15 luglio 2017

La responsabilità nel peccato

Per scagionare l'uomo accusano Dio?

15 luglio, Sant'Enrico Imperatore

Cappella Sistina, La cacciata dal paradiso terrestre


L’abolizione del peccato con la cancellazione della nozione di atto cattivo volontario della creatura e la responsabilità di quest’ultima nel suo compimento, è il dato sconcertante che emerge negli interventi dei “profeti” della “nuova morale” e che talvolta sembra affacciarsi anche in interventi ufficiali. Dal punto di vista speculativo le vie seguite dai novatori non sono sempre riconducibili ad un sistema, ma la forte influenza del pensiero hegeliano sul pensiero moderno ha spinto, più o meno consapevolmente, certa “teologia” verso una mentalità quasi panteista. La confusione abbraccia spesso anche il ruolo del Creatore e della creatura negli atti liberi, giungendo talvolta ad attribuire confusamente ad entrambi anche gli atti morali oggettivamente cattivi. La moralità dell’atto libero ne risulta messa in discussione e per questa via si può anche arrivare a scagionare completamente la creatura da ogni responsabilità nel peccato, giungendo così fino ad introdurre la contraddizione in Dio. Preliminare ad un approfondimento di tale aspetto è uno studio della causalità divina e più particolarmente dei rapporti fra Dio Causa Prima e il peccato, distinguendo cosa sia attribuibile all’Autore dell’essere e cosa sia invece colpa della creatura fallibile. Ricorrendo a San Tommaso nel lavoro che segue si confuta quella struttura di pensiero che, se non attribuisce apertamente a Dio l’atto morale cattivo della creatura, promuove quantomeno una pericolosissima confusione che finisce per sostenere addirittura quasi una responsabilità di Dio nel peccato. Quando si vuol deresponsabilizzare completamente l’uomo, sui passi di una via più o meno panteista, il rischio può anche quello d’introdurre la contraddizione nella Causa Prima, ponendo così le premesse della negazione di Dio.
                                                                                                                
La Redazione


Dio è causa del peccato ?
(I)

Tra tutti i mali il peccato, il male commesso, costituisce la più grande tragedia per l’uomo (come d'altronde per l’angelo) perche introduce un disordine radicale nella propria vita morale in rapporto al bene, e a fortiori nella vita sociale[1]. Il male e le sofferenze (di cui l’uomo è spesso la causa) divengono molto spesso anche un argomento contro l’esistenza di Dio Buono e sorgente infinita di ogni bontà[2]. Dio ha ben creato delle persone cattive e le debolezze degli uomini, è anche responsabile dei loro peccati? Causa Prima è Esso ugualmente Causa di tutte quelle atrocità e quegli errori commessi dagli uomini nella storia? Se senza Dio non possiamo far nulla, né di buono né di cattivo, siamo allora davvero responsabili delle nostre scelte? Per dare una risposta a tali questioni sul piano teologico bisognerebbe ben distinguere il ruolo di Dio e il ruolo dell’uomo in rapporto al peccato.

A tal fine si cercherà di stabilire in questo lavoro qual è il rapporto fra Dio e i differenti aspetti dell’atto peccaminoso. Il peccato in quanto tale è un male commesso o altrimenti detto un’operazione volontaria cattiva. Anzitutto è un’operazione, un atto secondo di cui la volontà è il principio. Per questo si parlerà prima di tutto del ruolo di Dio in rapporto all’esercizio stesso dell’atto volontario in quanto tale. In seguito, dopo aver precisato anche la natura del peccato in quanto male dell’operazione, si esaminerà se è possibile un rapporto causale (e eventualmente di quale tipo) tra Dio e una tale operazione cattiva. Nell’ultima parte si parlerà dell’origine metafisica della malizia del peccato per poter rispondere infine alla domanda se Dio ha un qualsivoglia ruolo nell’atto peccaminoso e se ne è responsabile.


Fondamento metafisico di un’azione della creatura libera

La dottrina rivelata della creazione e la metafisica dell’esse di San Tommaso presentano una visione delle creature come profondamente dipendenti dal Creatore in tutto il loro essere ma anche in tutto il loro agire[3].

Con la Creazione Dio solo, l’Ipsum Esse Subsistens, fa partecipare alle creature l’esse ut actus che possiede in maniera sostanziale. Questo esse partecipato alle creature appare come una perfezione la più radicale; è l’atto di tutti gli altri atti e la perfezione la più intensa e la più universale, perché ogni altra perfezione nella creatura, prima di essere una tale o una talaltra perfezione, deve sorgere dal niente ed essere[4].

