Per scagionare l'uomo accusano
Dio?
L’abolizione
del peccato con la cancellazione della nozione di atto cattivo volontario della
creatura e la responsabilità di quest’ultima nel suo compimento, è il dato
sconcertante che emerge negli interventi dei “profeti” della “nuova morale” e
che talvolta sembra affacciarsi anche in interventi ufficiali. Dal punto di
vista speculativo le vie seguite dai novatori non sono sempre riconducibili ad
un sistema, ma la forte influenza del pensiero hegeliano sul pensiero moderno
ha spinto, più o meno consapevolmente, certa “teologia” verso una mentalità
quasi panteista. La confusione abbraccia spesso anche il ruolo del Creatore e della
creatura negli atti liberi, giungendo talvolta ad attribuire confusamente ad
entrambi anche gli atti morali oggettivamente cattivi. La moralità dell’atto
libero ne risulta messa in discussione e per questa via si può anche arrivare a
scagionare completamente la creatura da ogni responsabilità nel peccato,
giungendo così fino ad introdurre la contraddizione in Dio. Preliminare ad un
approfondimento di tale aspetto è uno studio della causalità divina e più
particolarmente dei rapporti fra Dio Causa Prima e il peccato, distinguendo
cosa sia attribuibile all’Autore dell’essere e cosa sia invece colpa della
creatura fallibile. Ricorrendo a San Tommaso nel lavoro che segue si confuta
quella struttura di pensiero che, se non attribuisce apertamente a Dio l’atto
morale cattivo della creatura, promuove quantomeno una pericolosissima
confusione che finisce per sostenere addirittura quasi una responsabilità di
Dio nel peccato. Quando si vuol deresponsabilizzare completamente l’uomo, sui
passi di una via più o meno panteista, il rischio può anche quello d’introdurre
la contraddizione nella Causa Prima, ponendo così le premesse della negazione
di Dio.
La Redazione
Dio è
causa del peccato ?
(I)
Tra tutti i mali il peccato, il male
commesso, costituisce la più grande tragedia per l’uomo (come d'altronde per
l’angelo) perche introduce un disordine radicale nella propria vita morale in
rapporto al bene, e a fortiori nella
vita sociale[1]. Il male e le sofferenze (di cui
l’uomo è spesso la causa) divengono molto spesso anche un argomento contro
l’esistenza di Dio Buono e sorgente infinita di ogni bontà[2]. Dio ha ben creato delle persone
cattive e le debolezze degli uomini, è anche responsabile dei loro peccati?
Causa Prima è Esso ugualmente Causa di tutte quelle atrocità e quegli errori
commessi dagli uomini nella storia? Se senza Dio non possiamo far nulla, né di
buono né di cattivo, siamo allora davvero responsabili delle nostre scelte? Per
dare una risposta a tali questioni sul piano teologico bisognerebbe ben
distinguere il ruolo di Dio e il ruolo dell’uomo in rapporto al peccato.
A tal fine si cercherà di stabilire in
questo lavoro qual è il rapporto fra Dio e i differenti aspetti dell’atto
peccaminoso. Il peccato in quanto tale è un male commesso o altrimenti detto
un’operazione volontaria cattiva. Anzitutto è un’operazione, un atto secondo di cui la volontà è il
principio. Per questo si parlerà prima di tutto del ruolo di Dio in rapporto
all’esercizio stesso dell’atto volontario in quanto tale. In seguito, dopo aver
precisato anche la natura del peccato in quanto male dell’operazione, si
esaminerà se è possibile un rapporto causale (e eventualmente di quale tipo)
tra Dio e una tale operazione cattiva. Nell’ultima parte si parlerà dell’origine
metafisica della malizia del peccato per poter rispondere infine alla domanda
se Dio ha un qualsivoglia ruolo nell’atto peccaminoso e se ne è responsabile.
Fondamento metafisico di un’azione della creatura libera
La dottrina rivelata della creazione e
la metafisica dell’esse di San
Tommaso presentano una visione delle creature come profondamente dipendenti dal
Creatore in tutto il loro essere ma anche in tutto il loro agire[3].
Con la Creazione Dio solo, l’Ipsum Esse Subsistens, fa partecipare
alle creature l’esse ut actus che
possiede in maniera sostanziale. Questo esse
partecipato alle creature appare come una perfezione la più radicale; è l’atto
di tutti gli altri atti e la perfezione la più intensa e la più universale,
perché ogni altra perfezione nella creatura, prima di essere una tale o una
talaltra perfezione, deve sorgere dal niente ed essere[4].
