26 ottobre 2025

Sant’Atanasio e il primato della fede

A millesettecento anni dal Concilio di Nicea

Solennità di Cristo Re 2025


Chiunque voglia salvarsi deve innanzitutto possedere la fede cattolica:
colui che non la conserva integra e inviolata perirà senza dubbio in eterno
(Simbolo Atanasiano)


Atanasio nacque intorno al 297 da una famiglia cristiana e distinta di Alessandria. Con il consenso dei genitori, fu affidato alla scuola ecclesiastica della città, sotto la guida del patriarca Sant'Alessandro, dove fece rapidi progressi. Senza trascurare le scienze profane, che considerava di minore importanza, si dedicò soprattutto allo studio delle Sacre Scritture e delle scienze ecclesiastiche, che imparava a memoria, meditava durante la preghiera e la contemplazione e da cui attingeva la sua pietà e la sua profonda conoscenza dei misteri della fede. Durante questo periodo di formazione, non solo nutrì il suo spirito, ma si dedicò anche alla pratica delle virtù cristiane. Quando ebbe completato i suoi studi letterari, il desiderio di avanzare sulla via della perfezione lo condusse ai piedi del famoso eremita della Tebaide, Sant'Antonio, dove rimase alcuni anni sotto la sua guida. Elevato al diaconato da Sant'Alessandro, questi lo tenne come segretario e lo preparò in modo provvidenziale alla guida di una diocesi. 

Atanasio era ancora solo un diacono quando il Patriarca lo portò con sé al Concilio di Nicea, convocato dall'imperatore Costantino nel 325. Nel corso di quel solenne dibattito, tra i più venerabili difensori della fede che avevano superato le ultime persecuzioni, l'eresiarca Ario espose la sua dottrina, secondo cui Gesù Cristo non era Dio, ma una semplice creatura, più perfetta delle altre e formata prima di esse, ma non dall’eternità. Sentendolo pronunciare queste novità empie, i Padri del Concilio si tapparono le orecchie e acconsentirono ad esaminare queste teorie eretiche solo con grande difficoltà. Atanasio, semplice levita, si alzò e lottò corpo a corpo con l'infame Ario per dimostrare la falsità delle sue innovazioni. Con la superiorità della sua ragione, la sua conoscenza dei libri sacri, la forza della sua argomentazione e la sua eloquenza semplice e naturale, respinse gli audaci attacchi di questo temibile avversario e sventò tutti gli stratagemmi del suo ragionamento fallace.

Durante l'ultima solenne sessione del Concilio, le bestemmie di Ario non reggevano più di fronte alla canonizzazione del termine consustanziale, espressione tanto concisa e precisa quanto energica e luminosa dell'unità di natura nelle tre persone divine, e così la verità sconfisse l'eresia. Ario fu solennemente riprovato dal Concilio, l'Imperatore lo condannò all'esilio e la cristianità ripeté con gioia il Simbolo di Nicea, magnifico sviluppo omogeneo del Credo degli Apostoli, sublime inno di fede che recitiamo ancora ogni domenica. 
Appena tornato ad Alessandria, Atanasio fu ordinato sacerdote da Sant'Alessandro, ma l'anno successivo l'augusto anziano, avendo terminato la sua corsa, lo designò come suo successore. Atanasio si nascose davanti alla responsabilità di questa dignità, ma morendo il patriarca gli disse: «Tu fuggi, Atanasio, ma non sfuggirai» e in effetti quelle parole furono profetiche, perché il popolo insistette presso le autorità ecclesiastiche e ottenne che il giovane sacerdote, appena trentenne, fosse nominato vescovo e patriarca di Alessandria l'8 giugno 328.
Questa nomina fece tremare gli eretici in tutto l'Impero e in particolare Ario, che vedeva sfuggirgli ancora una volta la sede di Alessandria, lui che molti anni prima era stato in lizza per quella carica ma aveva visto preferire a lui Sant'Alessandro.

Fin dall'inizio del suo episcopato, Atanasio si distinse per la sua attenzione nel provvedere ai bisogni spirituali del suo popolo, visitando tutte le chiese della sua diocesi e inviando persino un nuovo vescovo e dei missionari alle popolazioni etiopi che si stavano convertendo al cattolicesimo. 
Ma ben presto dovette combattere contro numerosi eretici che alimentavano ovunque il fuoco della discordia e della rivolta tra il popolo. Di fronte a un così grande difensore della fede, le diverse fazioni, sebbene nemiche mortali in passato, si unirono per calunniare e perseguitare con maggiore forza ed efficacia il giovane vescovo di Alessandria.

