Mons. Fellay “ha risposto” il 24 agosto scorso, parlando non della Prelatura, ma dell’Ordinariato personale: “Roma ci offre una nuova struttura. A capo di essa, un Vescovo. Questo Vescovo, scelto dal Papa, tra tre nomi proposti dalla Fraternità e proveniente dai suoi membri. Tale Vescovo avrà autorità sui preti, sui religiosi […] e sui fedeli. Tutti i sacramenti; i fedeli che appartengono a questa struttura avranno tutti i sacramenti dei preti della Fraternità. Tutti i sacramenti, compreso il matrimonio. […] E’ come una superdiocesi, indipendente dai Vescovi locali”. Mons. Fellay aggiunge che se non ha ancora firmato è “perché voglio essere sicuro che tutto ciò sia vero, non ho il diritto di condurvi in un sogno[2]. Insomma c’è una ragione molto “pratica” da valutare, prima di entrare nel “sogno”.

A parte il coup de théâtre - che può nascondere anche, e non sarebbe la prima volta, un gioco al rialzo durante la trattativa ancora aperta - notiamo che la proposta non è poi tanto “nuova”. Si tratta infatti più o meno delle stesse cose in cantiere già dai tempi del Card. Castrillon e che erano state riproposte solo pochi anni fa, ma che non potevano essere accettate per ragioni di principio: l’accordo pratico senza conversione di Roma è “impossibile ed inconcepibile” infatti “è chiaro che noi non firmeremo accordi  se le cose non sono risolte a livello dei principi[3]. Dall’intollerabile accordo “pratico” (come dicevano, noi parlavamo di “canonico”) sarebbe derivata una svalutazione della gravità dell’odierno problema dottrinale per fini “pratici” e sarebbe di fatto passata un’idea di malsano pluralismo e non la ricercata correzione dei principi della crisi (cfr. Accordo Roma-Ecône. Abbiamo scherzato?). Diceva il Superiore della FSSPX: “Finché non si affronteranno i principi, le conseguenze continueranno ineluttabilmente. Devo dire che per ora Roma non sembra voler risalire ai principi (…) E’ semplicissimo: finché Roma resta su tale posizione [ecumenismo e libertà religiosa, di cui il prelato aveva appena parlato], non è possibile nessun accordo[4]. Eravamo sotto Benedetto XVI.

Ed oggi invece – come alcuni lettori ci hanno scritto – “al tempo dei due papi”, dopo una più che controversa rinuncia al Soglio, proprio mentre le ombre sulla Chiesa s’ispessiscono, mentre il ciclone modernista si fa più aggressivo, tanto sul terreno ecumenista che sul fronte dell’accesso ai Sacramenti e della famiglia stessa (temi sui quali lo stesso mons. Fellay aveva dato atto a S.S. Giovanni Paolo II di non aver ceduto), proprio oggi la FSSPX fa capire che quell’accordo che ieri era “impossibile prima della conversione di Roma” e della “fine della crisi dottrinale”, è diventato non solo “concepibile” e “possibile”, ma anche un tale “sogno” che…“non si poteva immaginare nulla di meglio[5]. Ma che è successo? Una “conversione di Roma” di cui forse non siamo al corrente? Che vuol dire Mons. Fellay quando ci dice che oggi (è il 24 agosto 2016!), se il Vaticano fa una simile offerta, è perché: “Vuole il bene della Tradizione, vuole che la Tradizione si sviluppi nella Chiesa[6]? Sono davvero parole sue? Sta parlando seriamente oppure continua i suoi scherzi come ormai da più di dieci anni? Già nel 2012 avevamo scritto che forse Mons. Fellay in fondo, in fondo è un buontempone…(cfr. Accordo (pratico) Roma-Ecône. Avevano davvero scherzato). 

