29 settembre, San Michele Arcangelo
(II)
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Origine metafisica del peccato
Da Dio in
quanto Causa prima viene radicalmente tutta la perfezione della creatura
razionale necessaria per poter agire. Tutto ciò che è essere nell’operazione,
anche cattiva, dell’agente libero deve essere ricondotto alla causalità
universale dell’esse. Tuttavia la
mozione divina non può allargarsi all’aspetto malizioso del peccato perché essa
non può essere all’origine della distruzione dell’ordo ad finem, che il male commesso introduce.
La stessa
possibilità dell’ “esistenza” del peccato è dovuta alla condizione della
creatura razionale in quanto creatura. In effetti, in una sostanza creata
l’atto di essere non è sussistente (ciò che sarebbe proprio al Creatore) ma
partecipato, cioè ricevuto in un soggetto (l’essenza) realmente distinto dall’esse, soggetto che è allora come una
potenza in rapporto all’atto di essere. La composizione dell’atto e della
potenza è dunque propria alla creatura in quanto tale ed è proprio questa
potenzialità in rapporto alla perfezione dell’atto che comporta la possibilità
stessa di avere o meno una perfezione, che ciò sia una semplice assenza oppure
un male propriamente detto: “Privatio autem non sit nisi in ente in
potentia, quia hoc privari dicimus quod natum est habere aliquid et non habet” [1].
Il male del peccato, cioè un’assenza di attualità dovuta per agire bene
nell’ordine morale, non può essere che la conseguenza del fatto che la creatura razionale, “tratta dal nulla”
con la Creazione e in potenza in rapporto all’essere e al bene, non possiede la
perfezione dell’essere e del bene se non per partecipazione. E’ il caso della
volontà creata che, essendo un bene particolare (per partecipazione), non
possiede per natura la ratio di Bene
universale che è il suo oggetto adeguato e il suo fine ultimo[2].
La
volontà creata, per la sua natura di creatura, non essendo il proprio fine
ultimo, è in potenza ad inscriversi nell’ordo
ad finem con le operazioni volontarie che la rendono perfetta nella
tensione intenzionale verso il fine ultimo; tuttavia la volontà essendo
radicalmente in potenza in rapporto al proprio oggetto e al proprio fine, può
andare incontro ad una privazione di questo ordo
ad finem in ragione di un atto volontario difettoso che è disordinato e
disordinante[3].
Il
difetto dell’atto deve dunque essere associato unicamente alla defettibilità della
volontà dell’agente creato che diventa (in maniera volontaria) una causa
deficiente, e che di conseguenza non produce un’operazione che parteciperebbe
in maniera sufficiente all’attualità dell’essere per essere buona e perfetta
nell’ordo ad finem[4].
Quanto a
Dio, che è la sola fonte di attualità dell’esse
(il suo effetto proprio), non fa altro che proporzionare il grado di attualità
necessario all’operazione, e ciò tenendo conto della natura e dello stato della
causa seconda, quindi anche della possibilità di perfezione o imperfezione
dell’atto volontario dovuta allo stato di creatura[5].
Conclusioni
Sotto l’aspetto
fisico nessuna operazione volontaria sfugge alla causalità divina perché ogni
operazione prima di tutto deve essere, cioè deve avere una certa partecipazione
all’attualità dell’esse. Se si tratta
di un atto morale buono, la causalità divina è presente anche sotto l’aspetto
morale, poiché Dio attira l’agente libero in quanto bene supremo[6]. Se si tratta dell’atto morale
cattivo, sarebbe invece necessario distinguere bene il ruolo di Dio e dell’uomo
nella costituzione metafisica di un tale agire.
Quanto
all’aspetto fisico, la creatura non può essere una fonte radicale
dell’attualità (ciò che è proprio all’Ipsum
Esse Subsistens) dell’atto peccaminoso che, in quanto operazione, deve
iscriversi nella causalità universale dell’esse
per avere (attraverso la sostanza) una certa attualità, senza la quale
“cadrebbe nel nulla” [7].
Quanto
alla malizia dell’atto, che consiste formalmente in un disordine morale, il
difetto dell’operazione volontaria non può avere per causa (deficiente) se non
la creatura razionale che, avendo ricevuto
tutta la sua perfezione dell’essere e dell’agire da Dio, è per se molto più “vicina” al nulla che all’essere e al bene [8]. E in ragione di questa defettibilità,
propria all’essere in potenza, in rapporto all’attualità dell’esse e al bene, che la creatura
razionale può introdurre una privazione di una perfezione dovuta nell’ordine
dell’operazione, ovvero il peccato.
L’azione
di Dio si ferma allora al livello della causalità puramente materiale, ciò
significa che Dio, inglobando con la sua causalità universale l’operazione di
un agente creato, sostiene anche nell’atto l’operazione che di fatto è il
soggetto di un male a causa di una libera mancanza da parte di una creatura
razionale. Tuttavia, la responsabilità formale del difetto dell’atto volontario,
che diventa allora immorale, cade sulla creatura razionale che, in ragione
della sua defettibilità radicale, fallisce nella sua scelta libera e commette
il peccato. Perciò Dio non è in alcun modo la causa del peccato sotto il suo
aspetto formale di reatus culpae. San
Tommaso lo riassume bene nel corpus del
De Malo, q. 3, a. 2:
Deus
sit primum principium motionis omnium, quaedam sic moventur ab ipso quod etiam
ipsa seipsa movent, sicut quae habent liberum arbitrium:; si autem deficiant a
debito ordine, sequetur actio inordinata, quae est actio peccati; et sic id
quod est ibi de actione, reducetur in Deum sicut in causam; quod autem est ibi
de inordinatione vel deformitate, non habet Deum causam, sed solum liberum
arbitrium. Et propter hoc
dicitur, quod actio peccati est a Deo, sed peccatum non est a Deo.