Ma gli attacchi degli eretici non si limitavano solo a Sant'Atanasio: in tutto l'Impero continuavano a diffondere le loro false dottrine e, specialmente alla corte imperiale, cercavano di riconquistare prestigio presso Costantino. La morte di Sant'Elena, madre cattolicissima dell'Imperatore, fu per loro di grande beneficio e permise a diversi membri della famiglia imperiale, infestati dall'arianesimo, di promuovere questi empi errori. Ario fu così richiamato insieme a diversi vescovi esiliati e, grazie a false professioni di fede, essi furono reintegrati nelle loro diocesi. Tuttavia, la loro soddisfazione non poteva essere completa finché Ario non avesse preso la sede di Alessandria e ben presto una valanga di calunnie si abbatté su Atanasio, che fu quindi convocato dall'imperatore per giustificarsi. Molto rapidamente le argomentazioni del santo patriarca furono così evidenti e chiare che Costantino lo confermò nella sua carica e gli affidò una lettera da leggere al suo popolo, riconoscendo la sua innocenza e lodando la sua santità. 

Sconfitti, i calunniatori furono costretti a tacere e a nascondersi per qualche tempo, ma ben presto ricominciarono le false accuse. Poiché era inutile attaccarlo sulla dottrina, concentrarono le loro menzogne sulla condotta morale del Patriarca, diffondendo voci di omicidi, operazioni magiche e impurità. 

Ancora una volta Atanasio dovette giustificarsi davanti a Costantino che, dopo un'indagine, lo scagionò da ogni sospetto e si irritò per queste odiose invenzioni. Contrariati, gli intriganti convocarono un concilio a Cesarea per condannare Atanasio con il pretesto (assai attuale…) di porre fine alle divisioni. Poiché l'Assemblea era composta in gran parte da vescovi ariani, Atanasio rifiutò di presentarsi per tre anni e solo su ordine formale di Costantino accettò di comparire davanti a quel tribunale corrotto. Dovette così sottoporsi a una parodia di processo perché, come unica testimone, fu presentata una donna che lo accusò di violenza contro il pudore. Ma, poiché non fu in grado di riconoscere Atanasio tra i vescovi presenti, la sua evidente impostura fu accolta da una risata generale di tutta l'assemblea e dimostrò l'innocenza di Atanasio. Accecati dal loro odio, gli eretici si abbandonarono al tradimento e accusarono nuovamente il patriarca, ma questa volta dell'omicidio di Arsenio, uno dei capi dell'eresia. Atanasio, sempre calmo, si limitò a chiamare il famoso Arsenio che, dopo la sua conversione, si era ritirato nel deserto. Completamente smascherati, gli accusatori del Patriarca, invece di ammettere la sconfitta, cominciarono ad accusarlo di stregoneria, lanciarono un anatema pubblico contro di lui con la motivazione che turbava la pace della Chiesa e volevano attentare alla sua vita, ma il governatore lo liberò da quell'assemblea impazzita e lo mandò a Costantinopoli per chiedere giustizia all'Imperatore. 

Dopo molte difficoltà per arrivare a Costantinopoli, Atanasio riuscì a ottenere un processo imperiale, ma invece di ripetere le loro menzogne, gli eretici lo accusarono falsamente questa volta di aver voluto bloccare il grano egiziano destinato all'approvvigionamento della capitale. Nonostante la difesa del Patriarca, le testimonianze di numerosi vescovi e le suppliche del popolo di Alessandria, Costantino credette a questa orribile calunnia e mandò Atanasio in esilio a Treviri, capitale della Gallia, pensando che questa decisione avrebbe calmato gli animi e riportato l'unità e la pace nella Chiesa d'Oriente.

Mentre la terra dell'esilio fu dolce e ospitale per Atanasio, la città di Alessandria respinse con determinazione il tentativo di Ario di salire al trono patriarcale e lo costrinse a rifugiarsi a Costantinopoli. Sant'Alessandro, vescovo della capitale, rifiutò a sua volta l'ingresso ad Ario nonostante le sue false professioni di fede, fatte davanti all'imperatore, con la motivazione che egli non aveva ritrattato nessuno dei suoi errori. Ma Costantino rimase inflessibile e volle che fosse nominato cappellano della corte imperiale. Sant'Alessandro fece allora pregare il suo popolo e ordinò diversi giorni di digiuno affinché Dio intervenisse in questa vicenda. Il giorno dell'insediamento, mentre un grande corteo di eretici lo acclamava, Ario impallidì improvvisamente e, colto da violenti dolori addominali, fu costretto ad allontanarsi dalla folla e morì abbandonato da tutti. La giustizia e la pazienza di Dio non aspettano sempre l'eternità per punire. 