In effetti, l’esse (ut actus) è la fonte di ogni attualità della sostanza creata (per la mediazione del principio formale quo che è la forma sostanziale), ovvero del suo essere in atto sostanziale, ma anche degli esseri accidentali in atto che, essendo inerenti alla sostanza, dipendono radicalmente dalla sua attualità[5]. Ne consegue che l’azione, uno degli accidenti della sostanza, non sfugge all’influenza della Causa prima nell’ordine della causalità universale dell’esse, e perciò l’attualità accidentale nell’ordine dell’agire non può essere estrinseca alla causalità prima di Dio[6].

Questa onnipresenza della causalità universale dell’esse che arriva fino a sostenere nell’atto l’operazione della creatura è chiamata comunemente la mozione divina.

Nessuna azione sfugge alla mozione divina. L’influenza della Causa prima è ugualmente necessaria quanto all’esercizio stesso dell’attività volontaria di una creatura libera[7]. Ciò vale tanto per l’atto buono quanto per l’atto cattivo, essendo entrambi operazioni di una sostanza[8]. Quanto all’atto morale buono, una partecipazione all’attualità dell’esse è indispensabile perche esso sia, e soprattutto perche esso sia buono e perfetto (una partecipazione a una certa perfezione dell’esse è a fortiori una partecipazione al bene, ens et bonum convertuntur), ovvero per potere iscrivere effettivamente l’agente nell’ordo ad finem. Bisognerà invece distinguere il ruolo metafisico di Dio nell’atto cattivo (il peccato) che, godendo in un certo modo dell’attualità dell’esse (dunque del bene), fa tuttavia deviare l’agente libero dal proprio fine.


Il peccato in quanto male dell’operazione

Il peccato è formalmente un’operazione libera che difetta, o altrimenti detto un male commesso (reatus culpae). Sotto il suo aspetto generico di male, il peccato si oppone al bene, è una sorta d’assenza di un bene (dunque di una certa attualità dell’essere). Perciò il male non è un essere, per se non gode in nessun modo della perfezione dell’esse[9].

Più precisamente, il male (quindi anche il peccato) è una privazione, un’assenza di perfezione dovuta, che può apparire solamente in un essere in potenza che è (in quanto è una potenza) un soggetto che assicura la continuità fra i due termini che sono il possesso in atto di una perfezione e l’assenza di quest’ultima[10].

Il male in generale, essendo una sorte di privazione, presuppone dunque sempre un soggetto che sarebbe “colui che ospita” un tale “parassita”. Il male può infatti introdursi a livello di atto primo cioè a livello della perfezione dell’essere sostanziale, e ciò è un male fisico (reatus poenae); tuttavia l’operazione di una creatura razionale può essere anche privata della perfezione dovuta per agire moralmente bene nell’ordine dell’operazione (l’atto secondo), ed è proprio questo il male commesso, il peccato (reatus culpae)[11].

In effetti, il male può apparire anche nell’ordine dell’agire nel quale l’agente libero, con l’operazione della volontà, si dirige liberamente (e razionalmente) verso un bene e ne usufruisce[12]. Quanto all’atto morale buono, esso possiede tutta la bontà (quindi anche tutta l’attualità dell’essere) necessaria per mettere l’agente in un ordo ad finem. All’atto peccaminoso manca questa perfezione necessaria, ciò invece di produrre l’ordine morale produce un disordine per il quale è infranta la relazione intenzionale tra la creatura e il suo Fine ultimo. Bisognerà allora spiegare se Dio, che con la causalità universale sostiene nell’atto ogni operazione (sia buona che cattiva), può essere ugualmente una causa, in un modo o in un altro, dell’atto sbagliato col quale la creatura si separa da lui.


Dio e il peccato

Dio non può essere una causa del peccato per se. In effetti, il male in quanto tale non può mai avere una causa per se, perché essendo una assenza del bene dovuto, non può essere l’oggetto del volere di un agente (di cui l’oggetto del volere per se è il bene) se non per accidens, né può essere causato per se come un essere che viene all’esistenza per intervento di un agente (perche il male è un non-ens), né può essere fatto nell’ordine (il male è un non-ens che non può entrare nell’ordine)[13].