Oppure - anche se l’accordo non dovesse concludersi nell’immediato - c’è solo uno scambio di cortesie con Papa Francesco, che circa un paio di mesi fa, poco dopo aver pubblicato Amoris Laetitia, in polemica con i prelati fedeli a Familiaris Consortio eppure in piena trattativa con la Fraternità San Pio X, aveva avuto anche lui delle parole d’elogio: “Mons. Fellay è un uomo con cui si può dialogare […]. Stiamo dialogando bene, stiamo facendo un buon lavoro[7]. Frase simpatica anch’essa, che tra l’altro sembra indicare le simpatie (nel senso greco di sympatheia) romane; non scordiamo che c’è in ballo anche la scelta dell’eventuale futuro Capo dell’Ordinariato...

Ricordiamo però che quando Campos fece l’accordo, Mons. Fellay lo condannò subito, dicendo che potevano sì esprimersi come volevano, ma non c’era una sola ratifica della posizione tradizionale, si trattava piuttosto di una “legittimazione reciproca” e non del “bene della Chiesa universale” che perseguiva invece la Fraternità.

Questa rivista non condivide affatto la condotta poi tenuta da Mons. Rifan, ma in che modo la “legittimazione reciproca” non ci sarebbe oggi? Quando l’accordo lo fanno gli altri è cattivo, quando lo fa Mons. Fellay è buono? Mons. Fellay ha per anni mosso un’obiezione non disprezzabile all’accordo, ovvero che con l’accordo sarebbe passato il messaggio per cui il problema principale od unico è la questione della posizione disciplinare o delle “autorizzazioni” date ad alcuni, invece della questione primaria e capitale: la crisi dottrinale nella Chiesa. La condotta ondivaga di Mons. Fellay, con trattative che durano da anni, con le sue dichiarazioni tanto contraddittorie quanto incalzanti - “mai faremo l’accordo”/“forse faremo l’accordo” - non ha forse concentrato l’attenzione proprio sulla questione che, a suo dire, doveva rimanere del tutto secondaria rispetto alla dottrina e alla necessaria preventiva “conversione di Roma”? Perché Mons. Fellay ha tenuto e tiene una condotta che contraddice molte delle sue affermazioni, che contraddice la solenne dichiarazione del Capitolo del 2006, la quale ha condotto a ripetute e plurime divisioni? Di quante spaccature è stata fonte quest’ambiguità? Chi, ascoltando le parole di Mons. Fellay e non condividendole, ha preso un’altra strada, chi condivise allora quelle parole ed ora sente affermare l’esatto contrario dalla stessa bocca, senza alcun chiarimento. Nelle rotture e scissioni dolorose si scorda troppo la responsabilità delle posizioni ambigue dell’autorità, che si vorrebbero risolvere solo con l’imposizione cieca delle proprie condotte contraddittorie, usando magari il bastone e le minacce...o la carota…

Può mons. Fellay, se davvero ha creduto a quel che diceva solennemente e se non si trattava solo di dichiarazioni “politiche”, dare delle vere spiegazioni, anziché glissare, eludendo il senso delle obiezioni? O forse i maltrattati “accordisti” di dieci-quindici anni fa, o meglio i membri di spirito romano, avevano anch’essi delle ragioni molto serie nelle loro preoccupazioni? Altrimenti perché sembra aver cambiato idea? Non ritiene Mons. Fellay, vista la confusione e le divisioni, che sarebbe molto opportuno che si facesse da parte? Non sarebbe anche la volon di Mons. Lefebvre nel 1988, che - quando l'accordo intercorso con Roma prevedeva di consacrare un solo Vescovo - aveva designato un candidato diverso?

