8 giugno 2025

Quando la volontà forza l’intelligenza…a sbagliare

 Indicazioni per un un’epoca di soggettivismo sfrenato

 

Pentecoste 2025

 

Tutti noi constatiamo, con un semplice ritorno onesto su noi stessi, che in molte occasioni alcune delle tappe che hanno preceduto le nostre scelte e i nostri posizionamenti intellettuali erano viziate. Non parliamo qui semplicemente dell’influsso delle passioni su tutto il nostro agire morale, non si tratta del caso, più semplice da spiegare, nel quale il diabetico quasi irresistibilmente attratto dalla torta al cioccolato ha finito per cedere, riconoscendo la sua debolezza, mangiandosi non solo la fetta a lui concessa, ma quattro fette di dolce. Ma parliamo del caso, più complesso da definire e ancor più da riconoscere in se stessi, del diabetico che non volendo riconoscere la sua debolezza davanti ai dolci, pur di mangiare la quarta fetta di torta, finisce per elaborare una struttura di pensiero falsa, per cui in quella torta non ci sono zuccheri dannosi per lui, quindi può procedere serenamente - viste le premesse scelte da lui - magari anche alla quinta, alla sesta, alla settima fetta.    

Abbiamo detto “viste le premesse scelte”, proprio ad indicare che se le premesse sono state scelte, o quantomeno troppo scelte, è chiaro che la conclusione è stata più o meno deliberatamente pilotata. Abbiamo detto “più o meno deliberatamente”, perché il fenomeno è complesso e, specie in tempi di soggettivismo sfrenato come gli attuali e di imperialismo mediatico di internet, il ritorno di ciascuno sui moti della propria volontà è diventato molto più nebuloso e non sempre pienamente avvertito.

L’immanentismo imperante infatti fa sì che si percepisca come esistente quasi solo ciò che si sente emotivamente, ciò che si vive nel profondo, trascurando o addirittura eliminando tutta quella parte della realtà oggettiva che non si associa ad emozioni travolgenti o che rimane in qualche modo scomoda.

Mentre l’imperialismo mediatico aggiunge un altro fattore di pressione sull’intelligenza, essa si ritrova letteralmente assediata e non riesce in molti casi quasi più a funzionare rettamente nei suoi rapporti con la volontà, dalla quale si trova ad esser piegata a conclusioni imposte dalla supposta “idea della massa”, o meglio sarebbe dire, come abbiamo ricordato più volte anche su queste colonne, dei suoi abili manovratori, che non potendo influenzare direttamente l’intelligenza, la viziano passando dalla volontà.

Su intelligenza e volontà, diceva con semplicità il Cardinal Caffarra prima di lanciarsi negli aspetti teoretici, “anche una scarsa attenzione alla nostra vita interiore ci mostra che si tratta di reciproco influsso causale: nessuno capisce niente, se non vuole capire;  nessuno può volere ciò che ignora[1]. 

Nessuno capisce niente, se non vuol capire”. Si può scegliere di non capire, addirittura “di non capire niente” per così dire. Infatti, si può anche fare la scelta terribile di inabissarsi volontariamente nel vuoto intellettuale in ciò che vi è di più importante nella vita dell’uomo: il Fine ultimo. E per chi non vuol capire il Fine ultimo, non sarebbe esagerato dire, con le debite precisazioni, che si è messo nella condizione di “non capire niente”. La provocazione del Cardinal Caffarra è calzante e l’approfondisce nel riferimento al passaggio classico di San Tommaso del Contra Gentes (l. IV, cap. 54), per cui alcuni uomini sono quasi bloccati nella riflessione sul Fine ultimo. Non ce la fanno a pensare.

Ma cosa può bloccarli, visto che qui non si parla di limiti intellettuali, anzi questo blocco può avvenire - e di fatto avviene - in persone intelligentissime, in luminari delle scienze, in accademici, che finiscono per “non capire niente”? E perdipiù volontariamente.

L’infinita distanza dal Fine ultimo, dice San Tommaso, può essere un deterrente alla ricerca intellettuale, ovvero alcuni uomini si scoraggiano (ma ricordiamo che lo scoraggiamento comporta in genere una parte di volontarietà) nell’indagare una realtà così alta e distante. Pensare a Dio e che siamo fatti per Lui è un pensiero troppo profondo per loro. E, esageratamente concentrati sul proprio stato di creatura, non osano alzare lo sguardo verso il Creatore, per piccolezza d’animo, ma anche per comodo. Infatti il misconoscimento della grandezza della natura umana, della sua natura eminentemente spirituale, e quindi in fondo fatta per contemplare Dio, fornisce loro un alibi per gettarsi senza remore in quella che San Tommaso chiama la “beatitudine bestiale[2], ovvero nel convincersi che sono più fatti per una beatitudine da porco, da cane o da volpe, che non da essere spirituale, e per mantenere in vita questo “utile” convincimento, che in fondo riduce gli impegni a quelli che hanno in comune con gli animali, bisogna in certo modo volere non capire niente”.

Avendo scelto di guardare quanto sono legati alla sensibilità e al corpo, che hanno in comune con gli animali, scelgono di essere appagati nelle cose corporali e nei diletti delle carne. Una ricerca quindi che li conducesse ad alzare lo sguardo potrebbe compromettere quell’universo di piacevoli conclusioni che si sono costruiti.

Quindi l’intelligenza - che di per sé tenderebbe molto più in alto, al Vero - viene da un moto volontario frenata, deviata, diciamo pure corrotta, perché non indaghi troppo quel Bene intelligibile, quella Verità suprema. Avviene un restringimento di campo, per cui quella materia è meglio non indagarla e la volontà chiude gli spazi dell’intelligenza. Avendo già deciso, mette dei paletti all’intelligenza e le impone: “è meglio che in questo campo tu non ragioni”.

Ne consegue che tutto il processo intellettivo viene viziato, deviato e ristretto, perché non sarà più possibile un ragionamento “da ciò che già conosce, per procedere alla scoperta di ciò che ancora ignora”, non partirà più da alcune evidenze e, procedendo di verità in verità, giungerà fino a conclusioni nuove, ma partirà da ciò che ha scelto di essere per poi costruire un castello altissimo, ma senza fondamenta se non ciò che intende essere[3]. Poiché ho scelto (più o meno arbitrariamente) che la realtà è questa, allora il mio ragionamento non può che restringersi in questo campo e procedere per questa sola via, da me scelta.  

Fine I Parte

Don Stefano Carusi





[1] C. Caffarra, La reciproca influenza di intelletto e volontà nella conoscenza della verità morale, in Pontifica Accademia Romana di San Tommaso d’Aquno, IX Congresso Tomistico Internazionale (24-29 settembre 1990). Testo accessibile in rete, consultato il 5 giugno 2025: https://www.caffarra.it/intellettoevolonta90_76.php

[2] Contra Gentes, l. IV, cap. 54, n.3

[3] Cfr. C. Caffarra, cit.