L'ermeneutica del Vaticano II
Convegno della «Revue thomiste» e l’Institut Catholique de Toulouse
Vaticano II: Rottura o continuità - le ermeneutiche presenti, questo il titolo scelto dai teologi dell’Ordine Domenicano di Tolosa per analizzare le problematiche ingenerate soprattutto da quella che ormai sembra aver preso il nome di “ermeneutica del Concilio”. L’ormai celebre discorso del Sommo Pontefice alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, fa scuola tra i teologi che cercano di ricondurlo ad un’attitudine pratica di analisi e di commento dei testi conciliari, visto il monito proveniente da tanta Cattedra.
Il convegno si è tenuto nelle giornate del 15 e 16 maggio nella sala Leone XIII dell’ “Institut Catholique de Toulouse”, alla presenza di alcuni dei nomi più noti del tomismo francese come il Padre Serge-Thomas Bonino o.p., direttore della “Revue Thomiste”, Padre François Daguet o.p., direttore dell’ “Ista”, Padre B.-D. de la Soujeole o.p., organizzatori dell’incontro e dell’ambiente teologico romano come Padre Charles Morerod o.p., decano della Facoltà di Filosofia dell’Angelico e Segretario della Commissione Teologica Internazionale, davanti ad un pubblico di un centinaio di persone, composto in larga parte da ecclesiastici. E’ stata notata la ridotta partecipazione delle comunità dipendenti dalla commissione “Ecclesia Dei”, solo due giovani sacerdoti della Fraternità San Pietro e due membri dell’Istituto del Buon Pastore rappresentavano il clero secolare “tradizionalista”, con un padre domenicano di Chéméré e alcuni monaci benedettini di Fontgombault, di Triors, di Randol e della nuova comunità italiana dei Benedettini dell’Immacolata. L’assenza dei membri della Fraternità S. Pio X è stata rilevata con dispiacere, da parte degli stessi organizzatori.
Questo Convegno segna una tappa di grande rilievo nello studio del Vaticano II e delle problematiche ad esso connesse, gli interventi, visti i contenuti e visto il prestigio dei relatori, resteranno di fondamentale importanza in quell’analisi che ormai si impone ai teologi su questa controversa pagina della storia della Chiesa; anche tenendo conto dei differenti punti di vista delle scuole teologiche o dei gruppi di pensiero, la lettura degli atti di questo Convegno diverrà irrinunciabile per chiunque voglia occuparsi del Concilio Vaticano II; tanto i fautori della continuità, quanto i fautori dell’ermeneutica della rottura, difficilmente potranno prescindere da queste analisi approfondite del problema anche se non necessariamente per condividerle.
Una larga parte degli interventi di queste giornate di studio si è concentrata sulla questione, teorica, dell’ermeneutica in generale e sul problema della sua applicazione al testo conciliare (Padre T. D. Humbrecht, Padre G. Narcisse, Prof. F.X. Putallaz); I Padri Domenicani, con sfumature diverse, hanno proposto un’ “ermeneutica della continuità” come soluzione alle derive nate dall’ermeneutica della rottura (ermeneutica di “rottura” in senso progressista o ermeneutica di “rottura” in senso tradizionalista con l’opposizione che ne scaturisce), i Padri hanno anche difeso il testo conciliare da tutti gli abusi fatti in suo nome, rivendicando un “ritorno alla verità del testo” e non alle intenzioni degli uni o degli altri, alle interpretazioni personali o agli effetti disastrosi del post-Concilio. Alcuni rari interventi sembravano tuttavia lasciare la porta aperta ad un abbandono del “fissismo conciliare”.
Eccezion fatta per alcuni cantilenanti e non sempre gradevoli ritornelli contro coloro che nel post-Concilio sollevarono vere obiezioni teologiche (sono corsi i nomi non solo di Mons. Lefebvre, ma anche della Scuola Romana), e eccezion fatta per un conferenza sui generis sulla liturgia ( che si è accontentata di sintetizzare, con scarso rigore storico-scientifico, gli argomenti del movimento liturgico degli anni cinquanta), dobbiamo rilevare che l’esame onesto e chiaro di certe difficoltà del testo del Vaticano II è stato tale da permettere di disegnare un quadro sereno dei dibattiti, che da circa cinquant’anni agitano il panorama della teologia post-conciliare e che finora avevano determinato soltanto un dialogo tra sordi, tra mille opposizioni di barricata.
A questo proposito ci permettiamo alcune considerazioni di cui ci assumiamo la paternità e che non vogliamo mettere sulla bocca dei relatori, benché a nostro avviso esse siano presenti, ma purtroppo solo implicitamente, come le conclusioni non dette di molti interventi. In effetti le premesse poste a Tolosa riguardano tanto la novità “sorprendente per la storia” di un Concilio che non condanna, quanto la sua “natura inabituale”, per citare lo storico Alberigo (cfr. l’introduzione di Padre Laffay e l’intervento del Prof. L. Perrin); gli studi hanno affrontato le complesse fasi di redazione dei documenti conciliari così come le influenze teologiche esercitate sui Padri, che non sempre si erano resi conto della portata dei testi sottoscritti (cfr. testimonianza in sede di dibattito di Padre C. Morerod in relazione alle dichiarazioni dei padre Torrell e il contributo di padre P. H. Donneaud sul pensiero di H. Kung, quest’ultimo già prima dell’approvazione del testo conciliare avrebbe previsto un’interpretazione personale, eterodossa ma non ancora dichiarata, sfruttando il tenore ambivalente di certi testi di cui era ispiratore). Inoltre in più d’un passaggio nasce il problema, non solo dell’intenzione dell’autore, ma anche della reale intelligibilità dei testi (Padre L. T. Somme ha ampiamente dimostrato le difficoltà del Magistero postconciliare nell’interpretazione della nozione di “coscienza” partendo da Lumen Gentium 16 e 25 e da Gaudium et Spes 16 ; Padre de la Soujeole ha dimostrato come l’ interpretazione del “subsistit in” di Lumen gentium 8, abbia fatto correre in cinquant’anni fiumi d’inchiostro, con addirittura sette pronunciamenti magisteriali di chiarimento, senza arrivare a tutt’oggi ad una soluzione dirimente e senza permettere di nutrire speranze per una soluzione rapida della questione).