Questo discorso tuttavia non sarebbe completo se si omettesse l’altra faccia della stessa medaglia: l’ostinata condotta di Roma nei confronti di Ecône. Quando mons. Lefebvre chiedeva umilmente l’accordo, Roma era dura con Ecône; quando mons. Lefebvre manifestava di rifiutare l’accordo, Roma sembrava corrergli dietro, proponendogli un aumento delle concessioni. Condotta che, oltre ad essere correa del citato atteggiamento politicante, ha concorso negli anni ad alimentarlo.
Per questo motivo, in continuità con molti nostri articoli precedenti, in un nostro prossimo editoriale pubblicheremo la nostra lettera aperta a Mons. Pozzo, e l’eventuale risposta del prelato, disponibili ad affrontare - come stiamo facendo - eventuali ritorsioni, ancorché dietro le quinte.      

La Redazione di Disputationes Theologicae



[1] Julius Müller-Meiningen, Seid gehorsam-bitte!, in Christ & Welt supplemento alla rivista Die Zeit 32 (2016).
[2] Mons. Bernard Fellay, Conferenza a Wanganui (Nuova Zelanda) del 24 agosto 2016.
[3] Mons. Bernard Fellay in Fideliter n. 171, maggio-giugno 2006, pp. 40-41.
[4] Mons. Fellay citato nell’editoriale di Don Marco Nély, in La Tradizione Cattolica, n.2 (62) – 2006, p. 4.
[5] Mons. Bernard Fellay, Conferenza a Wanganui (Nuova Zelanda) del 24 agosto 2016.
[6] Ibidem.
[7] Guillaume Goubert, et Sébastien Maillard, Pape François : « nous sommes sortis différents du Synode », in La Croix 16 maggio 2016.

31 luglio 2016

Una signora « separata » ci scrive

Amoris Laetitia...un clamoroso fallimento pastorale? 

                                                                                              
 31 luglio 2016, Sant’Ignazio di Loyola


Il Battista ammonisce Erode


Riceviamo e pubblichiamo. Precisiamo che la signora Rita si definisce separata (e non divorziata) perchè ci ha detto: « Non riconosco allo Stato il diritto di guastare un matrimonio cristiano ».


Mi chiamo Rita, ho 62 anni e mi considero una cristiana dell’ultima ora, perché undici anni fa ho dovuto prendere una decisione importante che avrebbe cambiato tutte le mie prospettive future, se volevo veramente affermare di seguire il Signore. Ero consapevole che avrei dovuto impegnarmi a cambiare anche altri aspetti della mia vita così indipendente tanto che potevo fare quello che preferivo senza confrontarmi con nessuno…e come sono ancora oggi…libera però di voler preferire  il Bene. Separata già da dodici anni in quel momento convivevo da sei e c’era poco da contrattare e da pretendere: se avessi voluto ricevere di nuovo la Comunione, per essere veramente in comunione, dovevo interrompere quella convivenza che, lo sapevo bene anche da sola senza che me lo dicesse un prete, contrastava decisamente con una delle Dieci Parole che ancora ricordavo da quegli scampoli di catechismo lasciato lì al tempo della Cresima e lì rimasto senza ulteriori approfondimenti.
  
Mi sosteneva il pensiero che il  Signore aveva  perdonato l’adultera, molto prima di me, ma l’aveva lasciata dicendole: “Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più.” (Gv. 8, 11). Era tutto molto chiaro mi sembrava e non c’era possibilità di capire altro. Perché io avrei dovuto essere dispensata dal cambiare vita? Chi mi autorizzava a credere che potessi far cambiare le parole di Gesù per comodità mia? E da quale momento in poi, visto che il comando dato dal Signore Gesù era tassativamente senza scadenza? Potevo continuare a sentirmi invitata a nozze e non poter andare perché non avevo il vestito adatto?  Piangere, perché mi sembrava che quell’invito me lo facesse il Signore stesso e io dovessi dirgli che non ero in grado di lasciare un impedimento per andare da Lui?  Per questo dovevo prendere “quella decisione” e l’ho presa in nome di Nostro Signore Gesù Cristo, che ha lasciato tale disposizione alla Sua Chiesa: non è sempre stato così da quando Lui, duemila anni fa, è venuto a dare compimento al volere di Dio Padre?