Dio non può essere nemmeno una causa per accidens del peccato (come nel caso del male di pena). Col peccato l’agente libero devia dal Fine ultimo; ma l’opera di Dio ad extra, la Creazione, è una partecipazione all’esse che implica, a fianco della causalità efficiente e esemplare, anche la causalità finale. Il Creatore, il Bene Supremo e Fine ultimo, essendo l’autore dell’exitus del cosmo (e dell’uomo) è anche l’autore del reditus di ogni creatura, specialmente della creatura razionale[14]. Perciò se Dio fosse un principio del peccato, anche per accidens, negherebbe se stesso in quanto Fine ultimo[15].  Ne consegue che Dio non può essere in nessun modo una causa del peccato in quanto ciò è un’operazione priva della dovuta perfezione che distrugge l’ordo ad finem di una creatura razionale.

CONTINUA…
                                                                                                                     Łukasz Zaruski







[1] « Il male morale, tutto proprio della creatura razionale, supera in intensità ed estensione il male fisico e sconvolge continuamente la vita individuale e sociale dell’umanità, che ne sente il doloroso disagio » P. Parente, Teologia Viva II, Dio e i problemi dell’uomo, Roma, Belardetti, 1955, p. 539.
[2] La costatazione del male in quanto tale è tra l’altro il primo argomento contro l’esistenza di Dio menzionato da San Tommaso nel suo articolo della Summa sulle quinque viae : « Videtur quod Deus non sit. Quia si unum contrariorum fuerit infinitum, totaliter destruetur aliud. Sed hoc intelligitur in hoc nomine Deus, scilicet quod sit quoddam bonum infinitum. Si ergo Deus esset, nullum malum inveniretur. Invenitur autem malum in mundo. Ergo Deus non est. » San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 2, a. 3, arg. 1.
[3] Quanto al Magistero si può citare ad esempio : « Dio non solamente tutela e regge l’universo con la sua provvidenza, ma spinge con intima efficacia al movimento e all’azione tutto ciò che si muove ed opera nel mondo, non già sopprimendo l’efficacia delle cause seconde, bensì prevenendola ». Catechismo Tridentino, Siena 1992, Cantagalli, p. I, art. 1, n. 30.
[4] « Comme tous les actes et toutes les perfections de l’être sont actualités par l’esse (participé), qui est l’acte κατ΄ξοχήν, acte et toujours acte et seulement acte, même si par participation, Dieu, qui est l’esse (par essence) et par suite cause propre directe et immédiate de l’esse participé, est cause propre directe et immédiate de tous ces actes et de toutes ces perfections. » C. Fabro, Participation et causalité, Parigi, Ed. Béatrice-Nauwelaerts, 1961, p. 406.
[5]« Actualitas formae accidentalis causatur ab actualitate subiecti. » San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 77, a. 6, co.
« Inter essentiam igitur et habentem essentiam non cadit aliqua potentia media quantum ad actum ipsius essentiae in habentem, qui est esse; sed ipsa essentia dat esse habenti: et iste actus est quasi actus primus. Egreditur etiam ab essentia alius actus, qui est etiam actus habentis essentiam sicut agentis, et essentiae sicut principii agendi: et iste est actus secundus, et dicitur operatio  » San Tommaso d’AquinoDe Veritate, q. 27, a. 1, ad 3.
« Poiché l’attualità di ogni accidente procede e dipende continuamente dall’attualità della sostanza e questa procede e dipende continuamente dalla immanenza operativa di Dio, necessariamente anche l’azione, accidente dinamico della creatura, si fonda nella continua e intrinseca attività creatrice di Dio ». A. Piolanti, Dio nel mondo e nell’uomo, Roma, LEV, 1994, p. 131.
[6] « Alors puisque l’être réel de l’essence et de ses principes substantiels et accidentels est en vertu de l’esse participé, et ce dernier, à son tour est en acte par la participation de l’Esse subsistens (création et conservation), à la même manière l’agir de la créature, ou son passage à l’acte, la “ vibration ” de ses principes opératifs, se fait en vertu de la vibration intime, et radicale de l’acte d’esse et par conséquent, en dernière instance en vertu de la vibration intime, profonde, immédiate, efficace… exercée et produite dans l’acte d’esse de l’être par participation, par Dieu, qui est l’Esse par essence. Ceci nous fait comprendre que le mode propre par lequel Dieu atteint, et par la suite, meut la créature, est le mode “ constitutif ” ou fondant de l’être et de l’agir, c’est-a-dire celui de la “ causa efficiens et conservans ” ». C. Fabro, Ibid.,  p. 408.