E’ necessario dunque chiedersi come sia stata possibile un’ “ermeneutica della rottura”, che è stata la corrente teologica dominante dopo la fine del Concilio, la quale si appella ancor oggi al testo conciliare per fondare le sue teorie; pur accettando la mala fede delle interpretazioni di certi teologi di rottura, bisogna riconoscere che un processo analogo sarebbe impensabile, in ragione della chiarezza delle espressioni, per un testo del Vaticano I o del Concilio di Trento. La considerazione deve infine portare anche sulle finalità del Magistero ecclesiastico: trasmettere il deposito, difendere il deposito dagli attacchi, ma anche spiegare il deposito, in altri termini un testo magisteriale ha generalmente il compito di porre fine alle diatribe e non di ingenerarne altre. L’assenza di una terminologia chiara in tanta parte del testo conciliare rinvia dunque a riflettere sull’opportunità di un’opera di revisione, di spiegazione, di interpretazione autentica.
Un dichiarato ritorno alla precisione della terminologia scolastica, così come l’impiego della teologia tomista, non soltanto faciliterebbe la comprensione universale dei testi, ponendo ostacoli insormontabili alle ermeneutiche non ortodosse, ma aprirebbe anche la strada ad una vera intelligenza della dottrina cattolica per i nostri contemporanei. Un tale rinnovamento tomista della teologia conciliare è ciò che invocano in definitiva gli organizzatori del Convegno e siamo convinti dell’opportunità di quest’appello. Tuttavia questo lavoro presuppone, a nostro avviso, per essere realmente proficuo, la convinzione dell’opportunità di mettere mano non solo all’interpretazione, ma anche alla lettera del testo conciliare.
Il convegno si è tenuto nelle giornate del 15 e 16 maggio nella sala Leone XIII dell’ “Institut Catholique de Toulouse”, alla presenza di alcuni dei nomi più noti del tomismo francese come il Padre Serge-Thomas Bonino o.p., direttore della “Revue Thomiste”, Padre François Daguet o.p., direttore dell’ “Ista”, Padre B.-D. de la Soujeole o.p., organizzatori dell’incontro e dell’ambiente teologico romano come Padre Charles Morerod o.p., decano della Facoltà di Filosofia dell’Angelico e Segretario della Commissione Teologica Internazionale, davanti ad un pubblico di un centinaio di persone, composto in larga parte da ecclesiastici. E’ stata notata la ridotta partecipazione delle comunità dipendenti dalla commissione “Ecclesia Dei”, solo due giovani sacerdoti della Fraternità San Pietro e due membri dell’Istituto del Buon Pastore rappresentavano il clero secolare “tradizionalista”, con un padre domenicano di Chéméré e alcuni monaci benedettini di Fontgombault, di Triors, di Randol e della nuova comunità italiana dei Benedettini dell’Immacolata. L’assenza dei membri della Fraternità S. Pio X è stata rilevata con dispiacere, da parte degli stessi organizzatori.
Questo Convegno segna una tappa di grande rilievo nello studio del Vaticano II e delle problematiche ad esso connesse, gli interventi, visti i contenuti e visto il prestigio dei relatori, resteranno di fondamentale importanza in quell’analisi che ormai si impone ai teologi su questa controversa pagina della storia della Chiesa; anche tenendo conto dei differenti punti di vista delle scuole teologiche o dei gruppi di pensiero, la lettura degli atti di questo Convegno diverrà irrinunciabile per chiunque voglia occuparsi del Concilio Vaticano II; tanto i fautori della continuità, quanto i fautori dell’ermeneutica della rottura, difficilmente potranno prescindere da queste analisi approfondite del problema anche se non necessariamente per condividerle.
Una larga parte degli interventi di queste giornate di studio si è concentrata sulla questione, teorica, dell’ermeneutica in generale e sul problema della sua applicazione al testo conciliare (Padre T. D. Humbrecht, Padre G. Narcisse, Prof. F.X. Putallaz); I Padri Domenicani, con sfumature diverse, hanno proposto un’ “ermeneutica della continuità” come soluzione alle derive nate dall’ermeneutica della rottura (ermeneutica di “rottura” in senso progressista o ermeneutica di “rottura” in senso tradizionalista con l’opposizione che ne scaturisce), i Padri hanno anche difeso il testo conciliare da tutti gli abusi fatti in suo nome, rivendicando un “ritorno alla verità del testo” e non alle intenzioni degli uni o degli altri, alle interpretazioni personali o agli effetti disastrosi del post-Concilio. Alcuni rari interventi sembravano tuttavia lasciare la porta aperta ad un abbandono del “fissismo conciliare”.