Ora però si pone un problema: oggi, mi sembra di aver capito, che la mia condizione di allora avrebbe potuto essere valutata diversamente, anche perché mio marito si è risposato ed ha un altro figlio, e forse avrei potuto continuare a convivere o ancora meglio a ri-sposarmi mettendomi così in condizione di adulterio stabile, perché di questo si tratterebbe. Come è possibile? Sono stata ingannata io o si stanno ingannando altri? Confesso di essere delusa da alcuni uomini che si dicono di Chiesa e cerco di ricordarmi che con Dio non si scherza: forse si può con gli uomini, ma non con Lui. Non mi do per vinta, faccio domande ai preti per sapere se i divorziati risposati possono prendere la comunione sì o no, ma le risposte che ricevo sono molto, troppo vaghe e l’unica che risponda a verità è che, in fondo, io devo guardare a Gesù. L’ho già fatto, grazie; certo che sì!  Tutti noi cristiani cattolici, laici e consacrati, per quanto ne sappia a tutt’oggi, dovremmo cercare di mettere in pratica le Sue parole anche se costa sacrificio e qualche rinuncia e non sia cosa facile. Purtroppo però mi sembra sempre più evidente che si stia cercando di trovare una via di fuga per qualunque disobbedienza a Dio e ciò che è più grave con la connivenza dei “suoi”. Ma di cosa parliamo? A chi vogliamo cercare di aderire?
  
Scusate se torno un po’ indietro nella nostra storia. Ora mi chiedo il senso del sacrificio di Giovanni Battista quando gli è stata tagliata la testa per aver detto ad Erode che non gli era lecito tenere con sé la moglie di suo fratello Filippo (Mt. 14, 4). Perché si è opposto alle scelte dei “grandi” della terra? Non sapeva quali sarebbero state le conseguenze delle sue parole o piuttosto serviva ai piani del Signore per dire qualcosa agli uomini di tutti i tempi? A chi oggi il Battista direbbe: “Chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura? Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento.” (Mt. 3, 7-8)? Di quale ira sta parlando se Gesù, suo contemporaneo, è la Misericordia in persona?  E per “fortuna” è venuto il Signore Gesù a portare parole di misericordia - parlo  per me stessa - altrimenti quali prospettive avrei avuto per la salvezza della mia anima? Perché di questo si tratta e non di vivere spensierati in compagnia di qualcuno più o meno amabile.  E ancora cosa significa la parola ravvedimento? E’ stato uno scherzo? E’ certo comunque che lui, Giovanni, ci ha messo la testa oltre che la faccia per affermare il volere di Dio mentre ora l’illecito sembra giustificato. Ancora una domanda: da quando il Signore ha dato disposizioni per modifiche in materia di Comandamenti? Qualcuno mi sa dire qualcosa? Vorrei sentire voci simili a quelle di coloro che, pur non sapendo che sarebbero diventati veri Santi, prima sono stati uomini con un Ideale da difendere e testimoniare fino alla fine, per dare un riferimento umano anche da seguire: un bell’esempio può essere trascinante, forse per questo il Signore della storia non ha fatto mancare nel tempo uomini da Lui accreditati con vari segni….eppure noi continuiamo a farci sordi, ciechi, muti e ribelli o forse siamo solo furbi che vogliono far finta di non capire cosa è bene e cosa è male pur conoscendo le coordinate? Sia in un caso che nell’altro mi sa che abbiamo perso di vista con Chi ci dovremo incontrare prima o poi: a Lui non potremo addurre scuse per farci assolvere, perché sa bene cosa c’è nel cuore di ciascuno, non solo in quello degli adulteri o degli omosessuali, ma anche dei ladri, degli assasini, degli avari, dei bestemmiatori, degli idolatri, dei golosi e Gesù ha detto che anche chi dice “pazzo” ad un altro….figuriamoci!  E’ certo che l’unica speranza la potremo trovare solo nella Sua Misericordia e non nella confusione che sta sempre più diffondendo fra la gente comune, che sia o no credente. E’ interessante ascoltare sul tema il parere di persone che, tenacemente, da sempre sono lontane dalla Chiesa che dicono: “Così non si può andare avanti!”…chissà a cosa si riferiscono? Forse è il  Signore stesso che le sta in-formando? Non dobbiamo dimenticare mai che la Chiesa “Una, Santa, Cattolica e Apostolica” è Sua e solo Lui ne può fare quello che vuole, chiamando chi vuole, se vuole e quando vuole, mentre nessuno di noi è abilitato a cambiare la Parola oppure a renderla incomprensibile e farne motivo di scandalo per i piccoli come me…..che a sbagliare ci riusciamo benissimo da soli senza consigli su come fare e magari finisce che ci ritroviamo “guidati” tutti all’Inferno…comprese le guide!