In effetti, l’esse (ut actus) è la
fonte di ogni attualità della sostanza creata (per la mediazione del principio
formale quo che è la forma
sostanziale), ovvero del suo essere in atto sostanziale, ma anche degli esseri
accidentali in atto che, essendo inerenti alla sostanza, dipendono radicalmente
dalla sua attualità[5]. Ne consegue che l’azione, uno degli
accidenti della sostanza, non sfugge all’influenza della Causa prima
nell’ordine della causalità universale dell’esse,
e perciò l’attualità accidentale nell’ordine dell’agire non può essere
estrinseca alla causalità prima di Dio[6].
Questa onnipresenza della causalità
universale dell’esse che arriva fino
a sostenere nell’atto l’operazione della creatura è chiamata comunemente la
mozione divina.
Nessuna azione sfugge alla mozione
divina. L’influenza della Causa prima è ugualmente necessaria quanto all’esercizio
stesso dell’attività volontaria di una creatura libera[7]. Ciò vale tanto per l’atto buono
quanto per l’atto cattivo, essendo entrambi operazioni di una sostanza[8]. Quanto all’atto morale buono, una
partecipazione all’attualità dell’esse
è indispensabile perche esso sia, e soprattutto perche esso sia buono e
perfetto (una partecipazione a una certa perfezione dell’esse è a fortiori una
partecipazione al bene, ens et bonum
convertuntur), ovvero per potere iscrivere effettivamente l’agente nell’ordo ad finem. Bisognerà invece
distinguere il ruolo metafisico di Dio nell’atto cattivo (il peccato) che,
godendo in un certo modo dell’attualità dell’esse (dunque del bene), fa tuttavia deviare l’agente libero dal
proprio fine.
Il
peccato in quanto male dell’operazione
Il peccato è formalmente un’operazione
libera che difetta, o altrimenti detto un male commesso (reatus culpae). Sotto il suo aspetto generico di male, il peccato
si oppone al bene, è una sorta d’assenza di un bene (dunque di una certa
attualità dell’essere). Perciò il male non è un essere, per se non gode in nessun modo della perfezione dell’esse[9].
Più precisamente, il male (quindi anche
il peccato) è una privazione, un’assenza di perfezione dovuta, che può apparire
solamente in un essere in potenza che è (in quanto è una potenza) un soggetto
che assicura la continuità fra i due termini che sono il possesso in atto di
una perfezione e l’assenza di quest’ultima[10].
Il male in generale, essendo una sorte
di privazione, presuppone dunque sempre un soggetto che sarebbe “colui che
ospita” un tale “parassita”. Il male può infatti introdursi a livello di atto
primo cioè a livello della perfezione dell’essere sostanziale, e ciò è un male
fisico (reatus poenae); tuttavia
l’operazione di una creatura razionale può essere anche privata della
perfezione dovuta per agire moralmente bene nell’ordine dell’operazione (l’atto
secondo), ed è proprio questo il male commesso, il peccato (reatus culpae)[11].
In effetti, il male può apparire anche
nell’ordine dell’agire nel quale l’agente libero, con l’operazione della
volontà, si dirige liberamente (e razionalmente) verso un bene e ne usufruisce[12]. Quanto all’atto morale buono, esso
possiede tutta la bontà (quindi anche tutta l’attualità dell’essere) necessaria
per mettere l’agente in un ordo ad finem.
All’atto peccaminoso manca questa perfezione necessaria, ciò invece di produrre
l’ordine morale produce un disordine per il quale è infranta la relazione
intenzionale tra la creatura e il suo Fine ultimo. Bisognerà allora spiegare se
Dio, che con la causalità universale sostiene nell’atto ogni operazione (sia
buona che cattiva), può essere ugualmente una causa, in un modo o in un altro, dell’atto
sbagliato col quale la creatura si separa da lui.
Dio e
il peccato
Dio non può essere una causa del
peccato per se. In effetti, il male
in quanto tale non può mai avere una causa per
se, perché essendo una assenza del bene dovuto, non può essere l’oggetto
del volere di un agente (di cui l’oggetto del volere per se è il bene) se non per
accidens, né può essere causato per
se come un essere che viene all’esistenza per intervento di un agente
(perche il male è un non-ens), né può
essere fatto nell’ordine (il male è un non-ens
che non può entrare nell’ordine)[13].
Dio non può essere nemmeno una causa per accidens del peccato (come nel caso
del male di pena). Col peccato l’agente libero devia dal Fine ultimo; ma
l’opera di Dio ad extra, la
Creazione, è una partecipazione all’esse
che implica, a fianco della causalità efficiente e esemplare, anche la
causalità finale. Il Creatore, il Bene Supremo e Fine ultimo, essendo l’autore
dell’exitus del cosmo (e dell’uomo) è
anche l’autore del reditus di ogni
creatura, specialmente della creatura razionale[14]. Perciò se Dio fosse un principio del
peccato, anche per accidens,
negherebbe se stesso in quanto Fine ultimo[15].