Eccezion fatta per alcuni cantilenanti e non sempre gradevoli ritornelli contro coloro che nel post-Concilio sollevarono vere obiezioni teologiche (sono corsi i nomi non solo di Mons. Lefebvre, ma anche della Scuola Romana), e eccezion fatta per un conferenza sui generis sulla liturgia ( che si è accontentata di sintetizzare, con scarso rigore storico-scientifico, gli argomenti del movimento liturgico degli anni cinquanta), dobbiamo rilevare che l’esame onesto e chiaro di certe difficoltà del testo del Vaticano II è stato tale da permettere di disegnare un quadro sereno dei dibattiti, che da circa cinquant’anni agitano il panorama della teologia post-conciliare e che finora avevano determinato soltanto un dialogo tra sordi, tra mille opposizioni di barricata.
A questo proposito ci permettiamo alcune considerazioni di cui ci assumiamo la paternità e che non vogliamo mettere sulla bocca dei relatori, benché a nostro avviso esse siano presenti, ma purtroppo solo implicitamente, come le conclusioni non dette di molti interventi. In effetti le premesse poste a Tolosa riguardano tanto la novità “sorprendente per la storia” di un Concilio che non condanna, quanto la sua “natura inabituale”, per citare lo storico Alberigo (cfr. l’introduzione di Padre Laffay e l’intervento del Prof. L. Perrin); gli studi hanno affrontato le complesse fasi di redazione dei documenti conciliari così come le influenze teologiche esercitate sui Padri, che non sempre si erano resi conto della portata dei testi sottoscritti (cfr. testimonianza in sede di dibattito di Padre C. Morerod in relazione alle dichiarazioni dei padre Torrell e il contributo di padre P. H. Donneaud sul pensiero di H. Kung, quest’ultimo già prima dell’approvazione del testo conciliare avrebbe previsto un’interpretazione personale, eterodossa ma non ancora dichiarata, sfruttando il tenore ambivalente di certi testi di cui era ispiratore). Inoltre in più d’un passaggio nasce il problema, non solo dell’intenzione dell’autore, ma anche della reale intelligibilità dei testi (Padre L. T. Somme ha ampiamente dimostrato le difficoltà del Magistero postconciliare nell’interpretazione della nozione di “coscienza” partendo da Lumen Gentium 16 e 25 e da Gaudium et Spes 16 ; Padre de la Soujeole ha dimostrato come l’ interpretazione del “subsistit in” di Lumen gentium 8, abbia fatto correre in cinquant’anni fiumi d’inchiostro, con addirittura sette pronunciamenti magisteriali di chiarimento, senza arrivare a tutt’oggi ad una soluzione dirimente e senza permettere di nutrire speranze per una soluzione rapida della questione).
E’ necessario dunque chiedersi come sia stata possibile un’ “ermeneutica della rottura”, che è stata la corrente teologica dominante dopo la fine del Concilio, la quale si appella ancor oggi al testo conciliare per fondare le sue teorie; pur accettando la mala fede delle interpretazioni di certi teologi di rottura, bisogna riconoscere che un processo analogo sarebbe impensabile, in ragione della chiarezza delle espressioni, per un testo del Vaticano I o del Concilio di Trento. La considerazione deve infine portare anche sulle finalità del Magistero ecclesiastico: trasmettere il deposito, difendere il deposito dagli attacchi, ma anche spiegare il deposito, in altri termini un testo magisteriale ha generalmente il compito di porre fine alle diatribe e non di ingenerarne altre. L’assenza di una terminologia chiara in tanta parte del testo conciliare rinvia dunque a riflettere sull’opportunità di un’opera di revisione, di spiegazione, di interpretazione autentica.
Un dichiarato ritorno alla precisione della terminologia scolastica, così come l’impiego della teologia tomista, non soltanto faciliterebbe la comprensione universale dei testi, ponendo ostacoli insormontabili alle ermeneutiche non ortodosse, ma aprirebbe anche la strada ad una vera intelligenza della dottrina cattolica per i nostri contemporanei. Un tale rinnovamento tomista della teologia conciliare è ciò che invocano in definitiva gli organizzatori del Convegno e siamo convinti dell’opportunità di quest’appello. Tuttavia questo lavoro presuppone, a nostro avviso, per essere realmente proficuo, la convinzione dell’opportunità di mettere mano non solo all’interpretazione, ma anche alla lettera del testo conciliare.
Stefano Carusi – Matthieu Raffray
I Grandi Temi del Convegno
Per coloro che volessero approfondire e come ulteriore invito alla lettura degli Atti offriamo in maniera rapida e non certo esaustiva alcuni spunti di studio che abbiamo trovato interessanti e stimolanti per ciascun intervento, abbiamo fatto un lavoro di scelta antologica che non rende onore alla complessità delle relazioni, ma che vuole sollecitare alla ricerca sui temi “caldi” dibattuti; per quanto possibile abbiamo cercato di distinguere i commenti critici nostri dall’opinione non sempre concorde del relatore, scusandoci anticipatamente se l’architettura globale di ogni conferenza non può essere resa nell’ampiezza che merita, lacuna che sarà colmata dalla pubblicazione degli Atti. Se uno solo dei nostri lettori potesse essere spinto a queste poche linee alla ricerca o alla “disputatio” avremmo raggiunto il nostro scopo.
Invito al dibattito costruttivo
Al Padre Augustin Laffay è toccata la prolusione che ha sottolineato fin dai primi momenti del congresso la “singolarità” del Concilio Vaticano II, definito come “novità sorprendente per la storia”, utilizzando la frase dello storico Alberigo è stata sottolineata la “natura non abituale” del Vaticano II, che fa si, vista l’assenza di condanne, che non si sappia come avvicinarlo a Trento e al Vaticano I; il relatore ha tuttavia sostenuto il “carattere obbligatorio di ciascun documento per ciascuno di noi”, ma ha anche invitato alla disputa teologica senza timori reverenziali o falsi pudori, ricordando che San Tommaso non giudicò cosa scandalosa inserire tra i primi articoli della Summa il quesito “videtur quod Deus non sit”.