Costantino, che morì poco dopo, nel 337, vide in questo tragico incidente la punizione del tradimento e ordinò la riabilitazione di Atanasio e il ritorno al suo seggio, con gran gioia della chiesa di Alessandria, dell'intero Egitto e di tutto l'Oriente cattolico. Nonostante questa doppia sconfitta, gli ariani continuarono le loro persecuzioni contro Atanasio e ripresero le loro calunnie nei confronti dei tre figli di Costantino che si erano divisi l'Impero. Costantino il Giovane e Costante respinsero con disprezzo i calunniatori, ma purtroppo Costanzo, che governava l'Oriente, si lasciò sedurre e si mise sotto l'influenza dei vescovi ariani che deposero Atanasio dalla sua sede ed elessero uno dei loro sostenitori. Papa Giulio I rifiutò questa elezione e convocò a Roma Atanasio, sostenuto da più di un centinaio di vescovi. Egli fu accolto con tutti gli onori dovuti alla sua innocenza, al suo zelo e alle sue prove. Approfittando dell'assenza del Patriarca, gli eresiarchi si riunirono nuovamente ed elessero un nuovo vescovo per Alessandria, che imposero alla città con la forza delle armi. Da parte sua, Atanasio partecipò al Concilio convocato dal Papa, che condannò nuovamente gli errori ariani, i tentativi di usurpazione dei vescovadi, confermò Atanasio come unico patriarca legittimo di Alessandria e ricordò l'autorità e le prerogative della Chiesa di Roma, il suo diritto tradizionale e incontestabile di intervenire in tutte le questioni di dogma e disciplina. Insensibili a queste decisioni e forti del sostegno di Costanzo, gli eretici rifiutarono di obbedire, scatenarono una persecuzione ancora più sanguinosa contro i cattolici ortodossi e cacciarono dai loro seggi numerosi vescovi fedeli alla Santa Sede. Dopo numerosi tentativi infruttuosi di pacificazione, Costante fece capire a suo fratello Costanzo che era pericoloso opporsi a lui e disprezzare le decisioni di Roma. Quest'ultimo, comprendendo il pericolo che lo minacciava e stanco delle angherie degli ariani, ritirò il suo sostegno e permise a Sant'Atanasio di tornare ad Alessandria. 

Dopo aver salutato l'imperatore Costante a Milano e papa Giulio a Roma, Atanasio riprese il cammino verso Oriente e fu accolto con grande dignità e gentilezza da Costanzo ad Antiochia. Poi, con grande gioia dei suoi fedeli, tornò nella sua città di Alessandria, che vide rifiorire le opere di misericordia, respingere le cattive passioni e sbocciare numerose vocazioni. 

Purtroppo, le benevole disposizioni di Costanzo non durarono a lungo. Il principale sostenitore dei cattolici, l'imperatore Costante, perse il trono e la vita nel 350. Costanzo vendicò presto il fratello defunto, si sbarazzò dei cospiratori e ottenne il controllo della maggior parte dell'Impero. Vergognandosi di aver ceduto al fratello a favore di Atanasio, dimenticò i suoi giuramenti e iniziò una nuova persecuzione contro i fedeli del Concilio di Nicea. Un esercito di cinquemila uomini invase la città di Alessandria e attaccò il palazzo patriarcale difeso da una folla di fedeli. Di fronte alla violenza e alla determinazione degli aggressori, Atanasio ordinò al suo popolo di disperdersi e lui stesso fu messo al sicuro e nascosto da un gruppo di fedeli. Proscritto e fuggitivo, il santo Patriarca scrisse una lettera a Costanzo per protestare e attestare la sua buona fede, ma questa giustificazione non ebbe alcun effetto sull'Imperatore, che nominò un nuovo vescovo ad Alessandria, ancora più indegno dei precedenti, convocò numerosi concili, che confermarono la condanna di Atanasio, e mandò in esilio i vescovi che difendevano il Patriarca.

Il santo vescovo iniziò allora una vita errante attraverso i deserti e le grandi città dell'Egitto, sempre ricercato dalla polizia imperiale. Ma i suoi rifugi preferiti erano i monasteri e gli eremi della Tebaide, dove amava condividere le loro preghiere, il loro silenzio e la loro austerità. Da questo rifugio, protetto da una folla innumerevole di monaci, incoraggiò molti vescovi perseguitati, rispose agli eretici con numerosi scritti e lanciò anatemi contro di loro. I suoi nemici fecero allora perquisire i monasteri e torturare i monaci affinché rivelassero il suo nascondiglio e molti pagarono il loro silenzio con la vita. Per risparmiare tanta sofferenza, Atanasio fuggì di nuovo e si nascose in una cisterna dove riusciva a malapena a respirare e riceveva la visita di un solo fedele che gli portava un po' di cibo.
 