«Poiché
Dio è il primo principio del movimento di tutti gli esseri, alcuni di essi sono
mossi da Lui pur muovendosi anche da essi stessi, come quelli che hanno il
libero arbitrio. […] Se al contrario mancano del debito ordine, ne consegue un
atto disordinato, che è l’atto del peccato ; e così, ciò che vi è d’atto,
si riconduce a Dio come alla sua causa; ma ciò che c’è di disordine o di
deformità, non ha Dio come causa, ma solo il libero arbitrio. E in ragione di
ciò si dice che l’atto del peccato viene da Dio, ma il peccato non viene da Dio».
Łukasz Zaruski
[1] San Tommaso d’Aquino, Ibid, a. 2, co.
Anche : « Ad primum ergo dicendum quod in Angelis non
est potentia ad esse naturale. Est tamen in eis potentia secundum intellectivam
partem, ad hoc quod convertantur in hoc vel in illud. Et quantum ad hoc, potest
in eis esse malum ». San
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 63, a. 1,
co.
« S. Tommaso indica la ragione profonda di tale defettibilità :
tratti dal nulla, gli esseri creati sono composti di potenza eF di atto :
ora la potenza, com’è soggetto dell’atto, così può ben esserlo della privazione
dell’atto, e dunque anche del male, ch’è la privazione di bene. » A. Piolanti, Ibid., p. 216.
[2] « Unde et natura rationalis, quae ordinata est ad
bonum absolute per actiones multifarias, non potest habere naturaliter actiones
indeficientes a bono, nisi ei naturaliter et immutabiliter insit ratio
universalis et perfecti boni; quod quidem esse non potest nisi natura divina. Nam Deus solus est actus purus nullius potentiae
permixtionem recipiens, et per hoc est bonitas pura et absoluta. Creatura vero quaelibet, cum in natura sua habeat
permixtionem potentiae, est bonum particulare. Quae quidem permixtio potentiae ei accidit propter hoc quod est ex nihilo.
Et inde est quod inter naturas rationales solus Deus habet liberum arbitrium
naturaliter impeccabile et confirmatum in bono: creaturae vero hoc inesse
impossibile est, propter hoc quod est ex nihilo » Ibid., ad 1.
[3] « Nella misura in cui una volontà sarà in
potenza al proprio oggetto, se lo dovrà conquistare, o non lo possiederà in
modo perfetto, si darà per lei la possibilità s’esserne privata, cioè possibilità
di male e di peccato. » A. Piolanti, Ibid.
[4] « Malum quod
in defectu actionis consistit, semper causatur ex defectu agentis. In Deo autem
nullus defectus est, sed summa perfectio, ut supra ostensum est. Unde malum
quod in defectu actionis consistit, vel quod ex defectu agentis causatur, non
reducitur in Deum sicut in causam. »
San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q.
49, a. 2
« Mais la volonté finie, comme telle,
peut se détacher, se mettre en « discorde » avec la volonté de Dieu. Ceci n’est
pas une perfection, car ce n’est pas une participation mais un manque de
participation. C’est une déviation, une chute véritable, qui donc se rapporte à
la seule créature. » C. Fabro
, Ibid., p. 498, n. 159.
« Le
caractère de déformité morale du péché exprime une “chute” hors de l’être et
doit s’attribuer à un défaut du libre arbitre, imputable seulement à la
créature ». Ibid., p. 500, n.
162.
[5]
« Licet causa prima maxime influat
in effectum, tamen eius influentia per causam proximam determinatur et
specificatur. » San
Tommaso d’Aquino, De
Potentia, q. 1, a. 4, ad 3.
« Causa prima magis influit in effectum quam
secunda, ideo quidquid perfectionis est in effectu, principaliter reducitur ad
primam causam; quod autem est de defectu, reducendum est in causam secundam,
quae non ita efficaciter operatur sicut causa prima. » Ibid., q. 3, a. 7, ad 15.
[6] « Deus sit primum principium motionis omnium,
quaedam sic moventur ab ipso quod etiam ipsa seipsa movent, sicut quae habent
liberum arbitrium: Quae si
fuerint in debita dispositione et ordine debito ad recipiendum motionem qua
moventur a Deo, sequentur bonae actiones, quae totaliter reducuntur in Deum
sicut in causam » San Tommaso d’Aquino, De Malo, q. 3, a. 2, co.
[7] « Ciò non significa che nessuna creatura possa
muovere un’altra all’azione, ma solo che questa mozione positiva di una
creatura nei riguardi di un’altra, sia essa fisica sia morale, suppone la
mozione metafisica immediata di Dio, che resta sempre l’unico principio di ogni
actualità sia accidentale sia sostanziale. » A. Piolanti, Ibid., p.135.
[8] « Il male è la discesa dell’essere verso il
nulla, il bene è l’ascesa verso Dio : non è nè nulla nè Dio, ma
s’inserisce quasi per una legge naturale nel bene creato, che essendo finito è
soggetto alla molteplicità e alla limitazione e quindi alla defettibilità
nell’essere et nell’operare. » P. Parente, Ibid., p.
533.