Ne consegue che Dio non può essere in nessun modo una causa del peccato
in quanto ciò è un’operazione priva della dovuta perfezione che distrugge l’ordo ad finem di una creatura razionale.
CONTINUA…
Łukasz Zaruski
Łukasz Zaruski
[1] « Il male
morale, tutto proprio della creatura razionale, supera in intensità ed
estensione il male fisico e sconvolge continuamente la vita individuale e
sociale dell’umanità, che ne sente il doloroso disagio » P. Parente, Teologia Viva II, Dio e i problemi
dell’uomo, Roma, Belardetti, 1955, p. 539.
[2] La costatazione del male in quanto tale è tra l’altro il
primo argomento contro l’esistenza di Dio menzionato da San Tommaso nel suo
articolo della Summa sulle quinque viae :
« Videtur quod Deus non sit. Quia si
unum contrariorum fuerit infinitum, totaliter destruetur aliud. Sed hoc intelligitur in hoc nomine Deus, scilicet
quod sit quoddam bonum infinitum. Si ergo Deus esset, nullum malum inveniretur.
Invenitur autem malum in mundo. Ergo Deus non est. » San Tommaso d’Aquino, Summa
Theologiae, Ia, q. 2, a. 3, arg. 1.
[3] Quanto al Magistero si può citare ad
esempio : « Dio non solamente tutela e regge l’universo con la
sua provvidenza, ma spinge con intima efficacia al movimento e all’azione tutto
ciò che si muove ed opera nel mondo, non già sopprimendo l’efficacia delle
cause seconde, bensì prevenendola ».
Catechismo Tridentino, Siena 1992, Cantagalli, p. I, art. 1, n. 30.
[4] « Comme tous les actes et toutes les perfections de
l’être sont actualités par l’esse (participé), qui est l’acte κατ΄ἐξοχήν, acte et toujours
acte et seulement acte, même si par participation, Dieu, qui est l’esse (par
essence) et par suite cause propre directe et immédiate de l’esse participé,
est cause propre directe et immédiate de tous ces actes et de toutes ces
perfections. » C. Fabro, Participation et causalité, Parigi, Ed. Béatrice-Nauwelaerts, 1961, p. 406.
[5]« Actualitas
formae accidentalis causatur ab actualitate subiecti. » San Tommaso d’Aquino, Summa
Theologiae, Ia, q. 77, a. 6,
co.
« Inter essentiam igitur et habentem essentiam
non cadit aliqua potentia media quantum ad actum ipsius essentiae in habentem,
qui est esse; sed ipsa essentia dat esse habenti: et iste actus est quasi actus
primus. Egreditur etiam ab essentia alius actus, qui est etiam actus habentis
essentiam sicut agentis, et essentiae sicut principii agendi: et iste est actus
secundus, et dicitur operatio » San Tommaso d’Aquino, De
Veritate, q. 27, a. 1, ad 3.
« Poiché l’attualità di ogni accidente procede e dipende continuamente
dall’attualità della sostanza e questa procede e dipende continuamente dalla
immanenza operativa di Dio, necessariamente anche l’azione, accidente dinamico
della creatura, si fonda nella continua e intrinseca attività creatrice di Dio ».
A. Piolanti, Dio nel mondo e nell’uomo, Roma, LEV, 1994, p. 131.
[6] « Alors puisque l’être réel de l’essence et de ses
principes substantiels et accidentels est en vertu de l’esse participé,
et ce dernier, à son tour est en acte par la participation de l’Esse
subsistens (création et conservation), à la même manière l’agir de la
créature, ou son passage à l’acte, la “ vibration ” de ses principes opératifs,
se fait en vertu de la vibration intime, et radicale de l’acte d’esse et
par conséquent, en dernière instance en vertu de la vibration intime, profonde,
immédiate, efficace… exercée et produite dans l’acte d’esse de l’être
par participation, par Dieu, qui est l’Esse par essence. Ceci nous fait
comprendre que le mode propre par lequel Dieu atteint, et par la suite, meut la
créature, est le mode “ constitutif ” ou fondant de l’être et de l’agir,
c’est-a-dire celui de la “ causa efficiens et conservans ” ». C. Fabro, Ibid., p. 408.
[7] « Deus movet
voluntatem hominis, sicut universalis motor, ad universale obiectum voluntatis,
quod est bonum. Et sine hac universali motione homo non potest aliquid
velle. » San Tommaso d’Aquino, Ibid., Ia-IIae, q. 9, a.
6, ad 3.