Ermeneutica e Interpretazione
Il Padre Humbrecht o.p., ha quindi esordito con un’esposizione epistemologica sull’interpretazione dell’ “ermeneutica” mettendo in guardia dall’approccio fenomenologico moderno, per cui il fenomeno diventa principale rispetto all’oggetto, la modernità non guarda all’oggetto, ma solo alla relazione oggetto-soggetto, in una prospettiva che non sarebbe più d’interpretazione, ma di creazione; il metafisico ha anche messo in guardia dall’illusione che si possa conoscere la realtà senza essere affatto influenzati da alcuno spirito soggettivo o da fattori storici e culturali. E’ stato affermato che “gli effetti non giudicano la causa”, in altre parole lo sfascio della civiltà cristiana a partire dagli anni sessanta non è sufficiente per mettere il Concilio sul banco degli imputati. A questo proposito, vorremmo anche attirare l’attenzione sull’intervento di Padre Somme, che ha fatto notare la necessità di stabilire il tipo di rapporto causale tra Vaticano II e crisi della Chiesa; in altre parole il Vaticano II con le sue premesse non poteva che causare la crisi nella Chiesa, nel quadro di una causalità necessaria, oppure gli avvenimenti del post-Concilio sono frutto di una contingenza storica indipendente dal testo conciliare e dipendente piuttosto dal pensiero moderno, nel quadro di una causalità accidentale? O forse i due aspetti ed è il nostro avviso, sono sicuramente da distinguere, ma restano nel loro rapporto reciproco inseparabili. Causae sunt ad invicem causae.
Il Concilio nella storia e nella storiografia
Il convegno ha poi abbordato la parte storico-teologica relativa al Concilio con una conferenza di Padre H. Donneaud o.p., che nel trattare della struttura di Lumen Gentium ha esposto la successione dei capitoli II e III, che sembra voler descrivere la Chiesa in una prospettive “dal basso”, si è poi soffermato sull’attitudine ermeneutica della rivista “Concilium” con un dotto riferimento al pensiero ecclesiologico di Küng il quale, già prima della redazione finale del testo conciliare, sembrava prevedere di oltrepassarne la lettera nel senso della sua personale interpretazione. Sempre di carattere storico l’intervento del Prof. L. Perrin incentrato sulla scuola di Bologna che pretese, sotto la guida di Alberigo, di fare una “storia totale” del Vaticano II, che avrebbe quasi dovuto assurgere a vulgata univoca e irreformabile degli avvenimenti conciliari, il ruolo e il pensiero di personaggi come Dossetti, Padre Ruggeri, Peter Hünermann e Alberto Melloni sono stati trattati sotto l’aspetto storico-critico, con numerose citazioni. L’accento è stato messo sul concetto, caro ad Alberigo, del “Concilio-evento”, sul fatto che “l’avvenimento sia superiore alle decisioni”, trattandosi di un “messaggio superiore”, per usare un termine dello stesso Alberigo; a volte sembra che si voglia evocare uno “spirito del Concilio”, che diventa quasi qualcosa di preternaturale, quasi uno “spirito sussistente”, di dubbia natura, che accompagna sempre il Concilio a prescindere dai testi.
Tradizione, progresso o evoluzione?
Il pomeriggio di venerdì si è aperto con l’intervento del Padre G. Narcisse o. p., sull’ “Ermeneutica della Tradizione”, il quale, tra il fissismo tradizionalista e il progressismo estremo ha proposto una via media sostenendo che nel pensiero tomista l’argomento di ragione e quello d’autorità si integrano vicendevolmente; ha fatto seguito l’intervento di Padre E. Durand o.p., il quale ha insistito sul fatto che i testi conciliari facciano spesso riferimento a frasi come “il Concilio dichiara”, “il Concilio professa”, “noi proclamiamo”, unitamente alla constatazione che molta parte del testo conciliare è costituita da contenuti in sé dogmatici; in sede di dibattito ci siamo permessi di sollevare il problema relativo alla presenza di contenuti dogmatici nel Concilio, ma che a nostro avviso, non sono tali in virtù del pronunciamento conciliare, che non ha carattere dogmatico, ma in virtù della loro natura dogmatica, che può evincersi tanto dalla Rivelazione che da pronunciamenti dogmatici precedenti (rinviamo all’articolo di Mons. Gherardini); nel nostro intervento abbiamo fatto notare che resta ancora aperto il problema della possibilità e dell’opportunità di modifiche al testo conciliare, nel rispetto del ruolo dell’autorità pontificia. Ci fa piacere far conoscere ai nostri lettori la grande apertura alla disputa teologica, che, su questo punto specifico, abbiamo riscontrato tra i relatori e l’assemblea, anche nella distanza delle posizioni; è innegabile che grazie al Regnante Pontefice la disputa accademica abbia assunto dei contorni più vasti, la tradizionale apertura alla “quaestio” dell’Ordine Domenicano ha fatto il resto.