24 giugno 2016

Che tipo di “dimissioni” sono quelle di Benedetto XVI?


A proposito delle recenti dichiarazioni di Mons. Gänswein 


                                                                                 24 giugno 2016, San Giovanni Battista




Abbiamo ricevuto il seguente testo:


Cara Redazione di Disputationes Theologicae,


                  ho letto la conferenza di Mons. Gänswein del 21 maggio scorso sulle “dimissioni” di Benedetto XVI. Che cosa dobbiamo pensare di un testo del genere? Chi è il Papa ? Sono inquieto per la Chiesa e prego incessantemente per questa situazione che mi sembra incomprensibile e quasi apocalittica.


Vi ricordo tutti nel Rosario

                                                                                                Cesare Bin




Ringraziamo il lettore Cesare Bin per aver scritto alla nostra Redazione. Fermo restando che sulla legittimità dei Pontificati solo la Chiesa ha diritto a pronunciarsi in maniera dirimente, resta giusto interrogarsi sulla natura e le circostanze di un atto “eccezionale”, soprattutto se esso appare difficilmente inquadrabile in un contesto teologico e canonico finora noto. In attesa che la Storia ci offra ulteriori dati, risponderemo proponendo alcune riflessioni, che evidentemente - vista la complessa e delicata materia - rimangono suscettibili di rilettura anche in funzione dei futuri pronunciamenti ufficiali dell’autorità ecclesiastica.


Prima d’analizzare il testo di Mons. Gänswein è forse necessario fare un passo indietro.


Nel 1294 Pietro da Morrone veniva eletto Pontefice con il nome di Celestino V. L’umile - ed oggettivamente inadeguato - monaco degli Abruzzi si ritrovava così sul soglio di Pietro. Presto si rese conto di quanto difficile fosse il compito che aveva accettato e cominciò a riflettere sull’opportunità d’una rinuncia. Furono interrogati i più insigni canonisti (tra i quali i Cardinali Benedetto Caetani e Gerardo Bianchi) e - per evitare accuratamente quei problemi che possono presentarsi quando un Papa regolarmente eletto resta in vita dopo la rinuncia - si redassero dei  documenti d’abdicazione che non lasciassero adito a dubbi e che specificassero accuratamente che Celestino V lasciava per sempre il Papato e tutto quanto esso comporta. E’ noto che i Cardinali si rifiutarono di accondiscendere alle richieste di Celestino che voleva mantenere l’uso delle insegne pontificali durante le celebrazioni[1]. Egli ridiventava ormai solo Pietro da Morrone e rivestiva il rude sacco monastico.


Questa per sommi capi la storia di una rinuncia al Pontificato che si svolse, seppur in vicende travagliate, con una chiarezza canonica che la fece assurgere a paradigma futuro per gli studiosi di storia della Chiesa, di teologia e di diritto canonico, fino all’approdo al recente canone 332 del Codice di Diritto Canonico[2].