[8] « Ora non
ripugna attribuire a Dio il peccato come azione fisica, anzi è necessario
attribuirglielo, perché ogni azione metafisicamente è atto, perfezione, e
perciò non può trovare la sua ragion d’essere esclusivamente nella creatura,
che è potenza ». P.
Parente, Ibid. p. 543.
[9] « Oportet
ergo quod malum, quod universaliter opponitur bono, opponatur etiam ei quod est
esse. Quod autem est oppositum ei quod est esse, non potest esse aliquid. »
San Tommaso d’Aquino, De malo, q. 1, a. 1, co.
« Essendo il
male opposto al bene, che è ente (essenza ed essere), non può equivalere a una
natura o forma ossia ad un ente, ma a qualche cosa che si oppone all’ente
(natura ed essere) e quindi è come una privazione di natura e di essere » P.
Parente, Ibid., p. 529.
[10] « Cum autem
malum, ut supra dictum est, nihil aliud sit quam privatio debitae perfectionis;
privatio autem non sit nisi in ente in potentia, quia hoc privari dicimus quod
natum est habere aliquid et non habet; sequitur quod malum sit in bono,
secundum quod ens in potentia dicitur bonum. » San Tommaso d’Aquino, Ibid.
a. 2, co.
« Privatio autem et forma privata in eodem
subjecto sunt ». San Tommaso
d’Aquino, Contra Gentes, III,
c. 11.
[11] « Malum,
sicut supra dictum est, est privatio boni, quod in perfectione et actu
consistit principaliter et per se. Actus autem est duplex, primus, et secundus.
Actus quidem primus est forma et integritas rei, actus autem secundus est
operatio. Contingit ergo malum esse dupliciter. Uno modo, per subtractionem
formae, aut alicuius partis, quae requiritur ad integritatem rei ; sicut
caecitas malum est, et carere membro. Alio modo, per subtractionem debitae operationis ; vel
quia omnino non est ; vel quia debitum modum et ordinem non habet. » San
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q.
48, a. 5.
[12] « Et hoc ideo
est quia, cum bonum simpliciter consistat in actu, et non in potentia, ultimus
autem actus est operatio, vel usus quarumcumque rerum habitarum; bonum hominis
simpliciter consideratur in bona operatione, vel bono usu rerum habitarum.
Utimur autem rebus omnibus per voluntatem. » Ibid, a. 6, co.
«Duplex est
perfectio; scilicet prima, et secunda: prima perfectio est forma
uniuscuiusque, per quam habet esse; unde ab ea nulla res destituitur dum manet
; secunda perfectio est operatio, quae est finis rei, vel id per
quod ad finem devenitur et hac perfectione interdum res destituitur.»
San Tommaso d’Aquino, De
Veritate, q. 1, a. 10, ad s.c. 3.
[13]« Primo
quidem, quia illud quod per se causam habet, est intentum a sua causa; quod enim
provenit praeter intentionem agentis, non est effectus per se, sed per
accidens. [...] Malum autem, in quantum huiusmodi, non potest esse intentum,
nec aliquo modo volitum vel desideratum; quia omne appetibile habet rationem
boni, cui opponitur malum in quantum huiusmodi. […] Secundo idem apparet, quia
omnis effectus per se habet aliqualiter similitudinem suae causae, vel secundum
eamdem rationem, sicut in agentibus univocis, vel secundum deficientem
rationem, sicut in agentibus aequivocis; omnis enim causa agens agit secundum
quod actu est, quod pertinet ad rationem boni. […] Tertio idem apparet ex hoc
quod omnis causa per se, habet certum et determinatum ordinem ad suum effectum;
quod autem fit secundum ordinem non est malum, sed malum accidit in praetermittendo
ordinem. Unde malum, secundum quod huiusmodi, non habet causam per se. » San Tommaso d’Aquino, De
Malo, q. 1, a. 3, co.
[14] « La causa
finale è nell’ordine intenzionale la prima delle cause ; metafisicamente
si definisce come “ciò in funzione di cui […] si partecipa l’essere.” Il
partecipante, nella sua integrità ontica, è teso tutto verso il partecipato, in
cui ha ragione totale del suo essere : il suo dinamismo dice essenziale
intezionalità verso il partecipato. Da esso esce in qualche modo, attraverso la
finalità. È l’exitus rerum a Deo e il
reditus rerum in Deum » A. Piolanti, Ibid., p. 583.
[15] « Peccatum
enim, prout nunc de peccato loquimur, consistit in aversione voluntatis creatae
ab ultimo fine. Impossibile est autem quod Deus faciat voluntatem
alicuius ab ultimo fine averti, cum ipsemet sit ultimus finis. » San
Tommaso d’Aquino Ibid., a. 1,
co.