Nella seconda parte del pomeriggio il Rev. Prof. F. Frost ha introdotto il tema dello sviluppo del dogma ponendo l’accento sulla rispondenza tra “Dei Verbum” e il pensiero del card. Newmann, questi sarebbe tra i precursori di quegli accenti teologici che attribuiscono un notevole ruolo, nel progresso della conoscenza di un dogma, alla “percezione intima”, e “alle credenze intime del popolo”; confessiamo che abbiamo ascoltato attentamente, ma non senza qualche riserva, poiché, senza evacuare il ruolo dello Spirito Santo nell’ “intelligentia fidei”, abbiamo tendenza a vedere il processo piuttosto sotto l’angolo dell’ “infallibilitas in credendo” del popolo cristiano guidato dalla gerarchia, che non sul piano della “conoscenza intima”. Resta interessante lo sviluppo del legame tra Newman e Dei Verbum. Ha concluso la giornata di studio Padre F. Daguet o. p., sulla difficilissima problematica della salvezza eterna di coloro che non sono nella Chiesa Cattolica, l’impostazione era incentrata tra i due grandi principi paolini per cui la salvezza è solo in Gesù Cristo, ma la salvezza è anche rivolta ad ogni uomo; il problema diventa complesso allorquando bisogna riconoscere la possibilità dell’opera soggettiva della Grazia nell’infedele, ma al tempo stesso riconoscere che ben poca cosa si possa dire su questo tipo di opera divina, data la sua oscurità. Né mai può essere evacuato il ruolo di mediazione della Chiesa anche in quest’economia straordinaria della salvezza. E’ il problema dei membri “in voto” della Chiesa che il relatore ha definito “membri invisibili” della Chiesa che resta e deve restare visibile.
Alle 18 e 30 è seguita la Messa sulla tomba di S. Tommaso, officiata da Mons. Le Gall, Arcivescovo Metropolita di Tolosa, con la predicazione di Padre Serge Thomas Bonino, sull’attitudine di S. Tommaso davanti ai concili e ai testi conciliari, l’autorevolezza del teologo e le doti dell’oratore fanno si che esprimiamo il voto sincero che questo testo compaia negli atti del Convegno.
Una conferenza serale di Padre J.M. Garrigues, o.p., sulla Chiesa come soggetto integrale della liturgia ha concluso gli interventi, non nascondiamo che su più punti siamo su posizioni molto distanti rispetto a quelle che sono state esposte, tanto dal punto di vista storiografico che teologico-pastorale. Nello specifico non crediamo all’opportunità di una sintesi artificiale o di una via media tra il rubricismo degli anni cinquanta e le derive liturgiche post-moderne, ma pensiamo che la soluzione sia nella “tradizione autentica”, che non necessariamente è sinonimo di “tradizione vivente” coi suoi archeologismi.
Il pomeriggio di venerdì si è aperto con l’intervento del Padre G. Narcisse o. p., sull’ “Ermeneutica della Tradizione”, il quale, tra il fissismo tradizionalista e il progressismo estremo ha proposto una via media sostenendo che nel pensiero tomista l’argomento di ragione e quello d’autorità si integrano vicendevolmente; ha fatto seguito l’intervento di Padre E. Durand o.p., il quale ha insistito sul fatto che i testi conciliari facciano spesso riferimento a frasi come “il Concilio dichiara”, “il Concilio professa”, “noi proclamiamo”, unitamente alla constatazione che molta parte del testo conciliare è costituita da contenuti in sé dogmatici; in sede di dibattito ci siamo permessi di sollevare il problema relativo alla presenza di contenuti dogmatici nel Concilio, ma che a nostro avviso, non sono tali in virtù del pronunciamento conciliare, che non ha carattere dogmatico, ma in virtù della loro natura dogmatica, che può evincersi tanto dalla Rivelazione che da pronunciamenti dogmatici precedenti (rinviamo all’articolo di Mons. Gherardini); nel nostro intervento abbiamo fatto notare che resta ancora aperto il problema della possibilità e dell’opportunità di modifiche al testo conciliare, nel rispetto del ruolo dell’autorità pontificia. Ci fa piacere far conoscere ai nostri lettori la grande apertura alla disputa teologica, che, su questo punto specifico, abbiamo riscontrato tra i relatori e l’assemblea, anche nella distanza delle posizioni; è innegabile che grazie al Regnante Pontefice la disputa accademica abbia assunto dei contorni più vasti, la tradizionale apertura alla “quaestio” dell’Ordine Domenicano ha fatto il resto.
Nella seconda parte del pomeriggio il Rev. Prof. F. Frost ha introdotto il tema dello sviluppo del dogma ponendo l’accento sulla rispondenza tra “Dei Verbum” e il pensiero del card. Newmann, questi sarebbe tra i precursori di quegli accenti teologici che attribuiscono un notevole ruolo, nel progresso della conoscenza di un dogma, alla “percezione intima”, e “alle credenze intime del popolo”; confessiamo che abbiamo ascoltato attentamente, ma non senza qualche riserva, poiché, senza evacuare il ruolo dello Spirito Santo nell’ “intelligentia fidei”, abbiamo tendenza a vedere il processo piuttosto sotto l’angolo dell’ “infallibilitas in credendo” del popolo cristiano guidato dalla gerarchia, che non sul piano della “conoscenza intima”. Resta interessante lo sviluppo del legame tra Newman e Dei Verbum. Ha concluso la giornata di studio Padre F. Daguet o. p., sulla difficilissima problematica della salvezza eterna di coloro che non sono nella Chiesa Cattolica, l’impostazione era incentrata tra i due grandi principi paolini per cui la salvezza è solo in Gesù Cristo, ma la salvezza è anche rivolta ad ogni uomo; il problema diventa complesso allorquando bisogna riconoscere la possibilità dell’opera soggettiva della Grazia nell’infedele, ma al tempo stesso riconoscere che ben poca cosa si possa dire su questo tipo di opera divina, data la sua oscurità. Né mai può essere evacuato il ruolo di mediazione della Chiesa anche in quest’economia straordinaria della salvezza. E’ il problema dei membri “in voto” della Chiesa che il relatore ha definito “membri invisibili” della Chiesa che resta e deve restare visibile.
