Gli Usi Civici, le Comunanze agrarie, le Confraternite
25 marzo 2023, Annunciazione della Beata Vergine Maria
Qui la Prima e la Seconda Parte
Gli Usi civici e le Comunanze agrarie, tutela dei poveri
Nel multiforme panorama, offerto dallo Stato Pontificio, la ripartizione della proprietà terriera aveva molti tratti in comune con contemporanee amministrazioni d’Ancien Régime, ma, date le peculiarità del territorio, mostrava in alcuni casi sviluppi singolari.
Nello studio dell’organizzazione degli usi civici e delle terre di proprietà collettiva bisogna osservare che una trattazione generale si rivela riduttiva, le citate diversità ambientali avevano sortito un adattamento degli usi alla geografia.
Tutto il territorio dello Stato Pontificio vedeva il riconoscimento del diritto a possedere collettivamente; ampie estensioni di terra venivano godute da tutti gli abitanti della comunità, vi esercitavano il diritto di pascere, di fare legna, in alcuni casi di seminare per il fabbisogno familiare. Questa particolare forma di conduzione agraria doveva la sua esistenza alla necessità di tutelare 1’esistenza dei poveri. Permetteva, in una società agricola, ai nullatenenti di sopravvivere, di possedere piccole greggi o qualche armento da pascere nelle terre comuni, di scaldarsi, di cucinare e di fabbricare con il legname delle selve pubbliche, di cacciare e pescare in monti e laghi non soggetti ad una legislazione solo privatistica dei beni.
Nel tracciare la storia di questi diritti alcuni ne fanno risalire l’origine alla cultura feudale, altri si spingono a ricollegarli alle transumanze delle greggi dei popoli dell’Italia preromana; ma l’ipotesi più ragionevole appare la più ovvia, tenuta ab antiquo e formulata dal Cardinal Giovanni Battista de Luca1 agli inizi dell’Ottocento: la ragion d’essere dell’esistenza delle proprietà comuni, accanto a quelle private, è insita nel diritto naturale e ha origini remote, da quando gli uomini nella notte dei tempi avvertirono il bisogno della proprietà privata, ma riconobbero la necessità di un uso collettivo di alcuni beni. La concezione del Cardinale si sposa con la dottrina cristiana sulle ricchezze, donate da Dio agli uomini per vivere e prosperare, ma non perché pochi se ne impadroniscano in un uso a proprio esclusivo vantaggio.
I primi documenti, che attestano l’esistenza di beni comuni nello Stato della Chiesa, fanno riferimento al sec XIII, riguardano Sezze, Perugia, Orvieto; a Velletri l’emergere delle strutture del Comune è testimoniato dalla presenza dei “procuratores silvae” che amministrano le foreste comunali2. Dall’altro versante dello Stato, a Bolognola e Visso, nell’Appennino umbro-marchigiano, la proprietà collettiva, nel caso del primo centro attestata da un documento del 13533, « copre fino al 70 % del territorio comunale, costituito da foreste e pascoli; l’allevamento degli ovini e lo sfruttamento dei boschi, che rappresentano la risorsa principale delle popolazioni montanare, si basano essenzialmente sulla proprietà collettiva »4; questo tipo di sfruttamento è diffuso in molte località dell’Italia centrale e permette ai meno abbienti un diffuso allevamento ovino e suino5. Spesso lo sfruttamento regolamentato di queste risorse è alla base della nascita di una coscienza di comunità, che investirà anche abitati di dimensioni modestissime e concorrerà alla nascita di nuovi comuni.