Leone XIII risponde in “Quod apostolici muneris”
30 novembre 2020, Sant’Andrea Apostolo
È noto che è in voga una nuova forma di “socialismo ecclesiale” che distilla il peggio degli errori della Rivoluzione francese, del socialismo e del comunismo, mettendo il nome cristiano al servizio del mondialismo massonico e rileggendo addirittura la storia della salvezza in chiave da ambientalismo à la page. Basta leggere i titoli del quotidiano dei Vescovi italiani, Avvenire, alla pubblicazione del documento “Fratelli tutti”.
Per
rispondere ai nostri lettori sul tema evocato, vorremmo, prima di entrare nello
specifico di certi argomenti, proporre una lettura poco nota di Leone XIII, la
quale ci sembra di grande efficacia e di carattere quasi divulgativo oltre che
di gustosa lettura: l’enciclica “Quod
Apostolici muneris”. Tale documento - indubitabilmente magisteriale
rispetto a tante esternazioni di oggi di dubbia autorità - è più snello della
pur importantissima e fondamentale enciclica Rerum Novarum ed appare non solo una solida ed accessibile base per
impostare le successive discussioni in materia di filosofia politica, ma si
distingue anche per i modi schietti d’esposizione. La distanza abissale da quei
testi cui ci ha abituato l’attuale situazione ecclesiale appare in tutta la sua
evidenza, indicandoci anche lo stile che sarebbe opportuno adottassimo in tale
battaglia per un’intelligenza cristiana delle cose, chiamando i nemici della
Chiesa col loro nome. Contro la decomposizione del pensiero, cui ci ha abituato
il modernismo in fase terminale, coi suoi testi privi di nerbo logico e di una
qualsivoglia architettura del discorso, è un documento che aiuta a strutturare
il proprio pensiero sulla verità per poi valutare la critica all’errore, anche
nella sua evoluzione contemporanea. E ciò anche tenuto conto di quell’anguilla
che è il modernismo, il quale non sempre si lascia afferrare.
La Redazione di “Disputationes Theologicae”
QUOD APOSTOLICI MUNERIS
LETTERA
ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII
Già dall’inizio del Nostro
Pontificato, secondo quanto richiedeva la natura dell’Apostolico ministero, con
Lettera enciclica a Voi indirizzata, Venerabili Fratelli, segnalammo la
micidiale pestilenza che serpeggia per le intime viscere della società e la riduce
all’estremo pericolo di rovina; indicammo contemporaneamente i rimedi più
efficaci per richiamarla a salute e per salvarla dai gravissimi pericoli che la
sovrastano. Ma nel giro di poco tempo crebbero talmente i mali che allora
deplorammo, da sentirci ora costretti a rivolgervi di nuovo la parola, come se
alle Nostre orecchie risuonasse la voce del Profeta: "Grida, non darti
posa; alza la tua voce come una tromba" (Is 58,1). Comprendete facilmente,
Venerabili Fratelli, che Noi parliamo della setta di coloro che con nomi
diversi e quasi barbari si chiamano Socialisti, Comunisti e Nichilisti, e che
sparsi per tutto il mondo, e tra sé legati con vincoli d’iniqua cospirazione,
ormai non ricercano più l’impunità dalle tenebre di occulte conventicole, ma
apertamente e con sicurezza usciti alla luce del giorno si sforzano di
realizzare il disegno, già da lungo tempo concepito, di scuotere le fondamenta
dello stesso consorzio civile. Costoro sono quelli che, secondo le Scritture
divine, "contaminano la carne, disprezzano l’autorità, bestemmiano la
maestà" (Gd 8), e nulla rispettano e lasciano integro di quanto venne
dalle leggi umane e divine sapientemente stabilito per l’incolumità e il decoro
della vita. Ai poteri superiori (ai quali, secondo l’ammonimento dell’Apostolo,
conviene che ogni anima si tenga soggetta, e che da Dio ricevono il diritto di
comandare) ricusano l’obbedienza e predicano la perfetta uguaglianza di tutti
nei diritti e negli uffici. Disonorano l’unione naturale dell’uomo e della
donna, rispettata come sacra perfino dai barbari, e indeboliscono e anche
lasciano in balìa della libidine il vincolo coniugale per il quale
principalmente si mantiene unita la società domestica. Presi infine dalla
cupidigia dei beni terreni, che "è radice di tutti i mali, e per amore
della quale molti hanno traviato dalla fede" (1Tm 6,19), impugnano il
diritto di proprietà stabilito per legge di natura, e con enorme scelleratezza,
dandosi l’aria di provvedere e di soddisfare ai bisogni e ai desideri di tutti,
si adoperano per rubare e mettere in comune quanto fu acquisito o a titolo di
legittima eredità, o con l’opera del senno e della mano, o con la frugalità
della vita. Rendono pubbliche queste mostruose opinioni nei loro circoli; le
consigliano nei libercoli; le diffondono nel popolo con un mucchio di gazzette.
Pertanto si è accumulato tanto odio della plebe sediziosa contro la veneranda
maestà e l’impero dei Re, al punto che scellerati traditori, sdegnosi di ogni
freno, più volte a breve intervallo di tempo, con empio ardimento rivolsero le
armi contro gli stessi Sovrani.