Alle 18 e 30 è seguita la Messa sulla tomba di S. Tommaso, officiata da Mons. Le Gall, Arcivescovo Metropolita di Tolosa, con la predicazione di Padre Serge Thomas Bonino, sull’attitudine di S. Tommaso davanti ai concili e ai testi conciliari, l’autorevolezza del teologo e le doti dell’oratore fanno si che esprimiamo il voto sincero che questo testo compaia negli atti del Convegno.
Una conferenza serale di Padre J.M. Garrigues, o.p., sulla Chiesa come soggetto integrale della liturgia ha concluso gli interventi, non nascondiamo che su più punti siamo su posizioni molto distanti rispetto a quelle che sono state esposte, tanto dal punto di vista storiografico che teologico-pastorale. Nello specifico non crediamo all’opportunità di una sintesi artificiale o di una via media tra il rubricismo degli anni cinquanta e le derive liturgiche post-moderne, ma pensiamo che la soluzione sia nella “tradizione autentica”, che non necessariamente è sinonimo di “tradizione vivente” coi suoi archeologismi.
La Coscienza, la Libertà Religiosa, la Chiesa e la Società
Nella mattina di sabato Padre L. T. Somme ha abbordato il problema della “coscienza morale” nelle discussioni conciliari e nel Magistero posteriore; il noto specialista di morale, che insegna a Friburgo, ha analizzato i testi dei capitoli 3 e 14 di Dignitatis Humanae, dei capitoli 16 e 25 di Lumen Gentium e soprattutto l’attuale capitolo 16 di Gaudium et Spes, quest’ultimo affrontato attentamente specie nella genesi laboriosa della sua redazione. La seconda parte della relazione è stata incentrata sui problemi connessi alle interpretazioni distorte di questi testi che portarono lo stesso Paolo VI ad interventi di precisazione nell’enciclica Humanae Vitae, né l’autore ha tralasciato di trattare il problema relativo all’accezione del termine “coscienza” nei vari passaggi del testo conciliare; l’uso del termine coscienza è usato in modo equivoco? Si intende con esso il concetto di “giudizio”, “decisione”, “stato d’animo”, “conoscenza”? La coscienza analizza la realtà e esprime un giudizio su di essa o diventa coscienza-creatrice della realtà? Il relatore ha concluso ribadendo che S. Tommaso non fa un trattato della coscienza, ma un trattato sulla prudenza. La chiave dell’interpretazione è forse nel ritorno ad un concetto chiaro della virtù di prudenza piuttosto che nell’ermeneutica complessa del concetto di coscienza, sia esso visto in senso tomista o newmaniano.
L’intervento di Padre J. d’ Amécourt, ha portato su “Dignitatis Humanae, continuità o rottura?” interessante la prospettiva sviluppata in relazione all’esercizio della virtù di religione nello stato di natura, specie in relazione all’atto cultuale e sacrificale; più complesso diventa determinare il ruolo del potere civile, nell’economia della nuova legge, di fronte ai culti e alle false religioni tra diritto naturale, diritto della Verità Divina e prudenza politica.
Padre M.-B. Borde o.c.d., ha avuto l’onere della spiegazione della relazione Chiesa-società civile nel Vaticano II, spiegando le diverse prospettive ecclesiologiche: la tradizionale che parla di “societas supernaturalis” e “societas perfecta” e la dicitura recente e sostanzialmente nuova che fa della Chiesa “una promotrice dell’unità del genere umano”, in una prospettiva che, in certe ermeneutiche teologiche di frontiera, diventa esclusivamente d’ordine naturale.
Ecumenismo
E’ stata quindi la volta del decano di filosofia dell’Angelico Padre Charles Morerod, o. p., che ha parlato sul dialogo ecumenico e sulle opzioni ermeneutiche ad esso connesse, ha esordito con il dato storico della novità dell’ecumenismo al Vaticano II, specie se rapportato all’atteggiamento decisamente ostile ad ogni dibattito ecumenico espresso da Pio XI e ancora condiviso, nel 1957 dallo stesso Mons. Giovan Battista Montini, allorquando si occupava del gregge di Milano. Tuttavia uno sguardo sereno sulla storia della Chiesa rivela la costante preoccupazione del dibattito teologico finalizzato al ritorno all’ovile della pecorella smarrita (ci permettiamo di ricordare che Padre Morerod è uno dei massimi specialisti nello studio delle discussioni che ebbero luogo fra Lutero e il Card. Gaetano, verificatesi laddove il Pontefice inviò il teologo forse più capace dell’epoca per ascoltare le rimostranze di Lutero e correggerne gli errori, nella speranza che volesse tornare nel seno della Chiesa); l’autorevole teologo ha anche aggiunto che oggi siamo altresì in presenza di un irenismo dai contorni utopici, “utopici” poiché, a ben guardare, dopo quarant’anni i problemi coi Protestanti sono ancora tutti sul tavolo. Il teologo ha anche affrontato il problema metodologico, ponendo l’accento sulla frase di Congar che, relativamente al “ritorno alla Chiesa indivisa”, ebbe a dire che “la riforma del Concilio fu antiscolastica”.