[7] « Deus movet voluntatem hominis, sicut universalis motor, ad universale obiectum voluntatis, quod est bonum. Et sine hac universali motione homo non potest aliquid velle. » San Tommaso d’Aquino, Ibid.,  Ia-IIae, q. 9, a. 6, ad 3.
[8] « Ora non ripugna attribuire a Dio il peccato come azione fisica, anzi è necessario attribuirglielo, perché ogni azione metafisicamente è atto, perfezione, e perciò non può trovare la sua ragion d’essere esclusivamente nella creatura, che è potenza ». P. Parente, Ibid. p. 543.
[9] « Oportet ergo quod malum, quod universaliter opponitur bono, opponatur etiam ei quod est esse. Quod autem est oppositum ei quod est esse, non potest esse aliquid. » San Tommaso d’Aquino, De malo, q. 1, a. 1, co.
« Essendo il male opposto al bene, che è ente (essenza ed essere), non può equivalere a una natura o forma ossia ad un ente, ma a qualche cosa che si oppone all’ente (natura ed essere) e quindi è come una privazione di natura e di essere » P. Parente, Ibid., p. 529.
[10] « Cum autem malum, ut supra dictum est, nihil aliud sit quam privatio debitae perfectionis; privatio autem non sit nisi in ente in potentia, quia hoc privari dicimus quod natum est habere aliquid et non habet; sequitur quod malum sit in bono, secundum quod ens in potentia dicitur bonum. » San Tommaso d’Aquino,  Ibid. a. 2, co.
 « Privatio autem et forma privata in eodem subjecto sunt ». San Tommaso d’Aquino, Contra Gentes, III, c. 11.
[11] « Malum, sicut supra dictum est, est privatio boni, quod in perfectione et actu consistit principaliter et per se. Actus autem est duplex, primus, et secundus. Actus quidem primus est forma et integritas rei, actus autem secundus est operatio. Contingit ergo malum esse dupliciter. Uno modo, per subtractionem formae, aut alicuius partis, quae requiritur ad integritatem rei ; sicut caecitas malum est, et carere membro. Alio modo, per subtractionem debitae operationis ; vel quia omnino non est ; vel quia debitum modum et ordinem non habet. » San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 48, a. 5.
[12] « Et hoc ideo est quia, cum bonum simpliciter consistat in actu, et non in potentia, ultimus autem actus est operatio, vel usus quarumcumque rerum habitarum; bonum hominis simpliciter consideratur in bona operatione, vel bono usu rerum habitarum. Utimur autem rebus omnibus per voluntatem. » Ibid, a. 6, co.
«Duplex est perfectio; scilicet prima, et secunda: prima perfectio est forma uniuscuiusque, per quam habet esse; unde ab ea nulla res destituitur dum manet ; secunda perfectio est operatio, quae est finis rei, vel id per quod ad finem devenitur et hac perfectione interdum res destituiturSan Tommaso d’AquinoDe Veritate, q. 1, a. 10, ad s.c. 3.
[13]«  Primo quidem, quia illud quod per se causam habet, est intentum a sua causa; quod enim provenit praeter intentionem agentis, non est effectus per se, sed per accidens. [...] Malum autem, in quantum huiusmodi, non potest esse intentum, nec aliquo modo volitum vel desideratum; quia omne appetibile habet rationem boni, cui opponitur malum in quantum huiusmodi. […] Secundo idem apparet, quia omnis effectus per se habet aliqualiter similitudinem suae causae, vel secundum eamdem rationem, sicut in agentibus univocis, vel secundum deficientem rationem, sicut in agentibus aequivocis; omnis enim causa agens agit secundum quod actu est, quod pertinet ad rationem boni. […] Tertio idem apparet ex hoc quod omnis causa per se, habet certum et determinatum ordinem ad suum effectum; quod autem fit secundum ordinem non est malum, sed malum accidit in praetermittendo ordinem. Unde malum, secundum quod huiusmodi, non habet causam per se. » San Tommaso d’Aquino, De Malo, q. 1, a. 3, co.
[14] « La causa finale è nell’ordine intenzionale la prima delle cause ; metafisicamente si definisce come “ciò in funzione di cui […] si partecipa l’essere.” Il partecipante, nella sua integrità ontica, è teso tutto verso il partecipato, in cui ha ragione totale del suo essere : il suo dinamismo dice essenziale intezionalità verso il partecipato. Da esso esce in qualche modo, attraverso la finalità. È l’exitus rerum a Deo e il reditus rerum in Deum » A. Piolanti, Ibid., p. 583.
[15] « Peccatum enim, prout nunc de peccato loquimur, consistit in aversione voluntatis creatae ab ultimo fine. Impossibile est autem quod Deus faciat voluntatem alicuius ab ultimo fine averti, cum ipsemet sit ultimus finis. » San Tommaso d’Aquino Ibid., a. 1, co.