  
La scelta di Celestino però che “era ridiventato Pietro da Morrone” - ci dice Mons. Gänswein[3] - non è paragonabile a quella di Benedetto XVI, che ancor oggi deve essere chiamato “Sua Santità Papa Benedetto XVI”.

7 maggio 2016

“Amoris Laetitia”: Mons. Livi parla ai penitenti e ai confessori

6 maggio 2016, San Giovanni alla Porta Latina

Padre Pio e Leopoldo Mandic - i santi del Confessionale - esposti nella Basilica di San Pietro nel febbraio 2016



Nello scorso mese di aprile, in onore alla schiettezza e lealtà ecclesiale di Santa Caterina da Siena, Mons. Antonio Livi ha tenuto una conferenza presso la Basilica di San Giovanni alla Porta Latina, organizzata dalla “Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis”. Pubblichiamo la trascrizione dall’orale, approvata dall’autore, nella certezza che il suo contenuto contribuirà a far chiarezza fra tanti laici (ma forse anche fra tanti sacerdoti) che oggi si sentono smarriti.




Dottrina morale e prassi pastorale 

nella “Amoris laetitia




Cari amici,

mi avete chiesto di spiegare in termini semplici a voi, laici - ma vedo anche nell’uditorio dei confratelli e quindi dei confessori -, perché un sacerdote (e teologo) come me ha pubblicamente criticato, in varie occasioni e in varie sedi, l’esortazione apostolica Amoris laetitia di papa Francesco. Mi accingo dunque a spiegare a voi, con la massima schiettezza, il contenuto e le vere motivazioni ecclesiali di queste critiche, che sono naturalmente prudenti nel merito, rispettose nella forma e responsabili nelle intenzioni. Premetto, per cominciare, quello che dice la Chiesa stessa, in un celebre documento della Congregazione per la Dottrina della fede, pubblicato nel 1990 a firma dell’allora prefetto, cardinale Joseph Ratzinger:

«Il Magistero, allo scopo di servire nel miglior modo possibile il Popolo di Dio, e in particolare per metterlo in guardia nei confronti di opinioni pericolose che possono portare all'errore, può intervenire su questioni dibattute nelle quali sono implicati, insieme ai principi fermi, elementi congetturali e contingenti. E spesso è solo a distanza di un certo tempo che diviene possibile operare una distinzione fra ciò che è necessario e ciò che è contingente. La volontà di ossequio leale a questo insegnamento del Magistero in materia per sé non irreformabile deve essere la regola. Può tuttavia accadere che il teologo si ponga degli interrogativi concernenti, a seconda dei casi, l'opportunità, la forma o anche il contenuto di un intervento. II che lo spingerà innanzitutto a verificare accuratamente quale è l'autorevolezza di questi interventi, così come essa risulta dalla natura dei documenti, dall'insistenza nel riproporre una dottrina e dal modo stesso di esprimersi […]. In ogni caso non potrà mai venir meno un atteggiamento di fondo di disponibilità ad accogliere lealmente l'insegnamento del Magistero, come si conviene ad ogni credente nel nome dell'obbedienza della fede. Il teologo si sforzerà pertanto di comprendere questo insegnamento nel suo contenuto, nelle sue ragioni e nei suoi motivi. A ciò egli consacrerà una riflessione approfondita e paziente, pronto a rivedere le sue proprie opinioni ed a esaminare le obiezioni che gli fossero fatte dai suoi colleghi. Se, malgrado un leale sforzo, le difficoltà persistono, è dovere del teologo far conoscere alle autorità magisteriali i problemi suscitati dall'insegnamento in se stesso, nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato. Egli lo farà in uno spirito evangelico, con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà. Le sue obiezioni potranno allora contribuire ad un reale progresso, stimolando il Magistero a proporre l'insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato» (Congregazione per la Dottrina della fede, Istruzione Donum veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo, 24 maggio 1990, nn. 24; 29-30).