Indicazioni per un un’epoca di soggettivismo sfrenato
Pentecoste 2025
Tutti
noi constatiamo, con un semplice ritorno onesto su noi stessi, che in molte
occasioni alcune delle tappe che hanno preceduto le nostre scelte e i nostri
posizionamenti intellettuali erano viziate. Non parliamo qui semplicemente
dell’influsso delle passioni su tutto il nostro agire morale, non si tratta del
caso, più semplice da spiegare, nel quale il diabetico quasi irresistibilmente
attratto dalla torta al cioccolato ha finito per cedere, riconoscendo la sua
debolezza, mangiandosi non solo la fetta a lui concessa, ma quattro fette di
dolce. Ma parliamo del caso, più complesso da definire e ancor più da
riconoscere in se stessi, del diabetico che non volendo riconoscere la sua
debolezza davanti ai dolci, pur di mangiare la quarta fetta di torta, finisce per
elaborare una struttura di pensiero falsa, per cui in quella torta non ci sono
zuccheri dannosi per lui, quindi può procedere serenamente - viste le premesse scelte da lui - magari anche alla
quinta, alla sesta, alla settima fetta.
Abbiamo detto “viste le premesse scelte”, proprio ad indicare che se le
premesse sono state scelte, o
quantomeno troppo scelte, è chiaro
che la conclusione è stata più o meno deliberatamente pilotata. Abbiamo detto “più o meno deliberatamente”, perché il
fenomeno è complesso e, specie in tempi di soggettivismo sfrenato come gli
attuali e di imperialismo mediatico di internet, il ritorno di ciascuno sui
moti della propria volontà è diventato molto più nebuloso e non sempre
pienamente avvertito.
L’immanentismo
imperante infatti fa sì che si percepisca come esistente quasi solo ciò che si sente emotivamente, ciò che si vive nel profondo, trascurando o
addirittura eliminando tutta quella parte della realtà oggettiva che non si
associa ad emozioni travolgenti o che rimane in qualche modo scomoda.
Mentre
l’imperialismo mediatico aggiunge un altro fattore di pressione
sull’intelligenza, essa si ritrova letteralmente assediata e non riesce in
molti casi quasi più a funzionare rettamente nei suoi rapporti con la volontà,
dalla quale si trova ad esser piegata a conclusioni imposte dalla supposta
“idea della massa”, o meglio sarebbe dire, come abbiamo ricordato più volte
anche su queste colonne, dei suoi abili manovratori, che non potendo
influenzare direttamente l’intelligenza, la viziano passando dalla volontà.
Su
intelligenza e volontà, diceva con semplicità il Cardinal Caffarra prima di lanciarsi
negli aspetti teoretici, “anche una
scarsa attenzione alla nostra vita interiore ci mostra che si tratta di
reciproco influsso causale: nessuno capisce niente, se non vuole capire; nessuno può volere ciò che ignora”[1].
“Nessuno capisce niente, se non vuol capire”.
Si può scegliere di non capire, addirittura “di non capire niente” per così dire. Infatti, si può anche fare la
scelta terribile di inabissarsi volontariamente nel vuoto intellettuale in ciò
che vi è di più importante nella vita dell’uomo: il Fine ultimo. E per chi non
vuol capire il Fine ultimo, non sarebbe esagerato dire, con le debite precisazioni,
che si è messo nella condizione di “non
capire niente”. La provocazione del Cardinal Caffarra è calzante e
l’approfondisce nel riferimento al passaggio classico di San Tommaso del Contra Gentes (l. IV, cap. 54), per cui
alcuni uomini sono quasi bloccati nella riflessione sul Fine ultimo. Non ce la
fanno a pensare.
Ma
cosa può bloccarli, visto che qui non si parla di limiti intellettuali, anzi
questo blocco può avvenire - e di fatto avviene - in persone intelligentissime,
in luminari delle scienze, in accademici, che finiscono per “non capire niente”? E perdipiù
volontariamente.
L’infinita
distanza dal Fine ultimo, dice San Tommaso, può essere un deterrente alla
ricerca intellettuale, ovvero alcuni uomini si scoraggiano (ma ricordiamo che
lo scoraggiamento comporta in genere una parte di volontarietà) nell’indagare
una realtà così alta e distante. Pensare a Dio e che siamo fatti per Lui è un
pensiero troppo profondo per loro. E, esageratamente concentrati sul proprio
stato di creatura, non osano alzare lo sguardo verso il Creatore, per
piccolezza d’animo, ma anche per comodo. Infatti il misconoscimento della
grandezza della natura umana, della sua natura eminentemente spirituale, e
quindi in fondo fatta per contemplare Dio, fornisce loro un alibi per gettarsi
senza remore in quella che San Tommaso chiama la “beatitudine bestiale”[2],
ovvero nel convincersi che sono più fatti per una beatitudine da porco, da cane
o da volpe, che non da essere spirituale, e per mantenere in vita questo
“utile” convincimento, che in fondo riduce gli impegni a quelli che hanno in
comune con gli animali, bisogna in certo modo volere “non capire niente”.
Avendo
scelto di guardare quanto sono legati
alla sensibilità e al corpo, che hanno in comune con gli animali, scelgono di essere appagati nelle cose
corporali e nei diletti delle carne. Una ricerca quindi che li conducesse ad
alzare lo sguardo potrebbe compromettere quell’universo di piacevoli
conclusioni che si sono costruiti.
Quindi
l’intelligenza - che di per sé tenderebbe molto più in alto, al Vero - viene da
un moto volontario frenata, deviata, diciamo pure corrotta, perché non indaghi
troppo quel Bene intelligibile, quella Verità suprema. Avviene un
restringimento di campo, per cui quella materia è meglio non indagarla e la
volontà chiude gli spazi dell’intelligenza. Avendo già deciso, mette dei
paletti all’intelligenza e le impone: “è
meglio che in questo campo tu non ragioni”.
Ne consegue che tutto il processo
intellettivo viene viziato, deviato e ristretto, perché non sarà più possibile
un ragionamento “da ciò che già conosce,
per procedere alla scoperta di ciò che ancora ignora”, non partirà più da
alcune evidenze e, procedendo di verità in verità, giungerà fino a conclusioni
nuove, ma partirà da ciò che ha scelto
di essere per poi costruire un castello altissimo, ma senza fondamenta se non
ciò che intende essere[3].
Poiché ho scelto (più o meno
arbitrariamente) che la realtà è questa, allora il mio ragionamento non può che
restringersi in questo campo e procedere per questa sola via, da me scelta.
Fine I Parte
Don Stefano Carusi
[1] C.
Caffarra, La reciproca influenza di intelletto
e volontà nella conoscenza della verità morale, in Pontifica Accademia
Romana di San Tommaso d’Aquno, IX Congresso Tomistico Internazionale (24-29
settembre 1990). Testo accessibile in rete, consultato il 5 giugno 2025: https://www.caffarra.it/intellettoevolonta90_76.php
[2] Contra Gentes, l. IV, cap. 54, n.3
[3]
Cfr. C. Caffarra, cit.