29 giugno 2019

Le passioni dell'irascibile

Le aveva anche Gesù?

(III)
 29 giugno 2019, Santi Pietro e Paolo




Qui la prima parte dell'articolo. Qui la seconda.


La collera

La collera è una passione che tocca l’anima quando essa si rende conto che un’ingiustizia le è stata inflitta; la tristezza che ne consegue spinge dunque al desiderio di vendetta, nella speranza di ristabilire la giustizia lesa [24]. La parola vendetta è da prendersi nel senso classico, che San Tommaso le attribuisce, ossia il ristabilimento di un certo equilibrio secondo l’ordine della giustizia. In questo senso la collera si indirizza «per se» verso un bene (la giustizia), ma «per accidens» essa si rivolge verso il male (l’autore dell’atto ingiusto) [25]. La collera è dunque in stretta relazione con la giustizia. E’ in effetti l’apprensione dell’ingiustizia nell’intelligenza, quel che causerà il movimento appetitivo e corporale. Il rapporto stretto di questa passione con la giustizia interverrà anche nella sua valutazione morale. Ciò che determinerà la bontà morale di un gesto di collera sarà in effetti il rapporto di giustizia tra la reazione dell’uomo in collera e la dimensione dell’offesa subita[26].

Nostro Signore, «il Giusto» secondo la Scrittura, non poteva dunque che provare collera davanti alle vere ingiustizie [27]. L’episodio evangelico che ha maggior risonanza, in ragione delle trasmutazioni corporali [28] che ha generato e all’esteriorizzazione conseguente e visibile, è senza dubbio la cacciata dei mercanti dal Tempio. «Il Giusto di Dio» rovescia le tavole, causa la distruzione dei beni venduti e scaccia i venditori. La visione del Tempio profanato, la noncuranza verso il luogo sacro dei venditori e dei «maiores» del Sinedrio (che avrebbero dovuto, al contrario, preservare la Dimora di Dio), generano in Cristo la tristezza davanti all’offesa fatta a Dio. Quest’offesa reclama una giusta vendetta, un ristabilimento della giusta venerazione per il Tempio. Tutto ciò non può restare solo un auspicio o una predicazione, ma deve esprimersi col castigo di chi ha offeso, in un gesto di zelo profondo per tutto ciò che è consacrato a Dio: «zelus domus tuae comedit me» (Ps 69, 10 ; Jn 2, 16-17). La reazione di Cristo non deve apparire sproporzionata, al contrario essa tiene conto del termine dell’offesa che è Dio e del soggetto che ha offeso, degli uomini, delle semplici creature. Essa prende dunque delle proporzioni maggiori, perché il disprezzo dell’inferiore (in questo caso una creatura) verso il superiore (in questo caso il Creatore) è più grave dell’offesa tra due persone dello stesso livello; essendo più grave richiede una reazione proporzionatamente maggiore [29]

Per una ragione analoga Gesù Cristo s’indegna con più veemenza verso gli amici che non verso gli altri. E’ naturale che ci aspettiamo di più da coloro che sono più vicini, perché il legame d’amicizia esige un rapporto maggiore di rispetto e d’amore [30]. Gesù avrà delle parole particolarmente dure per San Pietro che vuole allontanarlo dalla Passione: «lontano da me, Satana» (Mt 16, 23). Non solo San Pietro è qualcuno di vicino, ma è anche in maggior possessione della finalità dell’opera redentrice, in ragione della conoscenza che ne ha. La sua responsabilità è dunque più grande, e più grande sarà dunque anche la reazione di vendetta.

Gesù è particolarmente duro anche verso i suoi discepoli quando sono ingiusti con i bambini che lo attorniano: «vedendo ciò Gesù si mise in collera» (Mc 10, 14). Infatti la collera può essere mossa anche da un’ingiustizia fatta alle persone che si amano [31], ed inoltre è ingiusto prendersela con coloro che non possono difendersi, come dei bambini. Ecco la giusta reazione di Cristo che riequilibra l’abuso dei suoi discepoli.