Solo la morte di Costanzo nel 361, stroncato da una malattia improvvisa, sospese la persecuzione e Giuliano l'Apostata salì al trono. Questo giovane principe, che si definiva filosofo e tollerante, richiamò inizialmente i vescovi esiliati e Atanasio poté finalmente tornare nella sua amata città di Alessandria, che nel frattempo aveva messo a morte il vescovo usurpatore. Durante tutto il viaggio di ritorno fu accolto trionfalmente dalla folla che voleva vedere e venerare questo grande difensore della fede, una ricompensa ben misera per tutte le sofferenze patite. Dopo questo ingresso trionfale, il Patriarca si rimise al lavoro con ardore per risollevare la chiesa di Alessandria dalle sue rovine e si verificarono numerose conversioni di pagani. 

Questa volta non furono gli ariani, ma i sacerdoti pagani a scrivere al nuovo imperatore Giuliano, che non nascondeva più il suo desiderio di tornare alle antiche religioni pagane. Si lamentarono con veemenza che l'apostolato di Atanasio danneggiava gravemente gli dei romani e che presto non ci sarebbe stato più un solo adoratore in tutta la città. Giuliano l'Apostata ne approfittò quindi per dichiarare che aveva permesso il ritorno dei «galilei», come chiamava con disprezzo i cristiani, ma non la ripresa del loro seggio episcopale, in particolare di Atanasio di Alessandria, che era stato esiliato numerose volte. Gli ordinò di lasciare il suo incarico e lo condannò addirittura a morte. 
Ancora una volta Atanasio consolò il suo popolo all'annuncio di questa terribile notizia e si imbarcò sul Nilo per raggiungere la Tebaide, inseguito dagli ufficiali imperiali incaricati di eseguire la sentenza. Ancora una volta i monaci del deserto gli aprirono le porte dei loro monasteri e lo sostennero in questa persecuzione che fortunatamente non durò a lungo, poiché la morte di Giuliano l'Apostata nel 363 vi pose fine.

Il suo successore, Gioviano, principe buono e religioso, revocò tutte le precedenti condanne e scrisse ad Atanasio per lodare la sua fermezza e chiedergli di riprendere il suo posto. Il Patriarca riprese così con zelo le sue normali funzioni e, su richiesta dell'Imperatore, convocò un'assemblea di vescovi per fornirgli una dichiarazione della vera fede e tracciare una linea di condotta da seguire in materia di affari ecclesiastici. Atanasio gli portò personalmente le conclusioni di questo concilio: «Attenetevi solo alla fede di Nicea, che era quella degli Apostoli, che è l'unica fede di tutta la cristianità». Gioviano, in segno di gratitudine, lo ricoprì di mille benedizioni e onori. 
Ma dopo soli otto mesi di regno, l'imperatore Gioviano morì nel 364 e fu sostituito dall'imperatore Valente, che fu battezzato nell'arianesimo nel 367. Ben presto gli eretici che si erano nascosti sotto Giuliano e Gioviano rialzarono la testa e ricominciarono le loro campagne di calunnie. Immediatamente, l'imperatore pubblicò un editto con cui bandiva tutti i vescovi che Costanzo aveva privato dei loro seggi. All'annuncio di questa nuova persecuzione, il popolo di Alessandria si sollevò per protestare e chiedere il mantenimento del proprio pastore. Il governatore promise di scrivere a Valente per calmare la folla. Atanasio approfittò di questa tregua per fuggire e trovò rifugio nella cripta funeraria della sua famiglia, dove rimase nascosto per quattro mesi. Fu una fortuna seguire questo impulso, perché la notte stessa della sua fuga i soldati del governatore assaltarono il palazzo patriarcale per catturarlo e giustiziarlo. Era la quinta volta che veniva costretto ad abbandonare la sua sede e la seconda volta che veniva condannato a morte. Esasperati da questo nuovo esilio del loro pastore, i fedeli di Alessandria si ribellarono contro l'Impero e Valente, temendo che la sedizione potesse contagiare altre città, l’imperatore tornò sulla sua decisione e ordinò che il Patriarca potesse tornare. 

Atanasio tornò e poté finalmente governare in pace la sua diocesi. Ma, ormai molto anziano, dopo aver combattuto tante dure battaglie e ottenuto tante gloriose vittorie sui nemici della fede, dopo tante notti trascorse nei deserti e nelle grotte, finì per morire nel suo letto, nel palazzo patriarcale di Alessandria, ed entrò nella vera vita, la vita eterna, il 2 maggio 373, dopo quarantasei anni di episcopato.

Abbé Louis-Numa Julien