E’ stata quindi la volta del decano di filosofia dell’Angelico Padre Charles Morerod, o. p., che ha parlato sul dialogo ecumenico e sulle opzioni ermeneutiche ad esso connesse, ha esordito con il dato storico della novità dell’ecumenismo al Vaticano II, specie se rapportato all’atteggiamento decisamente ostile ad ogni dibattito ecumenico espresso da Pio XI e ancora condiviso, nel 1957 dallo stesso Mons. Giovan Battista Montini, allorquando si occupava del gregge di Milano. Tuttavia uno sguardo sereno sulla storia della Chiesa rivela la costante preoccupazione del dibattito teologico finalizzato al ritorno all’ovile della pecorella smarrita (ci permettiamo di ricordare che Padre Morerod è uno dei massimi specialisti nello studio delle discussioni che ebbero luogo fra Lutero e il Card. Gaetano, verificatesi laddove il Pontefice inviò il teologo forse più capace dell’epoca per ascoltare le rimostranze di Lutero e correggerne gli errori, nella speranza che volesse tornare nel seno della Chiesa); l’autorevole teologo ha anche aggiunto che oggi siamo altresì in presenza di un irenismo dai contorni utopici, “utopici” poiché, a ben guardare, dopo quarant’anni i problemi coi Protestanti sono ancora tutti sul tavolo. Il teologo ha anche affrontato il problema metodologico, ponendo l’accento sulla frase di Congar che, relativamente al “ritorno alla Chiesa indivisa”, ebbe a dire che “la riforma del Concilio fu antiscolastica”.
Stato e Chiesa
La questione dei rapporti fra Stato e Chiesa è stata oggetto in sala di un acceso dibattito: quale il ruolo della Chiesa, quale il suo potere giuridico sugli stati, quali i limiti dell’intervento pontificio sui governanti, che non può essere, come vorrebbero i Gallicani di ieri e di oggi, un solo potere di “consiglio” (cfr. la condanna dei Quattro Articoli del 1689); il Papa può dirigere l’azione dei capi di stato, con potere veramente giuridico, in vista del fine soprannaturale che ordina il fine naturale? Quali i limiti di quest’azione? Inutile dire che le contingenze storiche che oggi sembrano impedire l’esercizio di un tale potere non rientrano affatto nella discussione, se non nell’ordine prudenziale. Il pubblico ha fatto notare tanto il pensiero di S. Tommaso in proposito, specie nel “Commentario delle Sentenze” e nel “de Regno”, tanto il valore delle affermazioni della bolla pontificia “Unam Sanctam”, oggi forse liquidata con una disinvoltura eccessiva, così come per il Sillabo.
La questione dei rapporti fra Stato e Chiesa è stata oggetto in sala di un acceso dibattito: quale il ruolo della Chiesa, quale il suo potere giuridico sugli stati, quali i limiti dell’intervento pontificio sui governanti, che non può essere, come vorrebbero i Gallicani di ieri e di oggi, un solo potere di “consiglio” (cfr. la condanna dei Quattro Articoli del 1689); il Papa può dirigere l’azione dei capi di stato, con potere veramente giuridico, in vista del fine soprannaturale che ordina il fine naturale? Quali i limiti di quest’azione? Inutile dire che le contingenze storiche che oggi sembrano impedire l’esercizio di un tale potere non rientrano affatto nella discussione, se non nell’ordine prudenziale. Il pubblico ha fatto notare tanto il pensiero di S. Tommaso in proposito, specie nel “Commentario delle Sentenze” e nel “de Regno”, tanto il valore delle affermazioni della bolla pontificia “Unam Sanctam”, oggi forse liquidata con una disinvoltura eccessiva, così come per il Sillabo.
Come bisogna esprimersi in teologia
Nel pomeriggio Padre B. D. de la Soujeole si è concentrato sul problema del “vocabolario” e delle “nozioni”, tanto nei testi conciliari quanto nel magistero posteriore, il teologo ha affermato che le novità di stile nel Vaticano II sono innegabili anche se a volte c’è un voluto ricorso alla terminologia scolastica, in ragione della formazione di molti Padri. Il relatore ha affermato che studi probanti concordano sul fatto che per comprendere correttamente tanto la dottrina della giustificazione del Concilio di Trento quanto la “Dei Filius” del Vaticano I, la conoscenza della terminologia scolastica si rivela indispensabile, di qui l’importanza della precisione dei termini in teologia. Diversamente, nel Vaticano II, viste le rimostranze antiscolastiche di alcuni Padri contro gli schemi preparatori, si fu costretti a modificare il lavoro precedente giungendo ad uno stile piuttosto “eclettico”, che fece ricorso spesso a moduli espressivi d’ordine “narrativo” e non teologico-sistematico. Riguardo all’annoso problema del “subsistit in” Padre de la Soujeole ha affermato che da cinquant’anni fior di teologi si domandano come debba essere interpretato, il Magistero stesso è dovuto intervenire sulla questione almeno sette volte, in considerazione delle difficoltà interpretative, le quali davano luogo a differenti correnti di pensiero. Ancora oggi il problema dell’interpretazione di questo passaggio sembra non del tutto chiuso. Il relatore ha anche fatto notare che il nuovo modo di esprimersi sulla Chiesa è in parte condizionato anche dalla rinuncia, nei testi del Vaticano II, alla tradizionale distinzione tra potere d’ordine e potere di giurisdizione. A nostro avviso questa rinuncia è stata causa di notevole confusione teologica, tuttavia l’opinione dell’oratore è alquanto differente dalla nostra.
Nel pomeriggio Padre B. D. de la Soujeole si è concentrato sul problema del “vocabolario” e delle “nozioni”, tanto nei testi conciliari quanto nel magistero posteriore, il teologo ha affermato che le novità di stile nel Vaticano II sono innegabili anche se a volte c’è un voluto ricorso alla terminologia scolastica, in ragione della formazione di molti Padri. Il relatore ha affermato che studi probanti concordano sul fatto che per comprendere correttamente tanto la dottrina della giustificazione del Concilio di Trento quanto la “Dei Filius” del Vaticano I, la conoscenza della terminologia scolastica si rivela indispensabile, di qui l’importanza della precisione dei termini in teologia. Diversamente, nel Vaticano II, viste le rimostranze antiscolastiche di alcuni Padri contro gli schemi preparatori, si fu costretti a modificare il lavoro precedente giungendo ad uno stile piuttosto “eclettico”, che fece ricorso spesso a moduli espressivi d’ordine “narrativo” e non teologico-sistematico. Riguardo all’annoso problema del “subsistit in” Padre de la Soujeole ha affermato che da cinquant’anni fior di teologi si domandano come debba essere interpretato, il Magistero stesso è dovuto intervenire sulla questione almeno sette volte, in considerazione delle difficoltà interpretative, le quali davano luogo a differenti correnti di pensiero. Ancora oggi il problema dell’interpretazione di questo passaggio sembra non del tutto chiuso. Il relatore ha anche fatto notare che il nuovo modo di esprimersi sulla Chiesa è in parte condizionato anche dalla rinuncia, nei testi del Vaticano II, alla tradizionale distinzione tra potere d’ordine e potere di giurisdizione. A nostro avviso questa rinuncia è stata causa di notevole confusione teologica, tuttavia l’opinione dell’oratore è alquanto differente dalla nostra.
Come bisogna “interpretare” in filosofia
L’ultimo magistrale intervento è del Prof. F. X. Putallaz che è intervenuto sull’ “ermeneutica”: cosa intendere per “ermeneutica”, cosa intende il mondo moderno. Da tempo l’ “arte dell’interpretazione” ha preso una piega “kantiana”, per cui l’essere conosciuto si riassorbe nel soggetto. Con Schleiermacher si afferma che la “non comprensione” è primaria, l’ermeneutica diventa quindi la ricostruzione del testo fino a capire ciò che l’autore ha detto, ma la comprensione di ciò che l’autore ha detto diventa una “quasi-divinazione”. L’analisi è proseguita percorrendo il pensiero di Dilthey e di Heidegger, fino a Gadamer nel quale l’ermeneutica diventa ormai interpretazione soggettiva che sfonda nell’arbitrario. Il relatore non ha potuto affrontare il concetto di ermeneutica in Paul Ricoeur pur denunciandone la fondamentale importanza nella questione. All’opposto il filosofo del diritto, l’italiano Emilio Betti, aveva sviluppato un’ermeneutica talmente legata alla lettera del testo da escludere il ruolo dell’interpretazione giuridica secondo la “mens legislatoris”, nei due casi il problema è nell’assenza di senso dell’analogia. La soluzione è per il prof. Putallaz nel limitare le ermeneutiche ad una dimensione “regionale” (e non universale), ribadendo che l’ermeneutica deve essere aperta alla metafisica e all’analogia, nel quadro della filosofia del reale e non nel quadro del solo “soggetto pensante”.
Il Prof. Putallaz, rispondendo ad una domanda, ha voluto sottolineare che se vogliamo tornare alla “realtà” del discorso del Papa del 22 dicembre 2005, il termine “ermeneutica della continuità” non è presente, mentre si fa riferimento a “ermeneutica della rottura” e “ermeneutica della riforma”.
P. Perrier, o. p., ha concluso il convegno con una sintesi sugli interventi.
L’ultimo magistrale intervento è del Prof. F. X. Putallaz che è intervenuto sull’ “ermeneutica”: cosa intendere per “ermeneutica”, cosa intende il mondo moderno. Da tempo l’ “arte dell’interpretazione” ha preso una piega “kantiana”, per cui l’essere conosciuto si riassorbe nel soggetto. Con Schleiermacher si afferma che la “non comprensione” è primaria, l’ermeneutica diventa quindi la ricostruzione del testo fino a capire ciò che l’autore ha detto, ma la comprensione di ciò che l’autore ha detto diventa una “quasi-divinazione”. L’analisi è proseguita percorrendo il pensiero di Dilthey e di Heidegger, fino a Gadamer nel quale l’ermeneutica diventa ormai interpretazione soggettiva che sfonda nell’arbitrario. Il relatore non ha potuto affrontare il concetto di ermeneutica in Paul Ricoeur pur denunciandone la fondamentale importanza nella questione. All’opposto il filosofo del diritto, l’italiano Emilio Betti, aveva sviluppato un’ermeneutica talmente legata alla lettera del testo da escludere il ruolo dell’interpretazione giuridica secondo la “mens legislatoris”, nei due casi il problema è nell’assenza di senso dell’analogia. La soluzione è per il prof. Putallaz nel limitare le ermeneutiche ad una dimensione “regionale” (e non universale), ribadendo che l’ermeneutica deve essere aperta alla metafisica e all’analogia, nel quadro della filosofia del reale e non nel quadro del solo “soggetto pensante”.
Il Prof. Putallaz, rispondendo ad una domanda, ha voluto sottolineare che se vogliamo tornare alla “realtà” del discorso del Papa del 22 dicembre 2005, il termine “ermeneutica della continuità” non è presente, mentre si fa riferimento a “ermeneutica della rottura” e “ermeneutica della riforma”.
P. Perrier, o. p., ha concluso il convegno con una sintesi sugli interventi.
Stefano Carusi